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La morte e il sacro nell’opera di Steve McQueen 

L’opera di McQueen dimostra che la permeabilità tra linguaggi diversi nell’arte contemporanea può sconfinare nelle logiche del discorso, alimentando strategie di pensiero. Dimostra cioè che il territorio dell’arte contemporanea può diventare un laboratorio di pratiche interdisciplinari

La notte del 14 giugno 2017 un incendio devastò la Grenfell Tower, un grattacielo di 24 piani ubicato nel quartiere di North Kensington a Londra. Alle 72 vittime e a coloro che sono sopravvissuti al tragico evento Steve McQueen ha dedicato il film Grenfell (2019). Dopo un periodo in cui la visione era riservata esclusivamente alle famiglie in lutto e ai sopravvissuti, il film è stato presentato nel 2023 alla Serpentine South di Londra. In seguito una copia è stata depositata alla Tate e un’altra al Museum of London. Per due anni l’opera non è stata esposta, ma ora è di nuovo possibile assistere alla sua proiezione in sei città del Regno Unito: Glasgow (Tramway 8-23 Marzo 2025), Cardiff (Chapter 10 Maggio – 15 Giugno 2025); Belfast (The MAC 17 Luglio – 21 Settembre 2025); Plymouth (The Box 2026,  in data da destinarsi); Liverpool (Tate Liverpool 2026-27, in data da destinarsi); Birmingham (Midland Arts Centre 2027, in data da destinarsi).  National tour of Grenfell by Steve McQueen
La visione del film è un rituale commemorativo. La rotazione della camera intorno alla torre combusta comunica con forza l’esperienza traumatica provocata dal tragico evento. A questo proposito il sociologo Paul Gilroy scrive: «Il movimento vertiginoso dell’orbitare quel punto fisso produce nausea man mano che gli spettatori vengono trascinati nella spirale» (Never again Grenfell, Serpentine, Londra 2023, p. 11).

La rotazione della camera guida lo sguardo in una lettura a tutto tondo dell’edificio conferendo all’opera lo status di scultura, come è stato rilevato in un precedente articolo pubblicato l’8 maggio 2023: Un memoriale in piano sequenza. Steve McQueen alla Serpentine

Steve McQueen, Grenfell, 2019 (still). Courtesy dell’artista / Uscita dall’installazione alla Serpentine South nel 2023

La molteplicità dei punti di vista di una scultura a tutto tondo trasforma lo spettatore statico in uno spettatore dinamico, come nel caso del Ratto delle Sabine scolpito da Jean de Boulogne, detto Giambologna, dove a dominare sono i profili nella loro successione cinematica (Rudolf Wittkower, La scultura raccontata da Rudolf Wittkower, Einaudi, Torino 1985, pp. 177-178). Anche quando le vedute non si collegano le une alle altre, come osserva Rosalind Krauss a proposito delle opere di David Smith in Passaggi. Storia della scultura da Rodin alla Land Art (Bruno Mondadori, Milano 1998, pp. 163-188), sono sempre i profili dell’oggetto plastico ad imporsi, seppure nella loro discontinuità. 

L’esame dei contorni avviene per successione, oppure per contrapposizione come si evince dalla lettura del Trattato di Leonardo da Vinci: «Lo scultore nel fare una figura tonda fa solamente due figure, l’una è veduta dinanzi, e l’altra di dietro» (Trattato della pittura di Leonardo da Vinci tratto da un codice della Biblioteca Vaticana, a cura di Guglielmo Manzi, Libro Primo, Paragone di Pittura, Poesia, Musica, e Scultura, De Romanis, Roma 1817, p. 37). Con questa raccomandazione indirizzata agli scultori Leonardo pone il problema di come sia possibile vedere attraverso una linea di contorno da due lati opposti. Non è da escludere un riferimento di Leonardo alla linea che cambia spessore nel corso del suo svolgersi sinuoso, descritta per la prima volta da Plinio Gaio Secondo: «Parrasio conquistò il primato nelle linee di contorno del corpo». Questa linea ha la particolarità di «girare su se stessa e finire in modo da lasciare immaginare altri piani dietro di sé [mostrando] anche quelle parti che nasconde» (Storia Naturale, Volume V. Mineralogia e Storia dell’arte. Libri 33-37, Einaudi, Torino 1988, pp. 364-367). Bernand Berenson le attribuì un aspetto energetico-funzionale (“linea funzionale”). 

Profilo A e profilo B della testa dell’Apollino de’ Medici, IV secolo a.C., Firenze, Galleria degli Uffizi

A seconda dello spessore della linea, la testa dell’Apollino de’ Medici volge verso di noi il suo viso (A) oppure la sua nuca (B). La singolare operazione percettiva comporta una rotazione mentale dell’immagine di 180° e una sua riflessione speculare. Per saggiare il volume di una figura attraverso il disegno della linea di contorno, che mostra «anche quelle parti che nasconde», il nostro occhio deve passare virtualmente dalla parte opposta rovesciando la figura come si rovescia un guanto. 

