Invece di irrompere nello spazio espositivo aprendo un portone su strada, questa volta l’accesso in galleria diventa un rituale. All’ingresso di Art : Concept l’artista Ulla von Brandenburg appende un tessuto diviso verticalmente in tre parti e sorretto da una canna di bambù. Ricorda la tenda tradizionale nipponica – noren 暖簾 – apparsa oltre mille anni fa davanti alle porte delle abitazioni per proteggerle dal sole, dalla polvere o da sguardi indiscreti.
L’artista realizza il suo in occasione di una residenza di cinque mesi alla Villa Kujoyama di Kyoto. È corto al punto da lasciar vedere che c’è qualcosa dietro, e lungo abbastanza da impedire di capire cosa. Sul telo blu indaco si distinguono due figure mostruose con mani artigliate, bocche spalancate e corpi deformi che interagiscono tra loro. Rappresentate in negativo, ricordano due guardiani che proteggono l’ingresso di un luogo sacro. Per entrare bisogna oltrepassarli. E non resta che farlo soprattutto all’invito di un soffio d’aria che fa ondeggiare i tessuti.
Scostandoli, la luce naturale si introduce nella prima sala. Ma non appena i teli tornano in posizione, la luce si ritira e lascia spazio ad un universo tutto nuovo nella penombra.
Il passaggio dall’esterno all’interno dura un attimo, ma definisce il tono della mostra e anche il titolo: kekkai 結界 in giapponese vuol dire confine spirituale. Un confine che von Brandenburg ci fa ben notare, attraversare, e persino toccare.
Ci si ritrova tra nove teli lunghi e stretti – kakemono 掛物 – appesi al soffitto e disposti in più piani sfalsati. Sembrano fluttuare nello spazio. La luce li attraversa e proietta delle ombre sul pavimento che oscillano quando qualcuno passa vicino. L’artista li realizza con la tecnica di tintura katazome 型染め in collaborazione con il signor Akazaka. La tecnica consiste nell’applicare una pasta a base di riso con uno stencil inciso a mano. Durante la tintura, la pasta impedisce al colore di penetrare nelle aree coperte e una volta rimossa, rivela il motivo decorativo. È un processo artigianale, che richiede grande abilità e pazienza. Von Brandenburg sceglie colori accesi come il giallo, il rosso e l’arancio accanto a sagome scure che richiamano i disegni d’ombra giapponesi, un po’ figure umane, un po’ animali, oppure anche boschi.



Si chiamano yōkai 妖怪 ed è l’artista stessa a spiegare cosa sono nel cortometraggio proiettato nell’ultima sala della galleria:
“Lo yōkai è una creatura, una presenza o un fenomeno che potrebbe essere descritto come misterioso o strano. Gli esseri umani possono essere posseduti da uno yōkai. Gli yōkai non sono obbedienti. Non possiamo catturarli. Fanno parte di una pratica mistica. Li si trova ai margini, ai margini della società, ai margini della notte, ai margini dell’ombra.”
Il film in bianco e nero presenta una successione immagini frammentarie come un collage di materiali d’archivio: scene teatrali, sequenze di danza improvvisata, un uomo e una donna in costumi tradizionali che attraversano una foresta e poi si spingono nel buio di una grotta.. Alle note musicali si alternano momenti di silenzio o la voce narrante di von Brandenburg che pensa ad alta voce. Si interroga sulla sua posizione rispetto alla cultura nella quale si immerge ma che non le appartiene: “Come posso mostrare le immagini di qualcosa che non mi appartiene? Allora, è un prestito”. Parla della luce e dell’ombra, della separazione degli spazi, del confine tra interno e esterno, delle apparizioni — tutti temi propri al Giappone che l’artista rielabora con una progressione scenografica che amplifica la percezione.
Del resto, il suo talento coinvolgente era già noto. Nel 2020 trasforma il Palais de Tokyo in uno spazio teatrale con enormi drappeggi colorati tra cui si aggirano diversi attori. Nel 2023 investe le sale del Crystal Palace Reina Sofia a Madrid con architetture di tessuto appese al soffitto e volumi geometrici per terra. Chiunque abbia visitato le sue mostre si sarà trovato in bilico tra il ruolo di attore e quello di spettatore, senza capire dove inizi e finisca una stanza, né se stia nel bel mezzo di una cerimonia popolare o di un film di magia.
In kekkai, ciò che sorprende è scoprire una produzione completamente nuova, che attinge a un’altra cultura senza che si tratti di semplice riappropriazione. Restando fedele al suo linguaggio, l’artista tedesca restituisce la tradizione giapponese aprendo nuove prospettive che trovano le basi nello studio, nel dialogo con la comunità locale, in una ricerca rispettosa e in riflessioni profonde. Si parla spesso di come conservare e trasmettere le tradizioni culturali. Forse l’arte potrebbe davvero avere un ruolo in questa sfida, generando consapevolezza sull’eredità collettiva. Forse, diventando attori e spettatori in un nuovo ciclo di lavori di Ulla Von Brandenburg potremmo innamorarci ancora di quello che è nostro – Ulla potresti venire qui?


