In quarantacinque anni di carriera le spiagge sono state per Martin Parr uno dei luoghi preferiti per fotografare forse, confessa lo stesso fotografo, a causa della grande passione per il bird watching dei suoi genitori che lo ha spinto fin da piccolo ad osservare in modo diverso, lentamente e silenziosamente l’ambiente circostante.
Le località balneari sono diventate così in questi decenni luoghi di “terapia all’elaborazione”, una sorta di banco di prova per nuove tecniche e nuovi strumenti.
La serie “The Last Resort” dei primi anni Ottanta segna ad esempio il passaggio dal bianco e nero al colore con il quale Parr ha sperimentato l’uso del grandangolo con il flash fotografando New Brighton, nelle vicinanze di Liverpool, mettendone in evidenza il suo fascino decadente. Alla fine dello stesso decennio abbandona il grandangolo sostituendolo con lenti standard per giocare con la messa a fuoco. Le sperimentazioni continuano nel 1995 quando acquista una lente macro e un flash anulare, usati normalmente in ambito medico, che danno al fotografo la possibilità di concentrare l’attenzione su dettagli, in particolare alimentari, che saranno il punto focale delle serie fotografiche sui clichés come “Common Sense” e il successivo “Think of Scotland”. Nuovo cambiamente nel 2007 con il passaggio al digitale e infine nel 2014 con l’utilizzo del teleobiettivo. La prima spiaggia ad essere fotografata con questo nuovo strumento è Mar del Plata, tra le più caotiche dell’Argentina, alla quale si aggiungono le amatissime spiagge britanniche, quelle italiane e spagnole.
Il risultato di questa nuova riflessione su il linguaggio fotografico è il protagonista della mostra Beach Therapy, la prima personale in Italia, allestita allo Spazio Damiani (visitabile fino all’8 febbraio 2019). In mostra dodici scatti di medio formato in cui Martin Parr gioca con i piani di fuoco e, per la prima volta, con gli elementi di disturbo come la vegetazione e i gabbiani. Una serie di fotografie che sottolinea la capacità di Parr di mettere sempre in discussione il mezzo e il linguaggio fotografico e di saper scattare una foto interessante in un luogo che non lo è affatto agli occhi di uno spettatore disattento. Lo aveva già dimostrato nel 1982 con la serie “Bad Wethear” con la quale ha fatto del classico brutto tempo inglese un stratagemma fotografico con il quale trasformare l’immagine.
Perché è questa la missione che Martin Parr incarna in quanto fotografo, quella di cambiare l’immagine della realtà: con “Small World” ha messo in luce le contraddizioni del turismo, con “Oxford” le stranezze dell’establishment inglese, con “The Cost of Living” ha fotografato l’evoluzione della middle class inglese e negli anni Novanta ha portato il mondo reale, le persone della strada, sulle riviste di moda. Essenziale, afferma Martin Parr in un talk alla fondazione MAST il giorno prima dell’inaugurazione, è la “relazione con il soggetto”, senza questa lo scatto fotografico non ha senso di esistere.