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…ma l’amor mio non muore | Arezzo

[nemus_slider id=”57905″] Oltre al ciclo d’affreschi de La leggenda della vera croce (1452-1466) di Piero della Francesca, al crocefisso ligneo (1268-1271) di Cimabue posto nella Chiesa di San Domenico, alla Cattedrale gotica con la Maddalena di Piero della Francesca, al...

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Oltre al ciclo d’affreschi de La leggenda della vera croce (1452-1466) di Piero della Francesca, al crocefisso ligneo (1268-1271) di Cimabue posto nella Chiesa di San Domenico, alla Cattedrale gotica con la Maddalena di Piero della Francesca, al polittico (1346) di Pietro Lorenzetti nella pieve di Santa Maria Assunta, al complesso di Santa Maria a Gradi progettato dall’Ammanati (1591-1611) e a tutto il resto, Arezzo ospita ora una bella mostra curata da Rita Selvaggio. Questa si snoda all’interno della Casa Museo Ivan Bruschi, posta nel trecentesco Palazzo del Capitano del Popolo, un’edifico dallo stile severo, tipicamente toscano. Qui visse, a partire dal 1956, lo stesso Ivan Bruschi (Castiglion Fibocchi, 1920 – Arezzo, 1996), un conosciutissimo antiquario italiano che fondò ad Arezzo una galleria ed una fiera antiquarie (la prima del genere in Italia ed ancora oggi una delle più riconosciute a livello europeo), che attirarono l’attenzione dei più autorevoli personaggi culturali e politici dei suoi anni.

Già l’anno scorso Rita Selvaggio curò in questo luogo una mostra, selezionando opere appartenenti alla collezione AGI di Verona. La mostra di quest’anno, invece, è la prima del progetto Xenia, Il rituale dell’ospitalità, che la Fondazione Ivan Bruschi sta portando avanti per far dialogare questo spazio, ora trasformato in un vero e proprio museo (con 10mila pezzi dalla Preistoria al XX secolo provenienti dalla collezione personale di Bruschi), con opere d’arte contemporanea: “L’ospitalità è l’esperienza di una cultura che riconosce l’altro senza sottrargli la sua alterità e allo stesso tempo pone colui che ospita nella condizione di non dover rinunciare alla sua singolarità e alla sua identità” (da CS). La curatrice quest’anno si è relazionata con la collezione dei coniugi Alloggia, che contiene opere che spaziano dal primo Novecento ad oggi. Collezionare è un vero e proprio innamoramento, una manifestazione passionale per l’arte: “Ho sempre comprato ciò che mi piaceva e mi dava emozione” (Ettore Alloggia). Se in un primo momento l’interesse era rivolto ad artisti già affermati e del passato, come testimonia il corpus del Gruppo romano di Piazza del Popolo, ora qualcosa è cambiato. Il collezionista dice che è stato decisivo l’incontro con la gallerista di Roma Anna D’Ascanio, in particolare queste sue parole: “Ettore, è bello innamorarsi dell’opera di un grande artista del passato, ma pensi quanto è più bello poterci parlare, conoscerlo, vedere le sue opere mentre le sta facendo e capire perché lo fa…”. Così ha cominciato a scoprire, conoscere e collezionare lavori del panorama contemporaneo, tra cui opere di Anna Franceschini (1979), Ariel Orozco (1979), Dan Rees (1982), Gabriele De Santis (1983), John Henderson (1984), Edward Thomasson (1985), Henrik Olai Kaarstein (1989)…

Il percorso espositivo è stato concepito da Rita Selvaggio come un cerchio, che si chiude su se stesso. Tutto inizia con un’opera del collettivo artistico, basato a Parigi,  Claire Fontaine: è un neon che riproduce una scritta rossa che dà poi il titolo all’intera mostra: Ma l’amor mio non muore   (2012), che Ettore Alloggia ha regalato alla moglie. Ciò che emerge è, dunque, un senso biografico ed un significato intimo e familiare, che si ritrovano anche alla fine del percorso espositivo, sulla terrazza della Casa Museo. Qui c’è un altro neon, questa volta di Gabriele de Santis: Dear Ettore and Luisa, this is the best neon I will ever make (2012), dove tutto ruota ancora attorno alla coppia dei collezionisti (in realtà sembra anche un po’ ruffiano, ma tant’è!) , in un’opera che è d’altra parte una vera e propria consacrazione del loro amore.  Il titolo, però, nasconde diverse allusioni: Claire Fontaine prende ispirazione dal libro omonimo pubblicato dalla casa editrice romana Arcana nel 1971, testo cult dei sessantottini e del loro sogno di sovversione nel segno della libertà; è poi il titolo di uno dei film più rappresentativi del cinema muto italiano, girato nel 1913 da Marco  Caserini, tratto a sua volta dall’ultimo verso della  Manon Lescaut di Puccini e dal profumo di una nota maison milanese; un melodramma d’amore parodiato poi da Ettore Petrolini…

