Ritorna con la sua settima edizione a Centrale Fies Live Works (19-20-21 luglio 2019), programma annuale dedicato alla performance, nato come premio e configuratosi nel tempo come vera e propria piattaforma continua di ricerca sulle pratiche performative, nelle loro molteplici declinazioni e variazioni. Il progetto, fondato nel 2013 e curato da Barbara Boninsegna e Simone Frangi con la collaborazione di Daniel Blanga Gubbay, si concentra sulle ricerche contemporanee live ampliando la nozione di performance, comprendendo dunque anche «sound and new media art, lecture performance, multimedia storytelling, pratiche coreografiche, pratiche relazionali e progetti che discutono l’idea di performance al di là del corpo».
Ecco gli artisti selezionati per Live Works Vol. 7: Nana Biluš Abaffy (AU/HR), Katerina Andreou (GR/FR), Rehema Chachage (TZ), Ndayè Kouagou (FR), Dina Mimi (PA), Magdalena Mitterhofer (IT/DE) e Astrit Ismaili (KV/NL), Ceylan Öztrük (CH/TR), Charlie Trier Laban (DK/NL) e Cristina Kristal Rizzo (IT), Kat Válastur (GR/DE).
Gli artisti ospiti che li affiancano sono: Invernomuto con Black Med, Juli Apponen, Life is hard and then you die. Part 3, Marie-Caroline Hominal & François Chaignaud con Duchesses, The Otolith Group con The third part of the third measure e Sofia Jernberg, One pitch: birds for distortion and mouth synthesizers.
I 9 selezionati hanno a disposizione una prima residenza artistica di produzione a Centrale Fies iniziata il 6 e terminata il 16 luglio, a cui ne seguirà una seconda: questi dieci giorni di lavoro hanno visto l’intreccio di diverse tipologie di curatela, dall’accompagnamento teorico e tecnico alla Free School of Performance, che si è costruita attorno alle studio visit individuali e collettive, alle critical session e ai reading group.
Tra il 19 e il 21 luglio, le performance prodotte verranno presentate al pubblico a Centrale Fies dove sarà presente un board curatoriale che incontrerà i residenti: Christine Eyene (Direttrice artistica della 5° edizione della Biennale Internazionale di Casablanca 2020, Marocco); Elvira Dyangani Ose (Direttrice di The Showroom, London); Ane Rodríguez Armendariz (Direttrice artistica di Tabakalera, International Centre for Contemporary Culture, Donostia/San Sebastián, Spagna); Hicham Khalidi (Direttore del Jan Van Eyck Academie, Maastricht, Paesi Bassi); Ash Bulayev (Direttore di Onassis AiR: (inter)national artistic research residency program, Atene, Grecia); Danjel Andersson (Direttore di Dansehallerne, Copenaghen, Danimarca).
Ho occasione di intervistare Simone Frangi alla fine della prima settimana di residenza per chiedergli un bilancio provvisorio e a che punto sono le produzioni di Live Works.
Simone Frangi: Abbiamo fatto una prima settimana di residenza, i progetti iniziano a prendere forma, anche se quest’anno erano già molto precisi sulla carta. Dal terzo giorno c’è stato il primo studio visit collettivo con la presenza di Daniel Blanga Bubbay che, per quest’edizione, ci segue principalmente per i momenti di lavoro di gruppo, all’inizio e alla fine della residenza.
In questi giorni gli artisti si stanno interfacciando anche con lo staff tecnico di Centrale Fies, e si preparano agli studio visit individuali con i curatori e le producer. Io, Barbara Boninsegna, insieme a Maria Chemello e Giulia Morucchio seguiamo in maniera specifica ogni produzione per circa un’ora ogni due giorni, dando feedback agli artisti su quello che producono in prova. Ci sono una serie di progetti che vedono il coinvolgimento di più performer che progressivamente raggiungono la Centrale per lavorare con gli artisti selezionati dopo una prima fase di maturazione. Quindi anche i progetti più complessi in termini di numeri e formato si stanno strutturando.
ATP: Entriamo più nello specifico delle performance: ci dobbiamo aspettare lavori singoli o molti lavori che coinvolgono invece più performer nella realizzazione?
Simone Frangi: Come sai diamo priorità al progetto e alle pratiche e quelli che abbiamo scelto quest’anno sono a geometria variabile. Tre performance sono co-autoriali: quella di Nana Biluš Abaffy che è un lavoro collaborativo a lungo termine con la performer Parvin Saljoughi, quella di Magdalena Mitterhofer e Astrit Ismaili, anch’esso un progetto inedito a due teste e il lavoro di Cristina Kristal Rizzo e Charlie Laban Trier che prende forma per la prima volta proprio per Live Works. Ci sono poi progetti come quello di Kat Válastur, che lavora con dei danzatori con cui ha instaurato un processo creativo estremamente dialogico. Anche Katerina Andreou ha strutturato il suo progetto creando una simmetria con la ricerca sul movimento portata avanti da Ioanna Paraskevopoulou, che nel lavoro emerge come un vero e proprio alias dell’artista. Ci sono evidentemente progetti portati avanti da autori singoli, che in alcuni casi vedono la collaborazione di strutture o abitanti del territorio, come nel caso di Ceylan Öztrük che dall’inizio della residenza lavora con una belly dancer trentina».
