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Macchine Inutili. Gianni Colombo e Bruno Munari | Magazzino – Roma

«Nelle macchine inutili ogni pezzo deve avere la sua funzione logica tanto in rapporto al movimento quanto al senso artistico di proporzione, di colore e di forma; e tutto l’assieme deve essere l’armonica fusione plastica, pittura e moto. Plastica intesa come forma geometrica: esatto equilibrio di forme, di spazi, di volumi; chiaro e scuro. Pittura […]

Macchine Inutili. Gianni Colombo e Bruno Munari – Installation view – Magazzino, Roma – Courtesy Magazzino, Roma – Foto Giorgio Benni

«Nelle macchine inutili ogni pezzo deve avere la sua funzione logica tanto in rapporto al movimento quanto al senso artistico di proporzione, di colore e di forma; e tutto l’assieme deve essere l’armonica fusione plastica, pittura e moto. Plastica intesa come forma geometrica: esatto equilibrio di forme, di spazi, di volumi; chiaro e scuro. Pittura intesa come colore: esatto equilibrio di colori, (un colore in curva ha un valore diverso di un colore piano). Moto allo stato puro: ritmo, senso del moto; (cioè: una persona che cammina e una che danza; moto utile e moto inutile) il moto di una macchina inutile deve essere il cuore della costruzione, il punto vitale. Una macchina inutile che non rappresenti assolutamente nulla è il congegno ideale grazie a cui possiamo tranquillamente far rinascere la nostra fantasia, quotidianamente afflitta dalle macchine utili». (Bruno Munari, Che cosa sono le macchine inutili e perché, La Lettura, 1° luglio 1937 -XV). 

A partire dal 1933, Bruno Munari inizia a realizzare le Macchine Inutili – che, nelle prime collettive, all’interno delle mostre del movimento futurista, possiedono nomi come Macchine sensibili, Volumi d’aria, Respiro di macchina, già altamente allusivi riguardo alle potenzialità di quelli che Munari concepisce come dei nuovi dispositivi di visione. In circa 15 anni, arriva a progettarne circa 93, utilizzando tecniche derivate dalla produzione industriale di prodotti seriali. “Una macchina inutile che non rappresenti assolutamente nulla è il congegno ideale grazie a cui possiamo tranquillamente far rinascere la nostra fantasia, quotidianamente afflitta dalle macchine utili”; pacificando in un ossimoro il binomio macchina/inutilità, Munari sintetizza le proprie preoccupazioni riguardo a un oggetto – la macchina – che racchiuda in sé il quoziente di astrattismo spaziale già presente nella sua opera. 

È così che la doppia personale “Macchine Inutili. Gianni Colombo e Bruno Munari”, con la curatela di Marco Scotini – Direttore scientifico dell’Archivio Gianni Colombo – in collaborazione con Filippo Percassi, inaugurata negli spazi della galleria Magazzino a Roma, ricongiunge due maestri storici della seconda metà del Novecento italiano, riattivando un dialogo già avviato a partire dal 1960 con Miriorama 1, la prima mostra del Gruppo T nella quale Munari viene riconosciuto come un precedente immediato insieme a Lucio Fontana, Jean Tinguely, Piero Manzoni ed Enrico Baj. Nel 1959, l’anno in cui Colombo presenta le sue opere alla Galleria Azimut di Milano, viene fondato il Gruppo T insieme a Giovanni Anceschi, Davide Boriani e Gabriele De Vecchi. Grazia Varisco si unirà al gruppo l’anno successivo. A partire dal recupero di temi dalle avanguardie storiche, in particolare futuristi, dadaisti e costruttivisti, il Gruppo T decide di reinterpretarne taluni aspetti alla luce delle più recenti sperimentazioni e ricerche artistiche con l’obiettivo di abolire ogni frontiera statica tra pittura, scultura e architettura. A testimonianza del legame tra Colombo e Munari vengono dunque presentati in mostra alcuni documenti, relativi, tra gli altri, proprio a Miriorama 1.

Macchine Inutili. Gianni Colombo e Bruno Munari – Installation view – Magazzino, Roma – Courtesy Magazzino, Roma – Foto Giorgio Benni

La mostra si snoda attraverso circa venti opere – tra cui lavori di assoluta ricercatezza come Negativo Positivo, un acrilico e gouache su carta di Munari del 1950; Negativo Positivo (1951) sempre di Munari; Strutturazione acentrica (1962) e Spazio elastico – 6 doppie linee bianche (intermutabile) del 1965 di Gianni Colombo. Risulta chiaro come attraverso il percorso espositivo siano rintracciabili alcune coordinate concettuali che, nella loro specifica maniera, i due maestri hanno declinato nel corso della propria ricerca. Il parametro spaziale diviene una componente ineliminabile del rapporto di percezione tra spazio-ambiente-spettatore, quest’ultimo essendo coinvolto direttamente dal punto di vista fisico-psichico-percettivo. Fattivamente, lo spettatore collabora all’attivazione dell’opera e, con essa, dell’ambiente circostante – basti pensare ai dispositivi, sia di Munari che di Colombo, che implicano un diretto intervento per essere azionati meccanicamente. Ad accomunare entrambi è l’interesse verso uno sconfinamento della distinzione storica tra pittura, scultura e architettura attraverso una ricerca della trasformazione dinamica della composizione e una percezione instabile che situa lo spettatore su un crinale rinnovato rispetto alle precedenti sperimentazioni artistiche. 

Il 1967 è l’anno in cui Colombo presenta per la prima volta l’ambiente Spazio elastico, progettato nel 1966, alla storica biennale trigon a Graz, nel corso di un’edizione significativamente intitolata ambiente / environment. Lo Spazio elastico è l’ambiente più noto tra quelli realizzati da Colombo e alla XXXVI Biennale di Venezia del 1968 viene insignito del Primo Premio per la pittura. In mostra, diversi lavori su tavola dipinta presentano l’evoluzione del concetto spaziale che presto Colombo estenderà all’ambiente. 

Nel 1948 Dino Buzzati parla in questo modo delle Macchine Inutili di Munari: «[…] Basta che uno si schiarisca la voce nell’angolo opposto della stanza, basta il calore di una lampadina accesa, basta il quasi impercettibile filo d’aria penetrato da un interstizio della finestra e loro si mettono in agitazione. In pratica, siccome la quiete assoluta dell’atmosfera non si realizza mai neanche nei locali chiusi, essi sono in perpetuo movimento». In questa perpetua dinamicità si svela l’armoniosa coesistenza delle visioni di due grandi maestri del Novecento italiano, Bruno Munari e Gianni Colombo. In questa incessante vitalità, le opere di Munari e Colombo si intrecciano in un dialogo visivo che va oltre le convenzioni artistiche, evidenziando la capacità di entrambi di sfidare le limitazioni tradizionali abbracciando l’infinita mutevolezza dell’esperienza umana.

Macchine Inutili. Gianni Colombo e Bruno Munari – Installation view – Magazzino, Roma – Courtesy Magazzino, Roma – Foto Giorgio Benni