È una penombra surreale quella che ammanta gli spazi della Fondazione Merz, così Michal Rovner (Israele, 1957) decide di intervenire in maniera suggestiva e interiore sfruttando, dall’esterno all’interno, i pieni e i vuoti architettonici dell’intero edificio. L’artista amplia e modifica anche strutturalmente parte della sala principale, oscurando le vetrate industriali e innalzando uno scenografico e inedito tramezzo. Il progetto site- specific di video mapping, dedicato iconograficamente alla figura dello sciacallo, si presenta di grande impatto visivo, ambientale e sonoro, strutturato concettualmente quasi come un luogo mentale, uno spazio asettico carico di imponenti visioni notturne.
Dunque questa immersiva rappresentazione totemica, che anima con una teoria di sciacalli le enormi facciate portanti nello spazio circostante, diviene la raffigurazione di uno spirto guida perennemente in allerta contro le paure della contemporaneità, della relazione con l’altro e del confronto. Un sentimento di crisi che oramai riguarda a più livelli non solo i rapporti umani, sempre inclini alla fuga dal sociale e al rifugio nel virtuale, ma soprattutto gli stadi interiori del nostro essere, percepiti come un continuo stato di agitazione dovuto a ciò che non vogliamo affrontare, conoscere e rispettare.
Tra i suoni e gli ululati che riecheggiano nella notte l’immagine animata del canide lupino, animale selvaggio per definizione, dimostra – secondo l’esperienza diretta dell’artista – un senso di fiducia e un atto di coraggio e riconoscimento nei confronti dell’uomo. L’incontro con la femmina di sciacallo, vissuto dalla Roven nel buio della radura, rimanda tra le ampie tematiche anche quelle legate al superamento dei limiti, dei confini geopolitici e alla crisi dei rifugiati, ripensati come pattern visivi che abitano uno sfondo in continuo movimento. Quella di Michal Rovner è un’opera impegnata e di ampio respiro contemporaneo che invita a una convivenza tra l’uomo e la natura e a un’attenzione tra la natività e la civiltà, un sentire smosso già nel 1974 nella celebre pellicola di 16 mm dal titolo I like America and America likes me di Joseph Beuys.