
Guardando le opere di Phebe Unwin, esposte nella Pattern Room della Collezione Maramotti, è difficile credere che dietro ai quei paesaggi non ci sia una fotografia o un bozzetto preparatorio. La costruzione dei piani attraverso blocchi di colore e la messa a fuoco accennata sembrano infatti rimandare ad un’immagine pre-costruita e successivamente tradotta in pittura. A cancellare qualsiasi intento fotorealistico è però la capacità della Unwin di inserire tra quei livelli di colore un’atmosfera, di “dipingere come si sente un oggetto e non come appare”.
Davanti alle opere, in particolare a quelle di grandi dimensioni come “Ascent” o “Nightfall” (entrambe del 2018), ci troviamo così immersi in un paesaggio che sembra aprirsi per superare i limiti della tela e nel quale oggetti e persone sembrano essersi inseriti in un momento precedente alla visione.
In “Small Figure” una figura umana è rappresentata solo in parte in quello che sembrerebbe essere un parco come se oltre la superficie pittorica l’immagine continuasse; in “Ascent” una folla sembra muoversi all’interno della tela provenendo dall’angolo in basso a sinistra verso l’angolo destro in alto. La sensazione, osservando le dieci tele, è che ognuna di loro rappresenti un momento, un particolare di una storia la cui interezza deve essere ricostruita dallo spettatore attraverso le proprie sensazioni ed esperienze.

Il punto di partenza è “Approach” l’olio su tela del 2017 dal quale deriva la serie realizzata per questa mostra il cui titolo “Field” (campo) porta con sé rimandi alla tradizione pittorica del paesaggio, alla campitura del colore e alla visione cinematografica. Elemento quest’ultimo che sembra intensificarsi in alcune delle opere esposte come “Nightfall” (2018) nella quale il punto di vista sembra coincidere con una soggettiva e in alcuni dei disegni, tutti carboncino su carta, allestiti al pian terreno della Collezione. Tra questi la raffigurazione di una figura umana intenta a raccogliere un paio di scarpe racchiude in sé tutta la poetica dell’artista inglese: gli elementi figurativi sono ridotti all’essenziale, solo il volto, un braccio e le calzature, sono identificabili, mentre una linea nera netta divide il foglio verticalmente. La sensazione è quella di osservare silenziosamente la routine mattutina di qualcuno, di essere di fronte ad un momento apparentemente senza importanza che lo sguardo dell’artista trasforma.
Per questo le opere della Unwin vanno oltre il concetto di finestra sul mondo mettendo in scena delle rappresentazioni sensoriali. In “Almost Transparent Pink” e “Sunstretch” la figura umana è del tutto assente e sono le forme e le sfumature di colore a creare un racconto emozionale, un percorso visivo suggerito da tempi e ritmi interni all’opera stessa nella quale atmosfera e profondità sono costruite attraverso il colore. In alcune tele “lo spazio sembra scendere, in alte salire” e lo spettatore sembra muoversi con esso.
Oscillando tra figurativo e astratto la Unwin crea immagini sospese in un tempo e in uno spazio indeterminati in cui la materia si fa segno e le figure e gli oggetti affiorano.





