
“Siamo gli animali della Foresta. Da ogni dove siamo accorsi per venire qui, ad Albisola, per modellare l’argilla in forme di uomini, piante e stelle e per creare dei mostri amici”. Così il poeta e critico d’arte Édouard Jaguer descrive la comunità artistica che si riunisce ad Albisola nell’estate del 1954, in occasione dello storico Incontro Internazionale della Ceramica. La fabbrica Giuseppe Mazzotti si trasforma in un laboratorio sperimentale e libero, in cui artisti come Enrico Baj, Asger Jorn, Roberto Matta, Emilio Scanavino e Lucio Fontana lavorano, si confrontano ed esplorano nuove tecniche, confermando come questo mezzo espressivo sia capace di interpretare il contemporaneo con rinnovata forza poetica. Un sodalizio temporaneo ma determinante per la storia dell’arte, in quanto coincide con la prima azione programmatica del Movimento Internazionale per un Bauhaus Immaginista (MIBI), anticipando quelle istanze radicali che prenderanno poi forma nell’Internazionale Situazionista.
La Fondazione Emilio Scanavino di Milano volge lo sguardo proprio a quegli anni con una mostra (aperta fino al 22 giugno)che riporta alla luce le sperimentazioni degli Albisolaire e il loro ruolo pioneristico nella commistione di arte, design e architettura.
L’esposizione, Les Monstres Amis. Emilio Scanavino e la X Triennale, curata da Marco Scotini e Michel Gauthier, tratteggia le sinergie comuni tra i protagonisti di quella stagione, attraverso un’attenta selezione di opere e materiali d’archivio.
I curatori, partendo dalla rilettura della figura di Scanavino, proprio nell’Istituzione a lui dedicata, inseriscono la sua opera in un più ampio contesto internazionale, restituendo la carica innovativa di quel periodo perché, come afferma lo stesso Scotini nel catalogo edito da Cimorelli, “trovando fazioso, oltre che errato, l’allontanamento di Scanavino operato dalla critica, credo che la mostra in oggetto possa spostare l’attenzione piuttosto sullo scambio culturale e formale di Scanavino con gli altri artisti coinvolti”.



Provenienti da correnti artistiche e movimenti internazionali – il disciolto gruppo Co.Br.A (Asger Jorn, Karel Appel), il Movimento Pittura Nucleare (Enrico Baj, Sergio Dangelo), lo Spazialismo (Lucio Fontana), il Surrealismo (Roberto Matta) – questi artisti sono stati animati da un’urgenza comune, ovvero il superamento delle regole accademiche e delle rigidità del funzionalismo, in favore di un linguaggio espressivo più libero, gestuale e immaginifico.
Nonostante le poche testimonianze fotografiche e documentali, la mostra rievoca l’atmosfera dinamica della Sala delle Ceramiche, allestita da Joe Colombo durante la Decima Triennale di Milano nel 1954, dove vennero esposti i lavori realizzati da Emilio Scanavino, Enrico Baj, Sergio Dangelo, Corneille, Asger Jorn, Roberto Matta e Lucio Fontana, nello stesso anno proprio ad Albisola.
I segni e i graffiti dal carattere fortemente primitivo e magico, incisi nelle terrecotte o abbozzati dal pennello nella tela, ricorrono nelle diverse opere rendendo difficile talvolta distinguere la mano dell’artista. Le ceramiche insieme ai dipinti, i vasi, i bozzetti e gli schizzi, ma anche l’apparato documentaristico, come la corrispondenza epistolare, restituiscono complessità e risonanza a una delle stagioni più fertili – e meno narrate – dell’arte del Novecento.
Se Albisola diventa il fulcro di queste nuove sperimentazioni, in questo contesto, Scanavino si distingue non solo come artista, ma anche come protagonista di un processo di innovazione. La sua partecipazione alla X Triennale, infatti, non si limita alla sola mostra collettiva nella sala delle ceramiche: riguarda infatti la sezione merceologica allestita da Sergio Asti e Franca Helg, e anche il Chiosco del fiore, una struttura progettata insieme all’ingegnere Mario Bardini nel Parco Sempione. La piccola architettura prevedeva un rivestimento in ceramica blu, decorato dallo stesso Scanavino che per quell’intervento venne premiato con la Medaglia d’argento per la ceramica dalla giuria della prestigiosa istituzione culturale milanese.
La decorazione delle piastrelle ceramiche – oggi andate perse ma di cui restano dei prototipi simili a quelli presentati nell’attuale mostra – sono esemplificative di come questo materiale ibrido ma allo stesso tempo popolare diventi un mezzo artistico autonomo e riesca ristabilire il primato dell’immagine sulla forma, sfidando le tradizionali separazioni tra le diverse discipline artistiche.




