Qualche giorno fa ho annunciato l’apertura di un nuovo museo a Firenze: il MAI. Museo Antropologico Immaginario. Certo della sua inaugurazione, lo scorso 23 ottobre ho incontrato Valeria D’Ambrosio, curatrice della mostra che pensavo avrebbe dovuto accompagnare l’apertura di questa nuova istituzione presso Villa Romana. Una volta arrivato, però, è stata proprio la curatrice a spiazzarmi: “Non ci sarà nessun museo in Villa Romana”. Per capire il quadro della vicenda occorre fare un passo indietro, al momento in cui Valeria D’Ambrosio, una volta arrivato, inizia a raccontarmi della storia di questo luogo.
Valeria D’Ambrosio: Villa Romana è una realtà interessantissima e assolutamente da seguire. È un luogo con una lunga storia, essendo attivo sul territorio dal 1905, quindi da più di un secolo. È un’istituzione culturale tedesca a Firenze che promuove il Villa Romana Prize – il più antico premio tedesco dedicato all’arte – assegnato ad artisti tedeschi o di base in Germania che dà loro la possibilità di abitare e vivere la Villa per dieci mesi. Io qui sono un’ospite, sebbene le iniziative della Villa, diretta dal 2006 da Angelika Stepken, abbiano sempre trattato temi inerenti i dialoghi interculturali e le migrazioni.
Antongiulio Vergine: Dunque Villa Romana e il MAI. Museo Antropologico Immaginario saranno due realtà parallele?
V. D.: Il MAI è una mostra temporanea, non un museo. Il testo del comunicato stampa potrebbe in effetti alimentare tale dubbio, ma sono contenta che la mostra sia stata percepita come tale. Il titolo, infatti, è quello di una mostra d’arte contemporanea che intende però rifarsi a un nuovo concetto di museologia. Quello che abbiamo costruito all’interno di Villa Romana è a tutti gli effetti un museo: temporaneo, visto che dura soltanto un mese, ma un museo*. Un museo che adotta però un punto di vista diverso, non eurocentrico e slegato quindi dalle modalità di display tipiche del mondo occidentale.
A. V.: Devo ammettere di averlo percepito come tale leggendo il comunicato! Come è avvenuta allora la scelta degli artisti e come dialogano tra di loro?
V. D.: Gian Piero Frassinelli, Gabriela Acha e Marcela Moraga sono gli artisti e architetti che mi hanno aiutato a costruire questo museo. Li ho invitati a produrre o a introdurre opere che interagissero con i reperti contenuti al suo interno. Perché la mostra, in effetti, contiene una selezione di reperti – in particolare argentini e cileni – proveniente dalla collezione dello stesso Frassinelli. Gabriela Acha e Marcela Moraga, rispettivamente argentina e cilena, hanno quindi dato inizio a una riflessione che parte proprio da questi oggetti e dalle collezioni sudamericane nel Museo di Antropologia ed Etnologia di Firenze. Si tratta di una riflessione filtrata attraverso il punto di vista delle loro culture di provenienza così da innescare una riappropriazione di quei valori originali e lontani dallo sguardo pregiudiziale occidentalocentrico di cui queste collezioni sono portatrici.
A. V.: È la prima volta che Gabriela Acha e Marcela Moraga espongono in Italia?
V. D.: Per Gabriela Acha è la prima volta in Italia: la residenza organizzata l’anno scorso presso il Museo di Antropologia ed Etnologia di Firenze è confluita infatti nel progetto del MAI, ed è stato questo il punto di partenza per un discorso attorno alla figura di Paolo Mantegazza, fondatore dello stesso museo nel 1869. In occasione del MAI, Acha presenta, oltre alle altre opere, una performance dal titolo Spazio espositivo mobile (2020), un percorso di analisi che ha come oggetto proprio i reperti della collezione Frassinelli che diventano oggetti parlanti e in movimento all’interno di museo inteso come un’entità dinamica, femminista e decoloniale. Marcela Moraga è stata invece recipient del Villa Romana Prize nel 2019. Tra i suoi inediti in mostra troviamo l’installazione multimediale The Man of Stone and Other Treasures (2020) in cui l’artista mescola animazione, leggenda, ricerca scientifica e diari di viaggio per raccontare il genocidio ignoto dei fuegini e la spartizione dei loro corpi nelle collezioni museali mondali.
A. V.: Davvero interessante come operazione, quella di creare una mostra come fosse un museo… E spiazzante soprattutto!
V. D.: Il MAI gioca molto sull’idea di un possibile museo del futuro che trae spunto proprio dalle suggestioni che le opere in mostra intendono sviluppare – pensiamo al progetto architettonico di Frassinelli del 1966-68 incentrato sulla proposta di un nuovo museo di antropologia per Firenze. In effetti, è una mostra coraggiosa, se letta in tutte le sue stratificazioni di significato: abbiamo provato a scardinarci dai condizionamenti di una visione eurocentrica sui popoli della Patagonia cilena e argentina. Questi punti di vista sono talmente acquisti che per quanto si possa essere imparziali e corretti, provando magari a ragionare in maniera diversa su quelle culture, riesce comunque difficile distaccarsene. L’obiettivo ultimo di questa mostra è proprio quello di ragionare su nuove possibili modalità di rappresentazione delle culture umane: non si tratta di verità assolute, ovviamente, ma di idee e visioni che puntano a innescare una riflessione critica soprattutto in un pubblico non specialista.
A. V.: Sì, sono d’accordo. Credo che l’uomo sia in crisi in questo particolare periodo storico e che ci sia bisogno di ragionare ancora di più su ciò che conserva e rappresenta.
V. D.: Sì, pensiamo alle istituzioni che si stanno muovendo in tal senso: è il caso, ad esempio, del Goethe-Institut che pochi giorni fa ha lanciato il festival online Tutto passa tranne il passato in collaborazione con la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino. I tempi sono evidentemente maturi per sperimentare nuove dinamiche di esplorazione delle culture del mondo che per loro natura non sono statiche ma in continua evoluzione: diritti umani e diversità culturale, tradizione indigena e uguaglianza sociale, protezione e salvaguardia dell’ambiente, sono questi i temi che cerchiamo di affrontare all’interno del MAI. Non possiamo più ignorare le lotte e le rivendicazioni dei Mapuche nel sud del Cile e dell’Argentina, o quelle di tanti altri popoli nativi che, nonostante la musealizzazione delle loro culture, sono più vivi e combattivi che mai!
* La chiusura della mostra è stata prorogata al 18 dicembre 2020
Gian Piero Frassinelli, Gabriela Acha, Marcela Moraga
MAI. Museo Antropologico Immaginario
A cura di Valeria D’Ambrosio
Villa Romana, Firenze, via Senese 68