La curatela di Rita Selvaggio ha portato a selezionare le opere dalla collezione in modo da dare di quest’ultima un’autentica piccola rappresentazione, rispettando la percentuale di opere di un certo periodo o artista. Sono infatti presenti numerose opere del Gruppo di piazza del Popolo, tra cui Schifano, Accardi, Pascali, Lo Savio, Lombardo. Oppure in mostra sono presenti più opere di Gabriele de Santis, proprio perché questi è presente con un numero massiccio di lavori all’interno della collezione. Le opere vengono anche accostate per rimandi tematici, come nella stanza al piano terra con l’affaccio sul cortile, in cui domina il rosso: negli Addii (1972) di Tano Festa, nel Monocromo rosso (1961) di Maurizio Mochetti, nel vestito che Anna Franceschini ha fatto indossare alla ragazza coinvolta nella performance svoltasi nel cortile (ora riprodotta in video), nel dipinto di Vettor Pisani. Oppure ci sono analogie e assonanze tra opere diverse o opere ed ambiente. Nella seconda sala al piano terra il lavoro di Anna Franceschini, intitolato Doposole (2012), che richiama quasi la fisicità della scottatura, è accostata a Pallone mare di Ariel Orozco, una vera e propria palla gonfiabile colorata con all’interno il sale dell’acqua marina. Al primo piano, invece, una vetrina contiene, assieme a degli anelli piceni (dedicati alla dea della natura Cupra), anche il dipinto verde (2005) di Katy Moran, in cui campeggia la tematica naturale, accennata per corpose pennellate. In un’altra vetrina, poi, si possono vedere diversi utensili da farmacia in vetro; su un ripiano è posto un orinale femminile accompagnato da due piccole tavole di Martin Soto Climent, consistenti in tessuti di pelle animale disposti in modo tale da creare pieghe, fessure e invaginazioni…e il rimando è spontaneo. Ogni opera esposta sembra fare parte così non tanto della collezione Alloggia, ma dell’intera raccolta di oggetti che prendono posto in questa casa… non per niente troviamo nella cantina, tra utensili vari e oggetti molteplici d’ogni utilizzo, Senza titolo (macchina da cucire) (2004) di Kounellis, una scatola chiusa da un vetro trasparente con all’interno una vecchia macchina da cucire e un cappotto piegato, e La gabbia (1970) di Pistoletto: uno specchio con serigrafata una gabbia d’uccello coperta da uno straccio. Ma l’effetto è che l’opera di Kounellis, dati gli elementi di cui è costituita, sia lì in quanto oggetto tra gli oggetti e che lo specchio di Pistoletto rifletta soltanto qualcosa che potrebbe benissimo trovarsi in una cantina. Forse è laddove le opere si possono inserire timide e sfuggenti che riposano meglio, e vivono più a lungo…

Artisti in mostra
Carla Accardi, Alek O., Franco Angeli, Maurizio Anzeri, Julieta Aranda, Stefano Arienti, Giacomo Balla, Afro Basaldella, Jonathan Binet, Alighiero Boetti, Alberto Burri, Pier Paolo Calzolari, Giuseppe Capogrossi, Enrico Castellani, Mariana Castillo Deball, Marcelo Cidade, Claire Fontaine, Mat Collishaw, Enzo Cucchi, Nemanja Cvijanovic, Simon Denny,  Fortunato Depero, Gabriele De Santis, Piero Dorazio, Tano Festa,  Anna Franceschini,  Luigi Ghirri, Piero Gilardi, May Hands, Gabriel Hartley, John Henderson, Alfredo Jaar,  Henrik Olai Kaarstein, Avish Khebrehzadeh, Jannis Kounellis, Maria Loboda, Sergio Lombardo, Francesco Lo Savio, Enrico Luzzi, Fausto Melotti, Maurizio Mochetti, Amir Mogharabi, Katy Moran, Gastone Novelli, Ariel Orozco, Giulio Paolini,  Gianni Piacentino,  Alfredo Pirri, Vettor Pisani, Michelangelo Pistoletto, Dan Rees, Vanessa Safavi, Antonio Sanfilippo, Mario Schifano, Marinella Senatore, Jamie Shovlin, Martin Soto Climent, Ettore Spalletti, Edward Thomasson, Santo Tolone, Andy Warhol, Philip Wiegard.
Claire Fontaine,   Ma l'amor mio non muore,   2012; neon,   telaio metallico,   trasformatore e cavi,   20 x 170 x 10 cm. Courtesy Collezione Alloggia. Credits Okno Studio Photography
Claire Fontaine, Ma l’amor mio non muore, 2012; neon, telaio metallico, trasformatore e cavi, 20 x 170 x 10 cm. Courtesy Collezione Alloggia. Credits Okno Studio Photography
Martin Soto Climent,   Caramel Huysmans,   2015; pelle naturale,   legno Tzalam,   31 x 20 x 12 cm. Courtesy Collezione Alloggia. Credits Okno Studio Photography
Martin Soto Climent, Caramel Huysmans, 2015; pelle naturale, legno Tzalam, 31 x 20 x 12 cm. Courtesy Collezione Alloggia. Credits Okno Studio Photography
Anna Franceschini,   Doposole,   11 Giugno 2016,   Casa Museo Ivan Bruschi,   Arezzo. Performer Laura Pante. Abito di MARIOS,   Milano. Camera e Montaggio Ilan Zarantonello
Anna Franceschini, Doposole, 11 Giugno 2016, Casa Museo Ivan Bruschi, Arezzo. Performer Laura Pante. Abito di MARIOS, Milano. Camera e Montaggio Ilan Zarantonello
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