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Le mostre nelle gallerie di Torino | Franco Noero, Tucci Russo, Giorgio Persano e Simóndi

La nostra selezione di mostre torinesi inaugurate in occasione di Artissima e aperte fino ai primi mesi del 2025.

Anche quest’anno, in occasione di Artissima sono diverse le gallerie sparse per la città di Torino che hanno presentato i loro nuovi progetti espositivi. La galleria Franco Noero di Torino ospita un nuovo capitolo del progetto di Martino Gamper (Merano, 1971), arricchito e riadattato per questo contesto. Gamper, celebre per il suo 100 Chairs in 100 Days, presentato a Londra nel 2007 e alla Triennale di Milano nel 2009, continua la sua esplorazione della sedia come oggetto scultoreo. Durante la recente residenza alla Haus der Kunst di Monaco, ha realizzato una serie di sedie sperimentali utilizzando materiali eterogenei e combinando tecniche artigianali e industriali. Ogni pezzo, imperfetto e unico, è concepito non solo come oggetto funzionale, ma come strumento di indagine sociale. Con la mostra Sitzung (fino al 1° febbraio 2025), Gamper porta nei suggestivi spazi torinesi un’opera che fonde arte, design e performance. Le sedie, liberamente spostate e ricollocate, invitano il pubblico a interagire con esse in modo spontaneo, trasformando la galleria in un luogo di incontro, riposo e gioco. L’allestimento, già sperimentato alla Haus der Kunst di Monaco di Baviera, include un importante aspetto performativo: eventi ispirati al teatro-danza di Pina Bausch creeranno per tutta la durata della mostra un’esperienza immersiva e partecipativa, sottolineando il carattere relazionale e in continua evoluzione del lavoro di Gamper.

Gilberto Zorio alla Galleria Tucci Russo | Foto: Archivio fotografico Tucci Russo Studio per l’Arte Contemporanea, Torre Pellice e Torino. Courtesy: Gilberto Zorio e Tucci Russo Studio per l’Arte Contemporanea, Torre Pellice e Torino

Fino al 1° febbraio 2025 la mostra di Gilberto Zorio (Andorno Micca, 1944), presso la sede torinese della galleria Tucci Russo si configura come un percorso esperienziale in cui le opere sembrano vibrare del loro respiro. All’ingresso troviamo Giunchi con arco voltaico (1969), un’opera pionieristica che intreccia giunchi sospesi, rame, gomma e scintille elettriche. La scarica dell’arco voltaico, temporizzata e intermittente, diventa il simbolo di una vitalità che non si lascia ingabbiare. Qui, Zorio invita a cogliere l’energia nella sua essenza più pura: non trattenuta, ma liberata. L’elasticità dei giunchi suggerisce la dinamica della natura e il potenziale infinito dell’energia che attraversa ogni cosa. Stella Vostok (2013) si presenta invece come un emblema di orientamento e velocità. I cinque giavellotti, intrecciati tra loro, richiamano traiettorie spaziali, come frecce che indicano percorsi possibili. Questo senso di direzione si fonde con il simbolismo animale e protettivo di Stella di cuoio su giavellotti (2007), in cui il cuoio – metafora della pelle e del nostro legame con la natura – sottolinea la relazione tra vulnerabilità e protezione, tra corporeità e spirito. Il simbolo a cinque punte si fa metafora della sintesi tra intelletto e materialità con Stella di pergamena abbracciata dal compasso (2024), zona liminale tra l’idea e la sua realizzazione. L’opera suggerisce quasi una danza delicata fra il trattenere e il lasciar andare, un equilibrio precario che riflette la natura stessa dell’energia. Nella terza sala della mostra, Stella di pergamena (2020) e Stella per purificare le parole (2023) si confrontano materialmente e concettualmente: la pergamena nella prima è utilizzata da Zorio per evocare il primo supporto scritto dell’uomo, così come il fosforo, contenuto in una delle punte spezzate della seconda stella e illuminante l’intera superficie dell’oggetto, richiede – come espresso dal titolo – una purificazione delle parole. Le impronte dell’artista sulla terracotta evocano quella primordialità intrinseca della memoria e della traccia, mettendolo in relazione con il suo stato più istintivo e animalesco, mentre ciò che ci distingue in quanto esseri umani è proprio la parola.

