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Massimo Vaschetto | Armada

Confondere la distinzione tra interno ed esterno, tra comfort zone e spazio pubblico, tra giorno e notte, tra estrema privacy e totale messa a nudo, tra violenza fisica e verbale. Questa dimensione sospesa e incerta, volutamente ambigua, permea la mostra che Massimo Vaschetto presenta da Armada, spazio espositivo milanese di cui è esso stesso organizzatore. […]

Massimo Vaschetto, Armada, Milano HR images. PH Beppe Raso
Massimo Vaschetto, Armada, Milano. PH Beppe Raso

Confondere la distinzione tra interno ed esterno, tra comfort zone e spazio pubblico, tra giorno e notte, tra estrema privacy e totale messa a nudo, tra violenza fisica e verbale. Questa dimensione sospesa e incerta, volutamente ambigua, permea la mostra che Massimo Vaschetto presenta da Armada, spazio espositivo milanese di cui è esso stesso organizzatore. La mostra ha un titolo accattivante, ma ombroso: Uomo Seduto in Regime di Guerra. Si può essere seduti a fare la guerra? Ma poi, cosa si intende con “guerra”?

Vaschetto discute della mostra con Simone Menegoi, durante un incontro aperto al pubblico tenutosi da Armada qualche settimana fa. Si parla di tante cose, si fanno molti riferimenti e citazioni, ricordi… Menegoi racconta che nell’edizione 2014 della residenza alla Fondazione Antonio Ratti, di cui era stato chiamato come curatore e selezionatore delle proposte, stava per escludere Massimo Vaschetto, vuoi per il portfolio molto scarno, vuoi per l’età già matura (33 anni), vuoi per il fatto che i suoi lavori non lo avevano convinto… Ma un’altra curatrice di quell’edizione convinse gli altri a selezionare Massimo, facendoli soffermare “sulla malinconia, sulla solitudine, sulla cupezza” di un piccolo ritratto presente nel portfolio: insomma, parve che l’artista avesse qualcosa da dire.
Anche nella mostra ora in corso c’è un dipinto, grande, grigio, su tela. Un volto d’un uomo anziano, con gli occhi chiusi, emaciato, corroso, diluito sulla tela al punto da colarvici sopra verso terra. Vaschetto consiglia di vederlo in penombra, di sera quando il sole cala e rimangono accese solo due luci delle quattro di Armada.
Nella penombra si vedono anche le tre croci di Sant’Andrea che l’artista ha realizzato in occasione di questa mostra. Sono poggiate al muro, ricoperte di un tessuto spugnoso color avorio (“di interesse feticista” viene detto), che assorbe tutte le gradazioni luminose. Nella penombra la poca luce viene mangiata da croci che rimandano sia ad un ricordo minimalista, che ad un immaginario erotico sadomasochistico, ma ne attutiscono il referente con la loro morbidezza, con il loro colore… la tematica erotica se emerge, viene subito ammansita dall’intimità del luogo in cui si situa la mostra. Che non è un’intimità calda, accogliente, eccitante, ma scomoda, pesante. Menegoi sottolinea come il luogo “può apparire strano e ostile, perché mischiare situazioni tra loro così diverse [sesso, violenza, malinconia, guerra] crea una situazione liberatoria, ma anche angosciosa ed eterodiretta”. I contatti con l’esterno vengono ridotti al minimo, la vetrata dello spazio espositivo che dà verso il cortile non viene presa in considerazione (non per niente la mostra preferisce la notte: la vetrina diventa un muro nero, o la cornice di un paesaggio urbano), Armada diventa un fortino, un luogo chiuso e fluido in cui non c’è più separazione tra “mostra” e “ufficio”: il divano dal retro viene posto vicino all’ingresso, una delle tre croci è nella zona ufficio. E poi non c’è progettazione, ripensamento, studio allestitivo. Le opere sono rimaste dove sono state create o poste per la prima volta. Alcuni attrezzi di lavoro vengono lasciati lì dove sono stati usati. Realizzazione, mostra, ufficio…tutto si mescola e sovrappone (e sovraespone): “Ho voluto eliminare le gerarchie e costruire uno spazio domestico e abitato”. Anche le sedie che realizza fanno riferimento a questo aspetto: sono le solite sedie d’ufficio ma ricoperte con una salvietta bianca, un mescolamento tra esibizione e intimità, tra freddezza e contatto epidermico.

Il titolo, che è stato pensato prima della realizzazione delle opere e dell’allestimento della mostra, quasi come una traccia, fa riferimento da una parte all’apatia e dall’altra alla guerra, che Vaschetto identifica in prima istanza come “ribellione contro il sistema”, poi fa riferimento alla guerra in Siria, all’indifferenza dilagante nei confronti della violenza bellica, alla mancanza di sforzi per contrastare meccanismi distruttivi…
La mostra è quasi un un invito a rilassarsi stando però sempre all’erta, per gustare la dimensione notturna ma mantenendosi sempre vigili e riprendendo fiato al pensiero di avere l’interruttore di fianco a sé. Come se l’uomo nella quiete alla fine sia sempre comunque pungolato dalla cognizione del regime di guerra, insopprimibile alla coscienza, fino ad imperniarsene.

Massimo Vaschetto, Armada, Milano HR images. PH Beppe Raso
Massimo Vaschetto, Armada, Milano. PH Beppe Raso
Massimo Vaschetto, Armada, Milano HR images. PH Beppe Raso
Massimo Vaschetto, Armada, Milano. PH Beppe Raso