Attraverso l’arte tessile, i collage e il video, Lucia Veronesi ci conduce in un viaggio attraverso la foresta amazzonica, dove la sopravvivenza di antiche tradizioni di guarigione è minacciata dalla scomparsa delle lingue indigene. Come i nomi delle piante medicinali si perdono con l’estinzione delle lingue, così le storie di botaniche dimenticate rischiano di svanire negli archivi della storia.
L’artista, ispirandosi al lavoro della tessitrice e attivista Hannah Ryggen, tesse insieme questi fili narrativi, creando un’opera che è al contempo un grido d’allarme contro la perdita di conoscenze ancestrali e una celebrazione della resilienza del linguaggio e della natura.
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Incontro Lucia Veronesi in un bar lungo la Fondamenta della Giudecca nel primo pomeriggio di una calda giornata di inizio giugno. Prendiamo un caffè guardando i vaporetti che attraccano e lasciano l’approdo della fermata. Parliamo delle vacanze estive mentre percorriamo la strada per raggiungere il suo studio, che si trova poco distante dal penitenziario femminile dell’isola.
La seguo a distanza, sui social, già da tempo, ma è la prima volta che entro nel suo atelier e ho modo di approfondire direttamente con lei i suoi progetti. L’occasione è finalmente arrivata grazie alla sua personale al Museo Ca’ Pesaro (21 giugno – 13 ottobre), dove presenta La Desinenza Estinta, progetto con il quale lo scorso anno ha vinto la 12.esima edizione dell’Italian Council. Una mostra, la quarta tappa del progetto dopo quelle di Londra, Trondheim e Zurigo, che assume un significato particolarmente speciale per l’artista, poiché è ospitata nel suo museo preferito di Venezia, città in cui si è trasferita nel 2003.
Lo studio di Lucia affaccia su un giardino privato, di fianco ad altri studi d’artista e spazi espositivi: una piccola oasi dell’arte in quella che un tempo era una fabbrica di birra e liquori.
La stanza è organizzata in più postazioni di lavoro: la scrivania con il computer, il tavolo con la macchina da cucire momentaneamente dismessa ma che l’artista solitamente utilizza per i suoi collage su tessuto, pile di riviste, raccoglitori e cassettiere che racchiudono opere del passato o quelle che opere ancora non sono. Una parete è interamente ricoperta da immagini e fotocopie di cui l’artista si è servita per la sua ultima ricerca, tenute assieme da pezzi di scotch verdi fluo. Gli spazi bianchi sono riempiti da appunti scritti a mano.
Un arazzo è agganciato alle travi del soffitto: Lucia mi spiega che è il prototipo, in scala ridotta, dell’opera destinata ad entrare nella collezione del Museo Ca’ Pesaro. È stato realizzato da una ditta della Brianza specializzata in tessitura jacquard digitale. L’arazzo è una delle opere che compongono La Desinenza Estinta, progetto motivo del nostro incontro.
Giulia Morucchio: Partiamo con ordine: l’anno scorso con il progetto La Desinenza Estinta hai vinto l’Italian Council, programma internazionale a supporto della ricerca artistica promosso dal Ministero dei Beni Culturali. Cosa ha significato per te questo risultato?
Lucia Veronesi: Avevo in mente di partecipare all’Italian Council da anni, ma rimandavo sempre. Mi spaventava la complessità del bando, la burocrazia. Oppure forse inconsciamente pensavo che non fosse ancora il momento giusto.
Alla fine del 2022 ho deciso di provarci seriamente e ho contattato Ramdom, l’associazione culturale pugliese fondata da Paolo Mele e Claudio Zecchi con la quale avevo già collaborato in passato, affinché sostenesse la mia candidatura. Ho presentato loro la mia idea e qualche mese dopo, all’inizio dell’anno scorso, hanno definitivamente accettato di seguirmi in quest’avventura.
I primi mesi di lavoro sono stati molto intensi, abbiamo creato una rete di partner culturali internazionali che rispettassero i requisiti del bando e garantissero la fattibilità del progetto. Il museo Ca’ Pesaro è stato fin da subito un grande alleato, pronto ad accogliere il lavoro nella collezione permanente nel caso fossimo stati selezionati. A questo si sono poi unite le collaborazioni estere: il Nordenfjeldske Kunstindustrimuseum MiST di Trondheim, i dipartimenti di botanica sistematica ed evoluzionistica e di biologia evoluzionistica e studi ambientali dell’Università di Zurigo e la Goldsmiths University di Londra. Ho avuto poi un prezioso contributo, per la realizzazione del progetto, dalla collezione Luca Bombassei, e il supporto dell’Istituto Italiano di Cultura di Oslo.
Attraverso l’Italian Council ho avuto finalmente le risorse per dedicarmi ad una ricerca lunga e articolata e alla produzione di un’opera di grandi dimensioni, stringere nuove collaborazioni e far conoscere il mio lavoro all’estero.
GM: La Desinenza Estinta parla di cancellazione culturale e incorpora diversi fili narrativicon intelligenza e raffinatezza. Ce ne vuoi parlare?