Herbert Brandl. Into the light, installation view, Galleria Giorgio Persano 2024 | Photo Nicola Morittu. Courtesy Galleria Giorgio Persano

Spostandosi alla galleria Giorgio Persano, si trova un nuovo progetto espositivo di Herbert Brandl (Graz, 1959), dal titolo Into the Light (fino al 25 gennaio 2025). Dopo la significativa personale del 2017, questa nuova mostra presenta dipinti di grande formato, opere recenti che incarnano il linguaggio potente e anticonvenzionale dell’artista austriaco. Brandl, da sempre attento a sovvertire le aspettative della tradizione accademica viennese, si conferma una figura di spicco dell’arte contemporanea internazionale, capace di tradurre le tensioni del nostro tempo. Distinguendosi per un approccio che abbandona la totalità per privilegiare il frammento, l’incertezza e il conflitto tra ordine e caos, le opere di Brandl si caricano di una trepidante incertezza, richiamando al contempo l’eredità di artisti come Kokoschka e Kubin. Le sue tele, dominate da paesaggi che evocano montagne frastagliate o violenti fenomeni atmosferici, non cercano di descrivere la natura, ma la liberano dalla sintesi della forma attraverso il colore. Brandl si distingue per un naturalismo che si sgretola sotto il peso del gesto pittorico e della materia cromatica, come in No title (2024), in cui le montagne svettano graffiate e trascinate dal bianco che le caratterizza. Le opere diventano così un campo di forze in cui la natura si dissolve in un’esplosione gestuale che rifiuta la rappresentazione. Contestualmente negli altri spazi della galleria si trova una seconda mostra – sempre fino al 25 gennaio 2025 – che vuole essere un omaggio a Julião Sarmento (Lisbona, 1948 – Estoril, 2021), uno degli artisti portoghesi più significativo sul piano internazionale e nome ormai storico di Persano. Un progetto espositivo che fa da contraltare alla carica visiva di Brandl e che qui defluisce in opere più neutre, caratterizzate da figure femminili prive di volto su sfondi bianchi e materici, che esplorano il corpo e il desiderio attraverso l’intimità e l’alienazione. Nelle opere di Sarmento l’altro è assente, non c’è la reciprocità, bensì una connessione che si costruisce solo con se stessi; un parassitismo che non cerca la relazione, quanto piuttosto una sorta di nutrimento esclusivo e temporaneo. Ad esempio, Parasite (contingent rather than constitutive) (2003) suggerisce una presenza che si insinua attraverso l’intimità di un atto auto-esplorativo intrusivo e solitario. Le silhouette senza tratti distintivi sono a tutti gli effetti degli archetipi, fantasmi di se stessi; diventano, per via ossimorica, gli unici testimoni di una fisicità consumata nell’attesa di qualcosa che non arriverà: e che, forse, non è più così necessaria.

Julião Sarmento, installation view, Galleria Giorgio Persano 2024 | Photo Nicola Morittu. Courtesy Galleria Giorgio Persano

Terzo Purgatorio di Gabriele Arruzzo (Roma, 1976) prende corpo invece negli spazi della galleria Simóndi (fino al 21 dicembre 2024). Un ciclo di opere, creato tra il 2023 e il 2024, si impone come un momento di maturazione profonda dell’artista, sia sul piano stilistico che esistenziale. Predomina il nero, reinterpretato non solo come evocazione dei “periodi neri” di maestri come Burri e Rothko, ma anche come simbolo di un tempo sospeso, un limbo purgatoriale che avvolge e trasforma le figure che si innestano sulla tela. Nelle opere qui esposte, Arruzzo esplora il confine tra vita e morte, realtà e immaginazione, utilizzando il colore come veicolo per trasmettere attesa, inquietudine e introspezione. L’intero ciclo si sviluppa come un racconto frammentato del presente: un mosaico di immagini disparate che l’artista trasforma in collage pittorici rigorosi e tecnicamente complessi. La logica che attraversa le sue opere è più vicina a una riflessione sulla decadenza, sul collasso della capacità di dare senso al nostro tempo. È un’arte che, pur nell’apparente caos visivo, sembra suggerire che la separazione delle cose, la loro catalogazione in compartimenti stagni, porterebbe inevitabilmente alla loro distruzione, alla perdita stessa del loro significato. Gli elementi devono restare mescolati, confluire gli uni negli altri, come se ciascuno di essi fosse, a sua volta, in cerca di una forma di salvezza o, più ancora, di senso.

Cover: Martino Gamper. Sitzung, Galleria Franco Noero, installation view | Foto Sebastiano Pellion di Persano.   

Gabriele Arruzzo. Terzo Purgatorio, Galleria Simondi, installation view