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Lorenzo Vitturi – Borgo Roma. Paesaggio in transizione | E.ART.H. Foundation di Verona

Intervista con l’antropologa Caterina Borelli che ha collaborato con Lorenzo Vitturi alla mostra in corso fino al 6 gennaio 2025 alla E.ART.H. Foundation di Verona

Il 25 settembre è stata inaugurata la mostra Borgo Roma. Paesaggio in transizione, un progetto realizzato da Lorenzo Vitturi in collaborazione con l’antropologa Caterina Borelli. L’esposizione, allestita negli spazi della E.ART.H. Foundation di Verona, analizza la storia sociale dell’area geografica di Borgo Roma, quartiere industriale della città che ospita la Rotonda – la più grande Stazione Frigorifera d’Europa fino agli anni Trenta, ora sede dello spazio espositivo. 

Il lavoro di Vitturi è fotografico ed installativo: combina materiali diversi rappresentativi per la storia del quartiere: fili d’erba, piccoli blocchi di cemento, tessuti, frutta. Queste installazioni vengono create fondendo ogni serie di oggetti in uno stampo di ghiaccio, un riferimento simbolico alla funzione originaria della Rotonda. Il ghiaccio viene inoltre impiegato nella stampa di una serie di ritratti fotografici di alcuni abitanti di Borgo Roma, che hanno contribuito alla mostra condividendo le loro testimonianze. Caterina Borelli svolge in questo progetto un ruolo fondamentale; è assieme a lei che Lorenzo Vitturi si reca nel quartiere per realizzare dei sopralluoghi, intervistando chi ha da sempre vissuto in questa zona e che nel passato ha conosciuto il degrado e la violenza. Gli spazi dei Magazzini Generali, che comprendono l’edificio della Rotonda, sono stati infatti per anni una delle grandi piazze di spaccio del Nord Italia. Questo lavoro di ricerca si concluderà con la creazione di un catalogo, in uscita a novembre, con un’esposizione più completa del materiale prodotto da Vitturi rispetto alla selezione presentata in mostra. Alle oltre sessanta immagini realizzate da Lorenzo Vitturi si accompagneranno i testi di Caterina Borelli, con le interviste fondamentali per l’interpretazione delle scelte dei materiali utilizzati nelle installazioni. In un’intervista, oltre ad un approfondimento sul tipo di ricerca condotta per Borgo Roma, Caterina fa emergere elementi fondamentali per la storia del quartiere – e per la produzione di Lorenzo – che raccontano un passato culturalmente potente nella realtà dei Magazzini Generali.

Clarissa Virgilio: Avete parlato nella presentazione delle perlustrazioni sul campo nell’area di Borgo Roma, che hanno dato poi origine alla scelta dei materiali delle installazioni e alla realizzazione di alcuni ritratti. Come ha contribuito la tua formazione e soprattutto che cosa hai fatto durante le perlustrazioni?

Caterina Borelli: Io mi occupavo delle interviste. In alcuni casi si trattava di persone che aveva già conosciuto Lorenzo – lui ha iniziato a lavorare al progetto da prima che entrassi a farne parte – ma non solo. Queste persone facevano parte di una serie di associazioni e collettivi come Nuova Acropolis, Teatro Tenda, Interzona. Poi c’è stata una serie di persone che conosciuto girovagando per il quartiere. Alcuni di loro compaiono anche nei ritratti esposti in mostra: la cameriera di un bar, un signore di origini pakistane che gestisce una un’agenzia di viaggi, un barbiere indiano. Domandavo loro come si trovassero a vivere nel quartiere, da quanto tempo vivessero lì. Spesso erano delle chiacchierate informali, magari si andava a bere un caffè in modo molto spontaneo. Diverse erano le interviste fatte ai membri di collettivi o associazioni, che ci hanno aiutato a ricostruire il contesto di Borgo Roma negli ultimi vent’anni. Quello che per me è stato all’inizio un po’spiazzante rispetto al modo in cui sono normalmente abituata a lavorare sono stati i ritmi serrati di lavoro, perché chiaramente in antropologia siamo abituati a lavorare su tempi molto più lunghi. Inizialmente avevo paura che non sarei stata in grado di fare quello che mi si chiedeva, perché per me ragionare in termini di settimane o pochi mesi è singolare rispetto alla metodologia della nostra disciplina, che invece richiede almeno sei mesi, di solito qualche anno, per portare avanti una ricerca.  Ho capito che si può fare molto anche in poco tempo se ci si concentra su poche cose, su quelle giuste. Mi sono occupata anche della ricerca di archivio fatta per ricostruire il passato più recente di Borgo Roma, con particolare enfasi sugli eventi dagli anni Novanta in poi. La mia è stata una lunga fase di ricerca teorica e sul campo che si sta concludendo adesso, con la presentazione del catalogo che avverrà a inizio novembre. In mostra c’erano alcune delle didascalie che ho scritto: sono parte integrante del progetto, perché servono a decodificare le immagini di Lorenzo, che sono estremamente ricche di significati a prima vista forse non immediatamente interpretabili. Le sue sono opere ad alto impatto visivo: molto saturate, colorate, piene di materiali diversi. Basterebbero anche da sole a creare un’impressione, però questo effetto aumenta se si conosce la storia dietro alla scelta di ogni elemento. Quegli oggetti non sono lì solo perché “ci stanno bene”. Tutto ha una ragione di essere.