LV: Il punto di partenza dell’intero progetto è lo studio condotto dai botanici Rodrigo Cámara-Leret e Jordi Bascompte dell’Università di Zurigo, che evidenzia la correlazione tra l’estinzione delle lingue indigene e la perdita di conoscenze medicinali tradizionali. La ricerca dei due studiosi si focalizza in particolare sul Nord America, il Nord-Ovest dell’Amazzonia e la Nuova Guinea, aree geografiche in cui la trasmissione del sapere botanico a scopo farmaceutico avviene prevalentemente attraverso la tradizione orale. Per valutare il grado di minaccia delle lingue, i due ricercatori hanno consultato come fonte principale Glottolog, database online delle lingue, delle famiglie linguistiche e dei dialetti di tutto il mondo che ricava l’AES (Agglomerated Endangerment Status) dalla banca dati di Atlas of the World’s Languages in Danger dell’UNESCO e di Ethnologue – Languages of the World del SIL International.
Con la scomparsa delle lingue indigene (le ricerche recenti indicano che entro la fine di questo secolo potremmo assistere alla scomparsa del 30% di queste ultime), si rischia di perdere non solo un patrimonio culturale e linguistico unico e inestimabile, ma anche la conoscenza millenaria delle proprietà curative delle piante, mettendo a repentaglio la salute e il benessere di intere comunità.
Se una pianta, pur continuando ad esistere sulla Terra, non venisse più riconosciuta, nominata e utilizzata, si potrebbe considerare a tutti gli effetti estinta.
Per circoscrivere le informazioni, per il mio progetto ho deciso di concentrarmi solo sulle piante provenienti dal Nord Ovest dell’Amazzonia facendo riferimento a The Healing Forest. Medicinal and Toxic Plants of the Northwest Amazonia di Richard Evans Schultes e Robert F. Raffauf per trovare i nomi indigeni con cui vengono designate, l’impiego terapeutico e i nomi delle popolazioni che ne fanno utilizzo.
GM: Nella tua ricerca subentra poi un altro livello di indagine attorno al tema della cancellazione. Mi riferisco alle presenze femminili che non sono registrate dalla storia ufficiale.
LV: Un altro importante elemento della mia analisi riguarda l’analogia tra l’oblio delle lingue e l’oblio di molte botaniche che hanno vissuto e lavorato tra il XVIII e il XX secolo. A causa del loro genere, queste scienziate, illustratrici, esploratrici, non hanno ottenuto il giusto riconoscimento per le loro scoperte legate al mondo vegetale, in un ambito che è tutt’oggi appannaggio maschile.
Il mio obiettivo era quello di riportare alla luce i nomi e l’importanza di queste donne che conseguirono fondamentali, ma spesso ignorati, risultati scientifici. Sfidando le convenzioni sociali, queste donne giravano il mondo intraprendendo spedizioni in aree remote del pianeta e pubblicavano gli esiti delle loro ricerche. Tra loro, solo per citarne alcune, la francese Jeanne Baret (1740-1807), esperta botanica nonché prima donna a circumnavigare il globo; l’irlandese Katharine Dooris Sharp (1846-1935), botanica amatoriale, catalogò oltre quattrocento specie vegetali; in soli tredici anni di ricerche in Sud America, Ynés Mexia (1870-1938) raccolse circa centoquarantacinquemila esemplari di piante autoctone; e infine Margaret Ursula Brown Mee (1909-1988), anche lei inglese, documentò le piante dell’Amazonia».
GM: L’enorme mole di informazioni che hai raccolto durante le fasi di ricerca sono state sintetizzate su diversi formati: il tessuto, il suono, il collage, la pubblicazione, il video.
Il “pezzo forte” della mostra a Ca’ Pesaro è l’arazzo jacquard esposto nell’androne al piano terra. Non è la prima volta che lavori con tessuti che fungono da bandiera-manifesto. Puoi approfondire questo aspetto e che cosa ti ha influenzata?
LV: La Desinenza Estinta nasce anche dal dialogo con l’opera di Hannah Ryggen, un’artista norvegese del Novecento che stimo molto, nota per i suoi monumentali arazzi tessuti a mano su un telaio verticale. Ryggen era anche un’attivista politica, comunista, e considerava il suo lavoro un mezzo di comunicazione per denunciare ingiustizie sociali e politiche. I suoi arazzi-manifesto denunciavano le atrocità della Seconda Guerra Mondiale e del dopoguerra.
Nel caso del mio arazzo, l’opera diventa un monito visivo contro la cancellazione culturale, ricordandoci come la perdita di una lingua non sia solo una questione linguistica, ma rappresenti la scomparsa di un intero universo culturale che ci priva di un patrimonio inestimabile di conoscenze tradizionali e saperi ancestrali insostituibili. Dobbiamo quindi agire per preservare questa biodiversità linguistica e naturale prima che sia troppo tardi.
