Per la sua quarta personale alla Galleria A+B di Brescia, Davide Mancini Zanchi ci accoglie con un’esplosione gioiosa di forme, colori e oggetti proiettandoci in una dimensione ludica che ci riporta all’infanzia, come ben sottolinea il titolo, Toys are us, ripreso dal nome di una nota catena statunitense di grandi magazzini specializzati nella vendita di giocattoli.
L’universo quotidiano cambia aspetto e dimensione e acquista vita propria, come in un sogno o in un cartone animato: variazioni geometriche e proliferazioni segniche sgargianti coprono le pareti, una tovaglia a scacchi si espande fino a diventare la quinta di fondo dello spazio espositivo occupato da sette tavolini con altrettante bizzarre sculture, oggetti ambigui ma vagamente familiari che altro non sono che utensili domestici – uno spazzolone, una coltelliera, una presa multipla, un ombrello, una borraccia, una tazza e una stampella – dissimulati ma ancora, inaspettatamente, pronti all’uso.
Mancini Zanchi opera sul paradosso, assottigliando progressivamente il confine tra arte, design, artigianato e creatività spontanea, interrogandosi – e interrogandoci – sullo status dell’opera e dell’artista in un’epoca di proliferazione e inflazione di merci, immagini e immaginari.
Così come avviene nel gioco, l’arte è un esercizio di libertà: permette di affrancare temporaneamente la quotidianità dall’obbligo della funzionalità, e si configura come una pratica di appropriazione della realtà – alienata e alienante – in grado di spalancare uno spazio di pensiero non condizionato, disimpegnato e divergente per fare esperienza del mondo diversamente dal consueto.
Toys are us è composta dall’insieme di quattro serie che dialogano formando un’unica installazione ambientale: 50 bozzetti per il quadro più brutto del mondo, Grande Tovaglia e le inedite Sculture e Dipinti, ancora in progress. La componente concettuale è fortemente presente in questi lavori che, al di là dell’apparente facilità di lettura, sono esercizi di verifica delle possibilità di articolazione compositiva del quadro e di variazione e ripetizione differente di elementi formali e cromatici. Il rigore della pratica si fonde sempre con il piacere sensibile della fisicità del fare: per ogni progetto c’è una ricognizione a trecentosessanta gradi che implica la sperimentazione di tecniche e materiali – arrivando perfino a usare sostanze edibili, come gli spaghetti utilizzati come matrice a contatto – in un’attività che è divertimento ma anche conoscenza empirica di ciò che ci circonda, perché l’arte, come il gioco, è sempre una cosa seria.
Fino al 23 novembre 2019