Installation view: Lorenzo Vitturi, “Borgo Roma. Paesaggio in transizione (2024)”, progetto sostenuto dal bando Strategia Fotografia 2023, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. Copyright Lorenzo Vitturi Studio, Venezia – Foto: Nicolò Lucchi
Installation view: Lorenzo Vitturi, “Borgo Roma. Paesaggio in transizione (2024)”, progetto sostenuto dal bando Strategia Fotografia 2023, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. Copyright Lorenzo Vitturi Studio, Venezia – Foto: Nicolò Lucchi

CV: Quindi diresti che la scelta degli oggetti sia stata determinata dalle interviste che hai realizzato?

CB: Non sempre. A volte era così, altre invece il processo era completamente inverso. Ad esempio, io mi sono ritrovata a ricostruire la storia dell’ex zincheria Bertrams solo in seguito alla raccolta di materiali operata da Lorenzo all’interno dello stabilimento. Questi materiali sono poi stati inseriti nelle sue sculture. In altri casi ancora, foto e dialoghi sono avvenuti nello stesso momento, come in occasione del nostro lavoro negli orti comunitari. Li abbiamo scoperti quasi per caso, vagando alla ricerca di spunti. Eravamo insieme, il che non accadeva sempre: spesso perlustravamo in solitaria. Ci siamo avvicinati e subito abbiamo incontrato Angelo, residente di Borgo Roma da ormai una quarantina d’anni ed originario della Sicilia. Angelo ci ha accompagnato all’interno degli orti, facendoci fare un giro. Abbiamo cominciato a tornare, conoscendo le persone che avevano una porzione di orto in assegnazione. Ci siamo molto affezionati a questo luogo, era un’oasi verde nel mezzo del deserto urbano in ebollizione (ride). In quel caso le mie chiacchierate più o meno strutturate e il processo fotografico di Lorenzo sono avvenuti in contemporanea ma autonomamente. Abbiamo fatto degli approfondimenti in due direzioni differenti e separate, poi ci siamo confrontati. Credo che le mie influenze mie sul suo lavoro e sue sul mio siano state tutto sommato estremamente equilibrate. Tutto fa parte della storia che vogliamo raccontare. Ogni frammento ha un motivo per essere lì e questo motivo va spiegato: questo è il mio compito. Nel catalogo ci saranno una sessantina di immagini, quindi quasi il triplo rispetto a quelle esposte ora in mostra. Quella della scrittura è un’operazione di decodifica che sto continuando. Nel catalogo ogni immagine avrà la propria didascalia.

CV: Tu le definiresti soltanto didascalie? Io credo che sia stato proprio il materiale scritto da te a determinare la scelta degli oggetti utilizzati nelle opere di Lorenzo. Forse “didascalia” è riduttivo come termine perché entra quasi in un rapporto gerarchico con l’opera, quando invece testo ed installazione sono in questo caso assolutamente interdipendenti.

CB: Sì, probabilmente hai ragione (ride). Le abbiamo sempre chiamate didascalie per capirci, fra di noi. Ma forse sarebbe più opportuno trovare un altro termine. In questo caso i miei testi hanno un ruolo diverso da una didascalia, evidentemente. 