Nel 2022 avevo realizzato una serie di lavori che possono essere considerati antesignani di questo progetto. Le opere, raccolte sotto il titolo La Distanza dell’Eterno, erano ispirate ai celebri stendardi di Mary Lowndes, artista inglese che nel 1907 fondò la Lega delle artiste suffragette a Londra. In quel caso, prendendo spunto dal manuale che Lowndes creò con precise indicazioni per la realizzazione di striscioni e bandiere da utilizzare nelle manifestazioni a favore del diritto di voto alle donne, avevo realizzato degli stendardi dedicati a grandi astronome e scienziate protagoniste di scoperte fondamentali negli ultimi secoli, ma spesso sottovalutate e discriminate, se non addirittura ostacolate dai colleghi uomini, nonostante il loro eccezionale contributo alla scienza.
GM: Puoi guidarci virtualmente attraverso gli spazi della mostra a Ca’ Pesaro?
LV: La mostra si sviluppa in diversi spazi del museo, creando un percorso immersivo che guida il visitatore attraverso le fasi del progetto.
La corte interna di Ca’ Pesaro accoglie parte dei materiali di ricerca che hanno ispirato La Desinenza Estinta e i collage che ho prodotto e che sono stati poi rielaborati per la pubblicazione realizzata con Marsilio Arte. Una sorta di esplosione del libro nello spazio: i testi di Jordi Bascompte e Rodrigo Cámara-Leret, di Richard Evans Schultes e le informazioni estratte da Glottolog sono stampate in grandi plotter in bianco e nero e attaccati alle pareti. Su ognuno di loro ho appeso una selezione di pagine del catalogo, per l’occasione stampate in grande su carta cotone e incorniciate.
La stanza accoglie, inoltre, un piccolo archivio con le biografie delle donne che si sono occupate di botanica dal Settecento al Novecento (presenti anche nella pubblicazione) i cui nomi e contributi scientifici sono stati messi in ombra dalla storia e la lista completa delle piante, e del loro uso medicinale.
Il cuore pulsante del progetto è rappresentato dall’imponente arazzo jacquard esposto nell’androne. Dall’intreccio di fibre tessili di cotone, lurex, ciniglia e poliestere ho creato una complessa composizione con diverse texture da cui emergono ritagli di piante medicinali dell’Amazzonia e silhouette femminili. A queste si mescolano nomi di botaniche, parole e nomi di piante in lingua indigena, e parti del corpo che con esse vengono curate. Testo e immagine si fondono in un’unica potente narrazione visiva.
Infine, nella project room, mercoledì 25 settembre verrà presentato un video, che completa il percorso concettuale ed espositivo. Realizzato con immagini di archivio, riprese nei giardini botanici e negli archivi di Londra e Zurigo e la tecnica dello stop motion unita al collage, il video si concentra sulla vite e sulle scoperte di alcune delle botaniche prese in considerazione nel progetto e conduce lo spettatore in un viaggio visionario tra parola e immagine.
GM: La pubblicazione, edita da Marsilio Arte, è un elemento complementare del progetto.
LV: La pubblicazione è a tutti gli effetti parte integrante del progetto. Oltre ai testi scritti per l’occasione dall’antropologo Manfredi Bortoluzzi, dal curatore e teorico d’arte contemporanea Marco Senaldi e la curatrice Solveig Lønmo, contiene anche le biografie delle botaniche. La parte visiva è stata costruita a partire dai miei collage sui quali, Carmen Malafronte, grafica di Marsilio, è intervenuta in uno stretto dialogo concettuale e formale.
ATP: Ultima domanda di rito: progetti per il futuro?
LV: Durante le mie ricerche ho raccolto una grande quantità di materiale e fatto scoperte interessanti che non possono essere esplorate completamente in un unico progetto, per quanto complesso e articolato. Nei prossimi lavori vorrei sicuramente continuare a sviluppare i temi legati alla botanica e al sapere medicinale, continuando ad esplorare e approfondire l’arte tessile.
Per il 2025 c’è già in programma una bipersonale con Laura Pugno, presso la galleria di Francesca Simondi a Torino.
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La desinenza estinta
di Lucia Veronesi
a cura di Paolo Mele e Claudio Zecchi
21 giugno – 13 ottobre 2024
Presentazione del video mercoledì 25 settembre 2024, ore 12.00
Ca’ Pesaro Galleria Internazionale d’Arte Moderna
progetto vincitore della XII edizione 2023 di Italian Council
Curato e prodotto da Ramdom (Italia) realizzato in collaborazione con il Nordenfjeldske Kunstindustrimuseum MiST (Trondheim, Norvegia); con il sostegno dell’Università di Zurigo – Dipartimento di botanica sistematica ed evoluzionistica e Dipartimento di biologia evoluzionistica e studi ambientali (Zurigo, Svizzera); Goldsmiths University (Londra, UK); Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna (Museo di destinazione dell’opera); l’Istituto Italiano di Cultura di Oslo.
Catalogo Marsilio Arte
Il progetto è realizzato con il supporto di Collezione Luca Bombassei.
Cover: Lucia Veronesi, La desinenza estinta, 2024 Tessuto jacquard effetto lampasso di trame 300 x 500 cm. Vista dell’installazione, Ca’ Pesaro Galleria Internazionale d’Arte Moderna, Venezia Foto di Francesco Allegretto