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Con l’installazione di Laura Pugno, inaugura Spazio Instabile a Colle Val d’Elsa

Spazio Instabile, “un contenitore dall’identità nomade” ideato dal collettivo Fare Mente Locale, inaugura a Colle Val d’Elsa con L’ATTESA, installazione site specific di Laura Pugno: l’artista ha congelato 1.450 litri di acqua senza nessun impatto ambientale ed il pubblico ha atteso la sua scomparsa. Laura Pugno in conversazione con Claudia Santeroni racconta il progetto. Claudia […]

L’attesa, Laura Pugno – 2020, ghiaccio, 4.5×3 mt (credit Higo)

Spazio Instabile, “un contenitore dall’identità nomade” ideato dal collettivo Fare Mente Locale, inaugura a Colle Val d’Elsa con L’ATTESA, installazione site specific di Laura Pugno: l’artista ha congelato 1.450 litri di acqua senza nessun impatto ambientale ed il pubblico ha atteso la sua scomparsa.

Laura Pugno in conversazione con Claudia Santeroni racconta il progetto.

Claudia Santeroni – Il sottotesto dell’opera sembra essere: “quello che accade in natura dipende in gran parte da quanto avviene sinteticamente”. Mi incuriosisce il fatto che L’ATTESA sia una riflessione sull’ambiente e il paesaggio, ma realizzata in un’area industriale.

Laura Pugno – In effetti è così: una rappresentazione singola può ricapitolare un processo lunghissimo, anche millenario. E Dal primo momento in cui ho visto il locale ho subito pensato al ghiaccio, alla sua instabilità e precarietà; mi è sembrato il luogo ideale per realizzare l’opera, stabilendo un parallelo tra la cura e l’abbandono.
Il luogo che ospita l’opera – lo Spazio Instabile, così come definito dal collettivo ‘Fare Mente Locale’ (Agathe Rosa, Giacomo Ricci e Nicola Machetti) – è uno spazio ex-industriale. L’obbiettivo del collettivo è quello di utilizzare spazi in disuso, chiedendo all’artista invitato di operare con il minimo indispensabile, in sinergia con il luogo, che essi stessi definiscono come “una forma dove lo spazio diventa materia dell’opera e l’opera diventa spazio”.
Per quanto mi riguarda, ormai da vari anni mi sono abituata a riconoscere dei paesaggi in ambienti e luoghi che tradizionalmente non verrebbero definiti tali.

CS – Nel tuo lavoro leggo una correlazione importante tra paesaggi esteriori e paesaggi interiori: il consumo di questo bocco di ghiaccio è una metafora delle risorse, non necessariamente solo naturali, con cui la contemporaneità affligge i corpi.

LP – Nella mia ricerca artistica l’atto di cancellare e consumare l’immagine è sempre stato uno strumento per restituire all’esterno una possibile versione originaria di quello che la cultura ha costruito dentro di noi, cercando cioè di liberarlo il più possibile da questi condizionamenti. In questa occasione ho voluto portare questo concetto alla forma tridimensionale e dinamica, creando appunto un paesaggio di ghiaccio, un frammento di orizzonte.

L’attesa, Laura Pugno – 2020, ghiaccio, 4.5×3 mt – 2° giorno (credit Higo)
L’attesa, Laura Pugno – 2020, ghiaccio, 4.5×3 mt – 4° giorno (credit Giacomo Ricci)

CS – Il tuo impegno verso ecologia è costante, ma non sbandierato. Quale credi sia il ruolo che possono giocare gli artisti rispetto alle grandi questioni che venano il nostro presente?

LP – Certo è molto difficile parlare di una tema così impalpabile senza cadere nel convenzionale.
Nella mia pratica cerco di fare in modo che il tema del cambiamento climatico emerga spontaneamente nel corso della visione, ecco perché, per esempio, nel comunicato non ho dichiarato che la dimensione del ghiaccio realizzata in questo spazio era del il 20% della superficie calpestabile, la stessa percentuale di ghiacciai che rimangono oggi sulle nostre montagne.
Naturalmente ho cercato di fare l’opera minimizzando l’impatto energetico, utilizzando il ghiaccio prodotto in uno stabilimento di stoccaggio di gelati della Sammontana, la quale ci ha concesso di utilizzare una parte della loro cella frigorifera.
Su un piano più generale, credo che l’eco di un opera d’arte nel mondo sia purtroppo minima. In fondo il circuito dell’arte contemporanea è una nicchia culturale che tende a rincorrere il mito dell’originalità, spesso a scapito della comunicazione di concetti.

CS – La fotografia in questo processo di dissolvimento mi fa pensare ad un “memento mori”.

LP – È vero, la fotografia ha catturato i primi minuti di posa del ghiaccio, estratto dalla cella frigorifera che lo conservava a -25 gradi. Quell’attimo è stato fotografato e mostrato il giorno successivo. La forma nella sua instabilità non è stata documentata in modo ossessivo, molti mi chiedevano se fosse stato realizzato un video di tutto il processo, una timelapse.
Forse è proprio il desidero di vedere tutto e velocemente che ci rende incapaci di attenzione a ciò che cambia lentamente, ed è per questo che non esiste nessun video, ma solo alcune foto, dei passaggi più importanti e dei dettagli. Il mio desiderio era quello di portare il visitatore ad attendere l’invisibile, e il memento, caso mai, non riguarda semplicemente una morte, ma un confronto.

CS – So che uscirà una pubblicazione dedicata al progetto: puoi dare qualche anticipazione?

LP – La pubblicazione prenderà vita nel mese di dicembre. In collaborazione con gli artisti del collettivo sto elaborando un libro d’artista, che sarà accompagnato da una pagina web appositamente disegnata la quale non sarà una semplice trasposizione digitale della documentazione, ma un progetto che completa l’opera.
Il testo sarà di Pietro Gaglianò e durante la presentazione del libro e del progetto web, dialogheremo con lo scrittore Enrico Camanni.

Spazio Instabile #01 (credit Higo)