ATP DIARY

Mairead O’hEocha. Light Spells Enter | P420, Bologna

Il genere della natura morta da sempre sovrappone alla rappresentazione più o meno mimetica del reale un sottotesto simbolico, che oscilla tra l’allusione e l’allegoria più dichiarata. Negli esiti più recenti della ricerca pittorica permane la dicotomia tra ciò che...

Mairead O’hEocha, Light Spells Enter, 2023, installation view, P420, Bologna | Courtesy P420, Bologna (foto Carlo Favero)

Il genere della natura morta da sempre sovrappone alla rappresentazione più o meno mimetica del reale un sottotesto simbolico, che oscilla tra l’allusione e l’allegoria più dichiarata. Negli esiti più recenti della ricerca pittorica permane la dicotomia tra ciò che si vede e ciò che si intuisce al di là del velo di Maya, ma mutano i suoi punti di riferimento; la classica allusione al tempo che scorre e al decadimento della vita lascia il passo ad una trattazione simbolica delle incertezze del presente. Le nature morte della pittrice irlandese Mairead O’hEocha (Dublino, 1962), in mostra alla P420 di Bologna fino al prossimo 29 aprile nella personale Light Spells Enter, tutte datate al 2022, potrebbero essere definite sommariamente degli scorci notturni della casa in cui l’artista si è ritrovata rinchiusa durante la pandemia (i loro titoli sono una cronistoria degli eventi che andavano a spezzare la monotonia quotidiana di quel periodo). Al centro delle opere si alternano contenitori di vetro posati sul ripiano di un tavolo; la ripetitività del punto di vista adottato e la prossimità quasi opprimente degli oggetti risuonano con il senso di reclusione condiviso da tutti nei periodi di lockdown. Ma le scene, dai toni crepuscolari, vibrano di una scintilla recondita di energia, una luce apparentemente “magica”, dato che non è possibile indagarne l’origine. Nel tentativo di dare a questo fatto una spiegazione razionale, si può provare a convincersi che proprio sopra ai contenitori, fuori dall’inquadratura, sia posizionata una fonte luminosa zenitale diretta verso il basso, tale da indurre la luce a rimbalzare sul fondo per poi diramarsi tutto intorno. Cionondimeno un certo turbamento permane, anche perché si nota che la strana atmosfera crepuscolare generata da una fonte luminosa tanto inconsueta è abitata da insetti, pesci o crostacei, irrorati dalla luce fino ad esserne inghiottiti oppure quasi evanescenti nella penombra, dato che solo poche pennellate sono state convocate per tratteggiarli.
Nel testo critico che accompagna la mostra, Ben Eastham nota: “questi oggetti e il loro significato sembrano sottrarsi ai costrutti che la mia mente deve imporre al mondo per dargli un senso. […] Più guardiamo questi dipinti, più le unità discrete di significato da cui sono composti si scompongono in motivi che si dipanano sulla tela”. In Noble Sister Widow, October un ragno posto sotto una campana di vetro è la presenza animale più assertiva della serie: per quanto imprigionato, la luce che lo illumina (o che emana da lui) lo ammanta di una potenza occulta. September Salt Crab with Fruit Bowl, con il suo centrotavola ricolmo di frutta, è il dipinto che più trova continuità nel soggetto con la tradizione plurisecolare della natura morta; ma il pennacchio nero e indistinto che incombe e il granchio immobile poco lontano sembrano provenire da un altro piano del reale.

Mairead O’hEocha, Father visit, June, 2022, olio su tavola, cm. 80 x 65 | Courtesy l’artista e P420, Bologna (foto Carlo Favero)
Mairead O’hEocha, September Salt Crab with Fruit Bowl, 2021, olio su tavola, cm. 80 x 68 | Courtesy l’artista e P420, Bologna (foto Carlo Favero)

In Christmas Goldfish, la presenza di un pesce all’interno di una boccia di vetro dovrebbe apparire più che plausibile nello scorcio di un interno domestico, ma in modo tutt’altro che consueto il suo corpo sembra in procinto di dissolversi. La bocca è scomparsa, gli occhi galleggiano nell’acqua che si tinge dei toni terrosi del tavolo visto in trasparenza; la lunga pinna dorsale è ormai ridotta ad un diafano filamento di azzurro. Nell’acqua rosata contenuta nella caraffa di Father Visit, June, un’altra sagoma ormai indistinta fluttua a peso morto; non è dato sapere di cosa si trattasse, prima che le sue fattezze si disciogliessero. Una chiocciola attraversa lentamente il tavolo, il suo guscio è lucido e pare fatto dello stesso vetro del manico del contenitore, o di una foglia poco lontana; il risultato è un contrappunto di segni pittorici, sempre meno aderenti al reale.
In Friends and Geography, April sono assenti gli esseri che invece costellano gli altri quadri; ma in questo caso è proprio il decanter contenente un liquido giallognolo (colore che si riverbera nelle due metà di un limone giacenti lì accanto) ad evocare, per la sua forma inconsueta, i tratti di una creatura sconosciuta. Sullo sfondo di questi contenitori vitrei scorrono drappi di tende, cassetti, la balaustra di un balcone ingombro di piante, una porta semiaperta, oppure un muro blu scuro (un cielo notturno?), campito con pennellate a volute che l’artista ha deciso di non dissimulare. È questo il caso di She has Pagan Eyes, dominato da due ampolle che paiono navicelle spaziali atterrate su un pianeta sabbioso, abitato solo da una farfalla (ma forse è un satellite?). Dall’interno dell’ampolla-navicella più prossima si direbbe quasi che un occhio ci scruti. Di fronte alla sequenza di portali su altri mondi, si palesa alla mente un’intuizione: gli interni in penombra delle case di tutto il mondo, durante la pandemia, erano illuminati solo mediante gli schermi magici dei computer e degli smartphone, sfere di cristallo tramite cui evadere verso storie fittizie. Nelle parole dell’artista, del resto, “le consolazioni della tecnologia digitale hanno portato conforto, ma hanno anche dissolto la sottile linea che separa apparenza e realtà”. In Teeing off Spring Dragonfly, proprio una sfera di vetro sembra ricolma di incantesimi luminosi; e una libellula si accinge a gettarvisi e a disgregarsi nella pura luce.

Mairead O’hEocha, Light Spells Enter, 2023, installation view, P420, Bologna | Courtesy P420, Bologna (foto Carlo Favero)
Mairead O’hEocha, Christmas Goldfish, 2020, olio su tavola, cm. 80 x 65 | Courtesy l’artista e P420, Bologna (foto Carlo Favero)