
Nel comunicato stampa si parla dell’influenza, sull’artista, del dialogo che Socrate fa sull’amore nel Simposio di Platone. La dualità è la dimensione umana più propria. A metà tra il bello e il doloroso, l’amore tende alla completezza dell’animo. Si ama nel solco delle proprie mancanze, a prescindere che siano poi completate. In bilico tra uno stato d’estasi e l’annullamento, il vero amore è comunanza di animi e non di corpi. C’è dualità anche tra femminile e maschile, due sfumature di ogni individuo.
Martin Soto Climent utilizza collant, leggins, mutande e reggiseni e li spalma su pannelli di legno. Li usa in quanto seconde pelli, o almeno in quanto tessuti per loro natura i più vicini al corpo. Orme di vita appiattite nella galleria. Opacità, lucentezza e trasparenza servono come note di un linguaggio del riutilizzo, per esaltare i materiali quotidiani con cui, noi stessi, cerchiamo di mostrarci. “Soto Climent è alla costante ricerca del gesto poetico che trasforma, senza produrre, […] [della] capacità di animare l’inanimato […] l’arte non deve soccombere a questa insensata sovrapproduzione ma cercare, sprigionare e condividere quell’invisibile energia”.
Nascono seconde possibilità di vita nei ripiegamenti, nelle cuciture, nelle tensioni dei tessuti, nel riverbero dei colori. Gli indumenti diventano epidermici e poi terrestri. Le pieghe si fanno invaginazioni della crosta terreste. Artificiale, naturale e umano si mescolano in un unico grumo.
“If I use female objects its not to describe specific topics. I use them as a female energy, soft and flexible in contras of a male energy. For me the duality its not male-female as persons… its more like two sides of the same thing that complement each other… I guess its more close to the old Mexican idea of life… Like in Asia: Yin-Yan.
I believe we have to turn into a more female philosophy… less penetrant and damage. And I try to show it in each one of my works”. Aveva detto nel 2012.
In fondo alla galleria, l’artista ha lasciato una sorta di studio o laboratorio in cui ha realizzato le opere esposte. Rotoli di tessuti, ritagli, scarti, opere appese, bottiglie di vino, esperimenti. Tutto è stato lasciato come prova di un passaggio, forse di vita, o per evitare la freddezza distaccata a cui tendono a volte i lavori. Insomma per ricordarci che l’arte è “condivisione e unione” (da CS).



