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Latifa Echakhch — There’s tears

[nemus_slider id=”43170″] English text below Tra differenza e identità, tra attualità e memoria, sempre ai limiti del visibile, Latifa Echakhch indaga la realtà sociale e politica del suo Paese di origine – il Marocco e più estesamente il Medioriente –...

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English text below

Tra differenza e identità, tra attualità e memoria, sempre ai limiti del visibile, Latifa Echakhch indaga la realtà sociale e politica del suo Paese di origine – il Marocco e più estesamente il Medioriente – partendo dal suo punto di vista, quello di artista che ha lasciato la sua patria per l’Europa. Cresciuta in Francia e attualmente trasferitasi in Svizzera, la sua è un’esperienza di immigrazione e di coesistenza tra diverse culture vissuta in prima persona; una condizione condivisa da migliaia di uomini e donne che per vari motivi lasciano la loro terra e si spostano in altri luoghi, diventando gli attori principali dei meticciati e delle trasformazioni culturali odierne. L’appartenere a diverse culture – quella di origine e quella del luogo di adozione – li rende partecipi di due civiltà, cittadini che vivono concretamente l’integrazione, esempi di fattiva interculturalità e quindi in grado di dare una nuova fisionomia al mondo.

Questo approccio caratterizza la sua di capacità di evidenziare i problemi e le contraddizioni della sua cultura di origine con grande sensibilità, emotivamente partecipe ma allo stesso tempo con la distanza necessaria per un più ampio e inclusivo sguardo in grado di osservare la realtà e comprenderla profondamente in un orizzonte non univoco che si apre alla comunicazione con l’altro. E lo fa quasi senza immagini esplicite, utilizzando materiali e oggetti semplici e familiari che priva, con un gesto irreversibile, della loro funzione trasformandoli negli elementi simbolici di nature morte del quotidiano che raccontano, semplicemente e senza sensazionalismo, la sua visione del mondo. È evidente una sorta di pudore ma anche e soprattutto la volontà poetica ed etica di andare controcorrente nel sottrarsi alla pratica esplicita del mostrare, spesso crudamente il troppo visto di una commedia di atrocità che ormai non riesce neanche più a toccare la nostra sensibilità annichilita dall’eccesso di sovraesposizione. Invece Echakhch cela e così facendo rivela, insinua nelle coscienze la necessità di una riflessione e l’urgenza di un interrogativo.

Così in There’s tearsmostra ospitata fino alla chiusura estiva alla galleria kaufmann repetto –  una serie di grandi tele realizzate con carta di giornale il cui inchiostro è stato disciolto rendendo illeggibili le notizie stampate. Il dramma di cui parlano quelle pagine è intuibile dai titoli, tra questi Our village has been almost wiped out. All the villangers have gathered in the open area. We don’t know what to do, As look as there are crises in their own countries and desperation and despair, they will look to Europe, Complain about the side effect of the treatment started to accomulate, There can be no reconciliation until there is truth. Sono storie di immigrazione forzata, guerre, povertà, sfruttamento, oggi cronaca quotidiana dai Paesi dell’area mediorientale. L’inchiostro liquefatto diventa una patina che altera e cancella le parole, una pratica manipolatrice quasi a indicare che nonostante l’informazione siamo sempre lontani dalla verità, che viene veicolata dai media e interpretata secondo le logiche del pensiero dominante. La cancellazione è anche metafora dell’azione del tempo, dell’impossibilità di conservare la memoria vivida degli accadimenti o ancora della rimozione inconscia per poter sopravvivere. Un senso di perdita e di decadimento pervade questi avori, così come le serie Untitled. Black clouds, sagome centinate in legno stoffa e acrilici, di cui vediamo solo il retro, che riproducono il profilo delle nuvole, colorate di nero come fossero cariche di pioggia prima di una tempesta. Le nubi, calate a pochi centimetri da terra, sono delle scenografie in via di disallestimento dopo l’ultima replica, che raccontano di una ineluttabile fine. Latifa Echakhch riesce così a comunicare la tragedia umana, individuale e collettiva, esistenziale e dunque universale.

Rossella Moratto

Latifa Echakhch,   there’s tears,   installation view,   kaufmann repetto,   Milano,   2015 - Courtesy The artist,   kaufmann repetto,   Milano - Photocredit Andrea Rossetti
Latifa Echakhch, there’s tears, installation view, kaufmann repetto, Milano, 2015 – Courtesy The artist, kaufmann repetto, Milano – Photocredit Andrea Rossetti
Latifa Echakhch,   there’s tears,   installation view,   kaufmann repetto,   Milano,   2015 - Courtesy The artist,   kaufmann repetto,   Milano - Photocredit Andrea Rossetti
Latifa Echakhch, there’s tears, installation view, kaufmann repetto, Milano, 2015 – Courtesy The artist, kaufmann repetto, Milano – Photocredit Andrea Rossetti

Latifa Echakhch — there’s tears

In Latifa Echakhch’s work, ink appears in diverse forms: solidified in hats that seem discarded, absorbed into large raw canvases, dripped onto the windows of a museum. Ink’s capability to channel a message is replaced by a different kind of expressiveness, non-verbal but still poignant. Latifa Echakhch’s exhibition in the gallery appears as a sober and off-scale drawing, in which the feelings and the messages are conveyed through two apparently antithetical series. The two groups of works weave together the historical and concrete reality with representation, shifting memory to a timeless dimension. there’s tears consists of a series of canvases covered with newspaper made illegible. As often happens with Echakhch’s works, the neutrality of a minimal approach implodes at the hand of the simple use of object imbued with a sociological and cultural charge.

The act of erasure and the dissolve of the printed texts result in what appears to be a reaction to the newspapers arduous content. Through a gesture that is both poetic and conceptual, the canvas becomes a window that frames reality, a reality no longer controlled by reason, and therefore tragically crude. The loss of meaning transforms into a feeling of mourning. As counterparts to the works on canvas – a sort of CMYK interpretation of the watercolour technique- are solid black groups of clouds, hung from the ceiling, dropped almost to touch the ground. The clouds can be seen as the remnants of a theater performance, abandoned vestiges of a seemingly innocent representation. At the same time, the clouds position and color introduce an opposite feeling to the scenery, evoking a sense of loss and an imminent threat. In Latifa Echakhch’s exhibition, subversion and mourning are intertwined with the apparently antithetical sense of memory and hope, mirroring life complexity and inevitable ambivalence.