CV: Io penso che soprattutto per gli abitanti, ma anche per chi ci lavora, il grande progetto di riqualificazione della Rotonda sia stato un fattore positivo. D’altra parte, non si può negare che questo tipo di operazioni porti ad un inevitabile processo di gentrificazione. Durante le interviste avete incontrato, magari tra le vecchie generazioni, delle voci discordanti? 
CB: Le trasformazioni della Rotonda sono state poco sentite dagli abitanti del quartiere. Prima di questi interventi, gli abitanti tutta l’area dei Magazzini Generali non la frequentava. Era percepito come uno spazio totalmente avulso al quartiere, un buco nero. Negli anni ‘80 e ‘90 Borgo Roma era uno dei grandi hub italiani dello spaccio di eroina. Prima intorno ai Magazzini c’era un muro che chiudeva tutta l’area e che ora è stato abbattuto. Dicono che ora a Borgo Roma si stia meglio, che sia molto più tranquillo rispetto a venti o trent’anni fa. Per loro è cambiato forse l’impatto visuale, perché non c’è più il muro. Ma non lo frequentavano prima e non lo frequentano adesso. Negli anni Novanta nella Rotonda si era installato il collettivo di Interzona. Si tratta di un’associazione culturale che in realtà esiste ancora, anche se non ha una sede fissa al momento. Sono stati loro a far rivivere la Rotonda. Hanno creato un centro di produzione culturale di fama internazionale. I membri di Interzona e di Teatro Tenda sono stati tra gli interlocutori principali in questo lavoro di ricerca, ci hanno aiutato ad assumere una prospettiva critica nei confronti di questa operazione. L’impresa di riqualifica ha avuto per il loro progetto un impatto negativo ed improvviso. Nel catalogo se ne parlerà molto di più di quanto si è visto in mostra. Purtroppo, tutte le realtà come Interzona e il Teatro Tenda sono state lasciate da parte e soprattutto dimenticate. All’inaugurazione dell’edificio tutta l’operazione è stata presentata come un’impresa di recupero di una parte di città molto importante che versava nel degrado più assoluto, come se tutto quello che era stato fatto negli ultimi vent’anni non fosse mai esistito. Capisci? Non sono stati menzionati. Ritengo che queste associazioni abbiano fatto veramente un’operazione di presidio culturale e sociale, facendo presenza e proponendo delle alternative al degrado. Sembra che siano stati cancellati completamente, come se non fossero mai esistiti. Il fatto che noi in mostra li menzioniamo è importante, il loro lavoro è importante e dovrebbe essere ricordato. 

Installation view: Lorenzo Vitturi, “Borgo Roma. Paesaggio in transizione (2024)”, progetto sostenuto dal bando Strategia Fotografia 2023, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. Copyright Lorenzo Vitturi Studio, Venezia – Foto: Nicolò Lucchi

CV: Alla luce di questo aspetto, se dovessi presentare il tuo lavoro di scrittura come lo definiresti? Si può parlare di un testo di denuncia?

CB: Io parlerei semplicemente di un racconto; ognuno trarrà delle considerazioni personali. In generale, per un antropologo credo sia difficile trovare un “punto di equilibrio” di oggettività scientifica, perché gli strumenti di misurazione sono esseri umani. Pensare di essere totalmente oggettivi è illudersi, perché ognuno di noi ha dei condizionamenti ideologici e culturali. La mia è da sempre per natura stata una posizione molto “coinvolta”. Non ho mai avuto una scrittura distaccata, nemmeno negli articoli accademici. In generale, credo che anche solo scegliere cosa raccontare sia fare una scelta politica. Lo stesso Lorenzo, con le immagini, ne ha fatta una. 

CV: Tu hai raccontato che ogni oggetto che è inserito all’interno delle installazioni di ghiaccio di Lorenzo racconta una storia. C’è qualche oggetto presente in mostra o nel catalogo che ha raccontato una storia particolarmente toccante per te? 

CB: Forse ti direi che sono i materiali legati ai grandi assenti, i protagonisti della storia culturale di Borgo Roma negli anni Novanta e Duemila. Per me è stato toccante sentire la storia del direttore di Teatro Tenda Alberto Bronzato, che compare tra i volti dei ritratti in mostra, di tutti gli sforzi fatti negli anni dalla compagnia teatrale. Con la riqualificazione hanno perso il loro spazio, hanno dovuto svendere il tendone acquistato per i loro spettacoli: adesso viene usato da un concessionario di auto usate di Brescia. Mi hanno toccato di più le opere in cui emerge questo passato molto recente. Esposta in mostra c’è una grande stampa in cui in un angolino compare una tessera socio – ghiacciata – di Interzona risalente al 2005. 

CV: Mi viene quasi da pensare che in realtà la mostra che abbiamo visto sia soltanto il progetto di restituzione di un lavoro più ampio, formalizzato nel catalogo realizzato dalla vostra collaborazione.

CB: Teniamo molto al catalogo, perché è ciò che resta nel tempo. E se l’esposizione in mostra crea un impatto emotivo più forte sul visitatore, in un testo c’è più spazio e si riescono a comunicare messaggi, informazioni nuove, emozioni. Si può restituire un’immagine integrale della ricerca dell’ultimo anno. Credo che leggendo il catalogo si possa dedicare più tempo ad osservare i piccoli dettagli, che per noi sono stati fondamentali per raccontare Borgo Roma. 

Installation view: Lorenzo Vitturi, “Borgo Roma. Paesaggio in transizione (2024)”, progetto sostenuto dal bando Strategia Fotografia 2023, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. Copyright Lorenzo Vitturi Studio, Venezia – Foto: Nicolò Lucchi