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Le giovani menti della NABA di Maloberti

[nemus_slider id=”57358″] Ricerca di delicatezza e di ipertrofici scenari sadomasochistici sono i connotati emersi nelle due piccole mostre ospitanti i lavori degli studenti giunti alla fine del triennio di arti visive alla NABA, sotto l’insegnamento di Marcello Maloberti. Il tutto...

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Ricerca di delicatezza e di ipertrofici scenari sadomasochistici sono i connotati emersi nelle due piccole mostre ospitanti i lavori degli studenti giunti alla fine del triennio di arti visive alla NABA, sotto l’insegnamento di Marcello Maloberti. Il tutto ha avuto luogo da Current a Milano, per due soli giorni: il 21 e il 23 giugno.

Nella prima mostra dominava un clima gentile e dai toni ‘soft’, con opere di morbido impatto visivo. Si passava dal video donnetreccia di Ginevra Gatti — in cui delle giovani ragazze dai seni sodi si raccoglievano vicendevolmente i capelli in una treccia, una dietro all’altra — a Tears di Martina Badalamenti — un piccolo cubo (10cm) di ferro completamente arrugginito dalle lacrime che l’artista ha versato sullo stesso (quasi fosse una boccacciana Lisabetta da Messina che piange sul suo basilico iper concimato: chissà se anche qui c’è questo fiorire sulle rovine). L’opera di Camilla Riscassi, Sartre, è costituita, invece, da una piccola distesa di sabbia su cui è stato spryato il nome del grande filosofo omonimo, con un oro che sembrava quasi esorcizzare la Nausea del suo pensiero. Oppure ci sono opere in dialogo più stretto con la storia, e con la guerra. Come B di Federica Pesci, una risma di 1500 fogli bianchi su cui ha stampato altrettante formule di bombe chimiche usate negli scontri bellici degli ultimi anni: raggruppandoli è come se avesse creato una bomba letale che, però, si esaurisce sul farsi, nel bianco dei fogli e nell’innocenza della scritta d’inchiostro nero. Oppure Alessandro Polo, in no fool like an old one, crea un’installazione in cui due bombe inesplose, contenute in due cilindri ferrosi ormai arrugginiti, sono state appoggiate su un masso si granito, reso comodo, però, da un velo di pluriball: come se due anziani arnesi da guerra vengono fatti riposare su cuscinetti d’aria. Tra le altre opere — di Francesca Camarrata, Cecilia Meroni, Ilaria Carosi e Cecilia ParentiMarina Talamonti realizza un orizzonte largo due cm realizzato mediante una canalina (a terra) contenente della sabbia, che divide poi a metà l’intero spazio espositivo: una fessura da cui spiare il deserto.

exhibition view
exhibition view
Alessandro Polo,   no fool like an old one,   65x40x15 cm,   granito,   pluriball,   ferro,   2016
Alessandro Polo, no fool like an old one, 65x40x15 cm, granito, pluriball, ferro, 2016
Martina Badalamenti,   Tears,   cubo di ferro arrugginito con lacrime,   10x10 cm,   2016.
Martina Badalamenti, Tears, cubo di ferro arrugginito con lacrime, 10×10 cm, 2016.

La seconda mostra, invece, contiene una cassaforma rettangolare contenete della polvere di cemento (un miscuglio tra riposo e aggressività, tra sensualità e artificiosità), opera di Byron Gago dal titolo Giardino. Giulia Cortese realizza Voglio, un’incisione su ottone che ricorda le targhette dorate di medici e avvocati sui lussuosi portoni dei loro studi. Qui, invece, vengono incise frasi masochistiche, del tipo “Voglio stringerti le palle”. Forse un po’ troppe per ricordare l’icasticità del nome-cognome dei dottoroni. Alessia Mosca realizza il video Pontormo, in cui due ragazzotti palestrati e lampadati recitano in spagnolo il celebre Il libro mio del pittore omonimo, dove descrive (tra le altre cose) il giorno per giorno del suo regime alimentare, con una con precisione ipnotica a metà tra opera d’arte e nuda confessione autobiografica. Anche Benedetta Incerti ritorna sul corpo, costruendo Clavopolis, una mazza di legno inciso cosparsa di borchie, pronta per essere presa in mano e usata per dare piacere ad un amante del dolore.. Laura Menti, invece, realizza una maschera in feltro informe, quasi lancinata dopo atti di violenza. Mi racconta che è una reinvenzione, o ripensamento, delle maschere africane, poi decostruite e mescolate per crearne una nuova, ma in realtà inconsistente. A mio avviso ricorda, ancora, un feticcio sessuale adatto a giochi poco raccomandabili, forse Kubrick ne vedrebbe qualcosa di simile. Chissà se qualcuno avrà letto Sade…

Poi ci sono approcci al mondo dell’“essere umani e artisti” (difficilissimo!). Carlo Gambirasio ha presentato tre meccanismi in acciaio a forma di scodella che, grazie ad un dispositivo alla base, ruotavano continuamente su se stesse. All’intero c’era un’irregolare pallina di argilla che, grazie all’ondulazione continua al loro interno, pian piano andava modellandosi verso la perfezione: “È un po’ come il mito dell’origine dell’uomo, nato dall’argilla e poi perfezionatosi. L’elemento meccanico e ingenieristico, simbolo dello sviluppo industriale, lo ha poi reso perfetto”: come titolo ha scelto Metanthropos. Sempre in argilla è, poi, Noûs di Flavia Scirè, una corona d’argilla, sempre come la materia da cui venne plasmato il primo uomo, che sarebbe il simbolo dell’essere artisti: “Non vanno le punte della corona verso l’alto come i nostri propositi?”. Erano presenti anche opere di Carmine Agosto, Francesca Cirnigliaro e Bianca Ponzi.

exhibition view
exhibition view
Alessia Mosca,   Pontormo,   video full hd a colori con sonoro,   4 min,   2016
Alessia Mosca, Pontormo, video full hd a colori con sonoro, 4 min, 2016
Flavia Scirè,   Noûs,   argilla,   16x16x16 cm,   2016
Flavia Scirè, Noûs, argilla, 16x16x16 cm, 2016
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