Parliamo delle studio visit e Simone mi dice che sono basate su «una prassi della critical session in cui tutto il gruppo degli artisti in residenza dà con grande generosità feedback formali o concettuali agli altri partecipanti. Questo dispositivo risponde a una logica di orizzontalità: sono collettive, tutti partecipano, dai curatori agli artisti allo staff di Centrale Fies, e le questioni teoriche ed artistiche si misurano con la pragmaticità delle questioni tecniche.
ATP: Arriviamo proprio alle questioni tecniche di produzione delle performance di Live Works: ci sono dei lavori particolarmente complessi da questo punto di vista?
Simone Frangi: In dialogo aperto con i curatori e gli artisti in residenza, le questioni tecniche vengono risolte e trattate giornalmente dalle incredibili squadre che abbiamo qui a Fies, dallo staff luci, a chi cura l’allestimento delle sale, coordinate da Maria Chemello e Giulia Morucchio che seguono gli artisti in maniera accurata con una funzione di project manager. C’è un’organizzazione molto complessa attorno ai progetti degli artisti. Ci sono, come sempre, progetti più ambiziosi a livello di tecnica e fornitura tecnologica e alcuni che hanno delle necessità molto vicine alla spettacolazione dal vivo così come la conosciamo. Le due sale chiamate Turbina, sono quelle in cui si interviene in maniera più consistente dal punto di vista tecnico: sono grandi, sono ambiziose, creano una serie di aspettative evidentemente anche nel pubblico, che cerchiamo puntualmente di decostruire.
ATP: Quali lavori saranno presentati negli spazi della Turbina 1 e della Turbina 2?
Simone Frangi: Ci saranno il lavoro Zeppelin Bend (25’) di Katerina Andreou che ti dicevo prima, il lavoro Hypernating (45’) di Charlie Laban Trier e Cristina Kristal Rizzo e il lavoro GREEN NASIM (60’) di Nana Biluš Abaffy e Parvin Saljoughi.
ATP: Passiamo ora a parlare dei guest performer di quest’anno: Invernomuto, Juli Apponen, Marie-Caroline Hominal & François Chaignaud, The Otolith Group e Sofia Jernberg.
Simone Frangi: Già dall’anno scorso la semantica di questa sezione è cambiata, preferiamo chiamarli guest artist e non guest performer perché nel nostro lavoro di ricerca abbiamo registrato che il performativo non necessariamente è legato al live in senso stretto, ma può depositarsi anche in pratiche video e installative: quest’anno ad esempio abbiamo un progetto video The Third Part of the Third Measure di The Otolith Group che è un bellissimo film di 50 minuti dedicato al compositore, pianista e cantante d’avanguardia Julius Eastman, una figura importantissima della musica concettuale afro-americana e militante antirazzista. Quello che stiamo cercando di fare attraverso il programma di guest artist è da una parte presentare al pubblico anzitutto dei lavori già prodotti e già ‘allenati’ e rappresentativi di formati che ci interessano e dall’altra creare una condizione di tranquillità nei residenti di Live Works. In un qualche modo le performance degli artisti in residenza sono così inserite simbolicamente nel segno di altre performance, di altri lavori riusciti.
Abbiamo un lavoro di Invernomuto, Black Med, che è un’opera a tendenza archivistica e dunque è totalmente espansiva: è un progetto che procede a capitoli e la prima versione è stata presentata a Manifesta a Palermo l’anno scorso. Gli archivi musicali nel Mediterraneo di Invernomuto continuano ad aumentare quindi noi avremo una performance di 2 ore circa che gioca sulla commistione tra dj-set e lecture performance. Poi abbiamo un lavoro di Juli Apponen che è una lecture performance – noi siamo molto molto legati a questo formato fin dai primi anni di Live Works – e questo lavoro è molto interessante perché è una lecture autobiografica che racconta appunto il percorso di transizione dell’artista, anche nelle sue componenti materiali, il percorso per la riassegnazione di genere che viene raccontato in maniera piuttosto fredda e distaccata. Poi abbiamo un bellissimo progetto che è una sorta di ponte, si tratta della performance One pitch: birds for distortion and mouth synthesizers di Sofia Jenberg: un anello di congiunzione tra Live Works e Alma’s Club. Questo lavoro ci interessava moltissimo perché da una parte va molto nella direzione della ricerca musicale e la sperimentazione vocale in ambito concettuale ma dall’altra, all’interno della sua sperimentazione, porta avanti delle istanze forti che noi ogni anno esploriamo con Live Works, in particolar modo le crisi identitarie – dalle geopolitiche a quelle di genere: un lavoro al quale siamo arrivati da due direzioni diverse. Un altro intreccio è il legame molto forte tra la ricerca di Jenberg e il film di The Otolith Group perché la figura di Julius Eastman è stata molto importante anche per la pratica artistica di Sofia.
LIVE WORKS Vol. 7
Dal 19 al 21 luglio 2019
Centrale Fies, Dro, TN
A cura di Barbara Boninsegna e Simone Frangi
Gli artisti selezionati per Live Works Vol. 7: Nana Biluš Abaffy (AU/HR), Katerina Andreou (GR/FR), Rehema Chachage (TZ), Ndayè Kouagou (FR), Dina Mimi (PA), Magdalena Mitterhofer (IT/DE) e Astrit Ismaili (KV/NL), Ceylan Öztrük (CH/TR), Charlie Trier Laban (DK/NL) e Cristina Kristal Rizzo (IT), Kat Válastur (GR/DE).