Una stanza buia rivestita da pesanti tende nere accoglie il visitatore in degli spazi ripensati per l’occasione. In questo ambiente, ricavato dalla prima grande sala della Fondazione Merz di Torino, non si ha il tempo di ambientarsi poiché ci si trova immediatamente circondati dai quattro grandi schermi che proiettano la prima opera della mostra, On The Breadline, 2019, di Elena Bellantoni (Vibo Valentia,1975).L’installazione video è l’esito di un progetto itinerante che ha visto l’artista spostarsi tra Italia, Grecia, Serbia e Turchia. Bellantoni ha ripercorso quella che ha definito come la breadline, o “strada del pane”, in riferimento alla linea di povertà che collega storie e narrazioni dei paesi in cui hanno trovato spazio le “rivolte del pane”, movimenti di protesta che hanno unito popolazioni diverse nel nome della giustizia e dell’uguaglianza sociale. Il lavoro si conclude con l’intonazione delle parole della leader femminista socialista statunitense, Rose Schneiderman risalenti ad un suo discorso del 1912. Quattro gruppi di donne, ognuno proveniente uno dei quattri paesi del mediterraneo coinvolti, cantano nella loro lingua di origine il motto di denuncia, Bread & Roses.
Con ancora in mano l’inno di protesta di cui l’artista si è premurata di stampare qualche copia per il visitatore, ci si stupisce di fronte ad una intricata struttura metallica. Tra una serie di cavi e cinghie mediche fluttua il corpo di Agnes Questionmark (Roma,1995). Sembra un essere mostruoso dalle forme disumane che evocano elementi della biologia marina. L’artista si presenta come un nuovo essere ibrido, la cui genesi è ancora da definire. Il suo corpo si fa medium, veicolo politico, oggetto e soggetto di un nuovo esperimento interspecie. Egli esplora infatti le barriere personali attraverso esperimenti genetici, operazioni chirurgiche e processi artificiali di riproduzione in cui l’identità diventa instabile. Gli esseri umani sono oggi in grado di leggere e modificare la loro composizione genetica, attraverso tecniche di editing genomico, che consentono di effettuare specifiche alterazioni al genoma di una cellula. Agnes Questionmarkpone la nostra attenzione sull’esistenza di CHM13hTERT, una linea cellulare che ha permesso di assemblare la prima sequenza completa del genoma umano in laboratorio.


Nella seconda sala viene presentato il lavoro di Voluspa Jarpa (Rancagua, Cile,1971) che esplora il concetto di archivio e di memoria, pubblica e personale, volendo testimoniare come alcuni processi del passato continuino a risuonare nel presente. Egli indaga i punti ciechi della modernità: quei luoghi dove le disuguaglianze e le ingiustizie appaiono più visibili. In questo caso, The Extinction project, 2025, è una continuazione del lavoro “Sindemia” (2022- 24) ed esplorava i conflitti sociali avvenuti in America Latina tra il 2018 e il 2023, derivanti dal deterioramento delle istituzioni democratiche, spesso compromesse da politiche legate allo sfruttamento delle risorse naturali e dai gravi effetti sociali che ne derivano. Le sue riflessioni politiche e filosofiche sono riassunte e rappresentate su grandi teli colorati che scendono dal soffitto. Secondo Jarpa l’arte deve ricordarci di non dimenticare e di restare vigili.
Anche Anna Franceschini (Pavia,1979) ritorna all’immagine del corpo, nel suo caso rappresentato sotto forma di macchina. L’installazione è infatti composta da sette macchine per la stiratura automatica, chiamate dressmen, che sono state “rieducate” grazie a un algoritmo. Tutte insieme danno vita a una coreografia modulata da respiri che gonfiano e sgonfiano corpi d’aria, seguendo una partitura ideata dalla stessa artista. L’aria spinge i sacchi di tessuto sintetico al limite e li fa quasi esplodere prima di un arresto cardiaco che li porta al collasso. L’installazione ci restituisce una riflessione sul rapporto tra la macchina e i suoi creatori, tra umano e artificiale. Il titolo, All Those Stuffed Shirts, 2023, allude invece a un modo di dire anglosassone che indica qualcuno pieno di sé, presuntuoso, conservatore e reazionario: un vero e proprio “pallone gonfiato” ponendo l’accento sull’abito per denigrare chi lo indossa, che, a sua volta, diventa semplice riempimento.


Infine, Mohamed Bourouissa (Algeria,1978) conferma l’attenzione al corpo e ai temi sociali come protagonisti indiscussi dell’esposizione. La sua opera-video, Généalogie de la Violence, 2024, riflette su una violenza silenziosa, invisibile. L’artista, fermato costantemente dalla polizia per dei “controlli d’identità casuali” ha sentito l’urgenza di raccontare una storia molto personale. È così che nel film un giovane ragazzo, seduto in macchina con un’amica, viene fermato per un controllo e perquisito metodicamente da un agente. Nella stessa sala dove è allestito il video sono presenti delle sculture in alluminio fuso che sottolineano i momenti di palpazione durante le perquisizioni corporee, evocando una tensione tra il corpo e le mani che lo toccano, rivelando un punto di contatto tra i corpi sociali e il corpo dello Stato.
Attraverso forme ed espressioni differenti, la mostra diviene quindi un fulcro da cui nascono e si rinnovano riflessioni e critiche sulla società contemporanea, un luogo di confronto e di dialogo aperto.
La mostra dei finalisti della quinta edizione del MARIO MERZ PRIZE
a cura di Giulia Turconi
11 giugno – 21 settembre 2025
Fondazione Merz Via Limone, 24, Torino
Cover: Agnes Questionmark CHM13hTERT, 2023 Installazione Foto A. Guermani
