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Carry Me into the Wilderness, titolo della personale di Mark Leckey ospitata nell’ex chiesa di Sant’Andrea De Scaphis a Roma, è un’invocazione formulata nel confinamento imposto dalla pandemia globale.
Durante il periodo di clausura forzata, l’artista, in compagnia delle figlie, trascorre il tempo navigando sul web e dedicandosi allo studio dell’arte bizantina. Percepisce il mondo attraverso le finestre di casa e dei motori di ricerca, unici strumenti disponibili per scongiurare la totale derealizzazione.
Nota di colpo una strana analogia che sembra intercorrere tra le superfici attraverso cui guarda fuori e le icone bizantine, oggetto del suo interesse: entrambe si configurano come dispositivi di accesso a una dimensione alternativa, trascendente.
Nel contesto della pandemia, in effetti, tutto appare sospeso, estraneo alla comune percezione e scansione spazio-temporale. La realtà non è svanita, sopravvive, ma in maniera del tutto trasfigurata: paesaggi silenziosi, privi di presenze umane, restituiscono al mondo un carattere di mistero e sacralità, e tutto appare come frutto di un sogno di cui si avverte soltanto una flebile eco, una risonanza proveniente da un altrove a noi prossimo, eppure inaccessibile. A permetterne l’esplorazione solo le tecnologie che, al pari delle icone, assumono il ruolo di strumenti in grado di contattare una dimensione irraggiungibile.
Se per Florenskij queste ultime corrispondonoal punto di congiuntura tra sfera celeste e terrena, tra fenomeno e noumeno, per Mark Leckey sono le interfacce tecnologiche a ricoprire il ruolo di veri e propri media votati all’interconnessione. Non stupisce dunque che Carry Me into the Wilderness, il video presentato in mostra, venga trasmesso su uno schermo posizionato subito sopra l’altare della chiesa, come una porta di accesso a una verità superiore, una sorta di folgorazione.
Esposto insieme ad alcuni quadri che ripropongono dettagli di paesaggi tratti dalle pale d’altare tardomedievali, il video conduce lo spettatore in un viaggio spirituale ai limiti della psichedelia, dove l’iconografia sacra è solo una metafora per affermare un senso di comunione e appartenenza al mondo che sembra frutto di un nuovo sentimento religioso, radicato nella natura, più simile al sublime romantico che alla devozione medievale.
Nell’opera, l’immagine di una caverna, estrapolata da una miniatura, si ripete incessantemente, diventando il simbolo di un isolamento che, per quanto forzato, risulta funzionale alla riscoperta di una dimensione mistica simile a quella eremitica, fondata sul contatto diretto col divino.
Una grande apertura costituisce l’ingresso della grotta: l’artista di colpo rovescia la prospettiva, ricostruisce lo spazio tridimensionalmente e ci permette di abbandonare l’antro oscuro per rivedere la luce. Il cielo, prima diurno e poi ricolmo di stelle, si contrappone al buio della cavità, suggerendo l’idea di un graduale disvelamento, un’illuminazione che conduce oltre il mondo delle ombre platoniche, verso la pura intellezione.
È la metafora di un nuovo, più autentico, modo di guardare alle cose, che sembra ormai appartenere all’artista: in alcune sequenze, integrate nel video e registrate a seguito dell’allentamento delle misure di lockdown, Leckey è infatti impegnato in una passeggiata nel parco che assume inaspettatamente il carattere di un’esperienza mistica. La telecamera è rivolta al paesaggio, i raggi del sole filtrano attraverso gli alberi e la natura urbana si trasforma in un paradiso ultraterreno. La tecnologia, e nello specifico il mezzo dell’Instagram Story, si fa testimone di questa folgorazione, ulteriormente enfatizzata dall’uso di filtri e captions. La lente del telefono documenta in maniera confusa le reazioni di Leckey, i movimenti convulsi confermano la sensazione che sia in preda a un’estasi e le parole pronunciate, riportate nei sottotitoli, rendono conto dell’ineffabilità, analoga a quella dantesca, connaturata all’esperienza vissuta. Il fiato si fa corto e la voce in presa diretta, gradualmente distorta dall’Auto-Tune, finisce per somigliare più alle sperimentazioni musicali di Kanye West che a un canto gregoriano.
La caverna scompare per lasciare spazio a uno sfondo che sostituisce alla foglia d’oro il glitter, simbolo di un’opulenza tanto stentata quanto affine all’estetica corrente.
Questo azzeramento di ogni rappresentazione, unita all’apparizione di un’immagine di pura luce, ci segnalano l’avvenuta illuminazione.
Utilizzando filtri, voci e inserzioni testuali, Leckey raggiunge un nuovo tipo di beatitudine, un sentimento di totale appartenenza a una dimensione che risponde al nome di Wilderness: il desiderio dell’artista di farne parte, espresso dalla preghiera contenuta nel titolo, equivale al riconoscimento di una natura selvaggia che, alla luce di una pandemia tuttora in corso, si profila come unica vera legge tanto distruttiva quanto generatrice del mondo in cui viviamo.