L’esame dei profili o contorni, posto alla base della percezione della forma volumetrica, è dunque indispensabile alla pratica della scultura, ma non solo. Il disegno della linea di contorno, da cui deriva l’operazione di scontornatura, è un passepartout che apre le porte verso altri linguaggi. Per esempio ha consentito ad Adolfo Wildt di trasferire nella scultura uno sguardo fotografico, che poi è migrato nei “concetti spaziali” di Lucio Fontana (vedi Tra scultura e fotografia, Postmedia Books, Milano 2024. pp. 34-37), e a McQueen di trasferire nel cinema uno sguardo 

Steve McQueen, Grenfell, 2019, veduta dell’installazione. © Foto: Richard Ivey. Courtesy dell’artista

Nell’operazione di McQueen c’è però qualcosa di più del trasferimento di uno sguardo da un codice visivo ad un altro attraverso la successione cinematica dei profili. La rotazione intorno alla Grenfell Tower converte il film in una scultura monumentale, ma l’opera è anche una denuncia del capitalismo predatorio che ha causato la tragedia. Grenfell svolge altresì la funzione di mostrare il lato nascosto della tragedia (come il disegno della linea di contorno mostra il lato nascosto della figura) sollecitando dibattiti critici sul neoliberismo sfrenato, che si è reso responsabile del misfatto con la complicità di politici compiacenti. Grenfell esprime la partecipazione di McQueen al dolore di chi ha sofferto, ma è anche uno strumento che l’artista utilizza per sollecitare e tenere viva una discussione critica.

Sovrapponendo a un punto di vista quello diametralmente opposto assegniamo spessore non solo a ciò che vediamo attraverso il disegno della linea di contorno, ma anche a ciò che pensiamo attraverso il linguaggio: «E per prima cosa disse che ci sono due discorsi intorno ad ogni cosa, che si oppongono l’uno all’altro – Καὶ πρῶτος ἔφη δύο λόγους εἶναι περὶ παντὸς πράγματος ἀντικειμένους ἀλλήλοις·» scrive Diogene Laerzio (IX, 51) riferendosi al filosofo greco Protagora, il più insigne esponente della sofistica vissuto nel V secolo a.C.. Il termine “περὶ – intorno” usato da Laerzio suggerisce che per pensare attraverso due discorsi contrapposti tra loro sia necessario “girare attorno” a ciò che è preso in esame per mostrarne anche il lato opposto. Protagora è un sofista per il quale la disputa deve trovare adeguate forme espressive, aggiungendo all’agonismo della dialettica l’aspetto plastico della retorica (Giorgio Colli, La nascita della filosofia, Adelphi, Milano 1975, p. 102). 

Nella retorica-dialettica protagorea il girare intorno all’oggetto della disputa articolando «due discorsi […] che si oppongono l’uno all’altro» invita a pensare che ci sia un rapporto tra l’arte della parola nell’uso che ne fa Protagora e l’arte della linea di contorno, che oppone due punti di vista lungo lo stesso asse visivo. L’idea che il pensare attraverso il disegno alla maniera di Parrasio possa avere un rapporto con il pensare attraverso la parola alla maniera di Protagora potrà sembrare peregrina, ma è accertato che i sistemi propositivi del linguaggio interagiscono con quelli preposti alla costruzione dell’immagine mentale. 

Mi piace pensare che il vedere da due lati opposti attraverso un mezzo, parola o disegno che sia, abbia lo scopo di mostrare a tutto tondo ciò che in questo modo viene criticamente esaminato. Ecco che così il disegno della linea di contorno entra in rapporto con la dialettica e la plasticità della retorica, forse anche con la radice enigmatica della dialettica, di cui scrive Colli nel suo saggio: «l’enigma è l’intrusione dell’attività ostile del dio nella sfera umana, la sua sfida, allo stesso modo che la domanda iniziale dell’interrogante è l’apertura della sfida dialettica» (p. 79). 

Steve McQueen. © Foto: James Stopforth

L’opera di McQueen dimostra che la permeabilità tra linguaggi diversi nell’arte contemporanea può sconfinare nelle logiche del discorso, alimentando strategie di pensiero. Dimostra cioè che il territorio dell’arte contemporanea può diventare un laboratorio di pratiche interdisciplinari, come lo è tutto sommato anche la scrittura critica, che in questo articolo lega l’orbitare della camera al “περὶ” di Protagora, per mostrare come un’opera di critica sociale possa assumere una forma enigmatica, accostandosi alla morte e al sacro.