Lorenzo Vitturi, T293 | Esercizi per la sollecitazione di uno sguardo assopito

Le sue immagini, al netto degli appigli interpretativi offerti dal racconto che le accompagna, restano immagini, infinitamente stratificate e complesse, come del resto lo sono le identità e le rotte percorse dalle persone e dagli oggetti incontrati dallo sguardo dell’artista, a Lagos così come a Roma, Londra o Venezia.
8 Marzo 2018

Testo di Vasco Forconi

In occasione della sua prima personale nella galleria T293 Lorenzo Vitturi (Venezia, 1980) propone un corpus di opere provenienti da un più ampio progetto intitolato Money Must Be Made, e risultato di una residenza condotta dall’artista nella città di Lagos in Nigeria. L’esperienza percettiva che Vitturi offre al suo spettatore è improntata su un registro decisamente essenziale ed è finalizzata a stabilire la centralità assoluta dell’immagine fotografica. Sono infatti del tutto assenti quegli elementi installativi e scultorei con cui l’artista in passato ha occupato lo spazio delle gallerie e del museo. Motivo costante di questa mostra è invece il contrappunto tra due diversi registri visivi: enigmatici rifiuti tecnologici coperti da una fitta polvere monocroma vengono ritratti in primo piano, come fossero le ultime tracce di una civiltà scomparsa all’improvviso; ad affiancarli una serie di donne e uomini di cui non vediamo i volti e sculture dall’identità altrettanto misteriosa. A connettere questo frammentario insieme di immagini contribuisce una trama di sottili richiami cromatici, che l’artista tesse anche grazie all’aiuto di bande di colore rosa tenue, stese in modo uniforme e geometrico su porzioni di parete della galleria.
Grazie al testo che accompagna la mostra scopriamo che queste enigmatiche fotografie sono il risultato del paziente progetto di ricerca condotto dall’artista all’interno e all’esterno dell’entropico mercato di Bolugun, nella città di Lagos. Nel corso della sua residenza Vitturi osserva e incontra i venditori di questo mercato, che ritrae avvolti in abiti coloratissimi e nell’atto di trasportare voluminosi carichi, sullo sfondo di elaborati elementi tessili. Secondo una modalità operativa che da tempo contraddistingue la sua ricerca, l’artista raccoglie inoltre oggetti di diversa natura, organica e inorganica, ma sempre contraddistinti da un’infinita ricchezza della trama. Una volta giunti nel suo studio londinese – che svolge la funzione di teatro di posa – gli oggetti, dipinti e alterati, vengono ricomposti in complesse e fragilissime sculture per essere poi fotografati, stampati, nuovamente assemblati e rifotografati, in un processo di messa in abisso che conduce finalmente all’opera definitiva.

Lorenzo Vitturi - Natural man-made, Oyinbo, and moving beats, 2018 - installation at T293, Photo by Roberto Apa - Courtesy of the Artist and T293, Rome.

Lorenzo Vitturi – Natural man-made, Oyinbo, and moving beats, 2018 – installation at T293, Photo by Roberto Apa – Courtesy of the Artist and T293, Rome.

Se a un primo sguardo potremmo ricondurre le immagini a una recente tradizione di post-internet art, la natura interamente analogica del loro processo di alterazione denota al contrario una profonda volontà di adesione al reale, e un profondo senso di stupore e amore per la qualità tattile dei materiali che le compongono. È sempre grazie al testo che i polverosi scarti tecnologici rivelano la loro identità: si tratta degli ultimi abitanti della Financial Trust House, una colossale struttura di cemento eretta a Lagos nel 1987 per ospitare aziende, banche e compagnie aeree ma da tempo completamente abbandonata. La natura entropica del mercato di Bolugun, in un raro processo di gentrificazione al contrario, ha sovrastato e inghiottito il grattacielo al punto da spingere gli investitori internazionali a trasferire altrove i loro affari.
Eppure l’immaginario che Lorenzo Vitturi propone al pubblico non si esaurisce in questa narrazione dualistica. Le sue immagini, al netto degli appigli interpretativi offerti dal racconto che le accompagna, restano immagini, infinitamente stratificate e complesse, come del resto lo sono le identità e le rotte percorse dalle persone e dagli oggetti incontrati dallo sguardo dell’artista, a Lagos così come a Roma, Londra o Venezia. Basti pensare al fatto che l’Aso-Oke, abito tradizionale Nigeriano quasi onnipresente nelle foto scattate da Vitturi, è in realtà spesso prodotto in Cina e importato in Nigeria solo in un secondo momento. Persino la mostra si rivela come un piccolo tassello all’interno di un più ampio tessuto di segni, che forse trova proprio nel libro la sua dimensione più completa e naturale.
Quindi dove risiede la natura profonda dell’immagine proposta da Lorenzo Vitturi? Forse nella piacevole vertigine interpretativa a cui sottopone il nostro sguardo assopito, al quale l’artista richiede lo sforzo di andare più a fondo nell’interpretazione dei segni, dell’immaginario e quindi dei processi identitari che l’esperienza contemporanea del reale ci offre.

Lorenzo Vitturi, White Tarpaulin, Chinese Cloth and Ewe Agoin, 2017 archival pigment print, anti-glare glass, 130 × 86 cm - Photo by Roberto Apa - Courtesy of the Artist and T293, Rome

Lorenzo Vitturi, White Tarpaulin, Chinese Cloth and Ewe Agoin, 2017 archival pigment print, anti-glare glass, 130 × 86 cm – Photo by Roberto Apa – Courtesy of the Artist and T293, Rome

Lorenzo Vitturi, 7th Floor Internal View, 2017 archival pigment print, anti-glare glass, 130 × 86 cm- Photo by Roberto Apa - Courtesy of the Artist and T293, Rome

Lorenzo Vitturi, 7th Floor Internal View, 2017 archival pigment print, anti-glare glass, 130 × 86 cm- Photo by Roberto Apa – Courtesy of the Artist and T293, Rome

Lorenzo Vitturi, Untitled (Cotton), 2017 - archival pigment print, anti-glare glass 75 × 50 cm - Photo by Roberto Apa - Courtesy of the Artist and T293, Rome

Lorenzo Vitturi, Untitled (Cotton), 2017 – archival pigment print, anti-glare glass 75 × 50 cm – Photo by Roberto Apa – Courtesy of the Artist and T293, Rome

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