Buio. Gli spazi della galleria A plus A sembrano un antro immerso nell’oscurità. Alle pareti, finestre ad arco che richiamano le vetrate delle chiese medievali: all’interno non si può vedere ciò che si trova al di fuori della stanza, ma la vetrata permette alla luce di entrare e all’immagine rappresentata di emergere. Le stanze sono divise da teli rosa, lucidi e trasparenti, che al contempo separano e uniscono. La musica gabber risuona a palla, gli occhi vagano tra le opere alle pareti, fluorescenti, colorate, accattivanti. Non ci sono pensieri, solo musica, flou, musica, flou. Un’ipnosi mistica e quasi estatica, all’interno di un ambiente che a tratti sembra una chiesa, a tratti un rave.
Il Tabernacolo – Benvenuti a Pharmakon, è il titolo della prima personale italiana dell’artista britannica Kate Dunn, progetto nato dalla collaborazione tra la galleria veneziana A plus A e la galleria londinese TJ Boulting. La mostra era già stata allestita in Inghilterra durante il periodo estivo ed è oggi visitabile, fino al 22 gennaio 2021, alla A plus A, arricchita di una serie di opere inedite che l’artista ha realizzato per e ispirata da Venezia.
“Quando ho cominciato il lavoro del Tabernacolo ero ancora entusiasta nell’attesa del momento in cui sarei stata in grado di uscire, sudare e festeggiare di nuovo. Ma quando a Londra il lockdown si è allentato e la mia mostra è stata inaugurata, ho scoperto di non essere pronta. Confrontarmi con tutto ciò su cui avevo fantasticato, mi risultava insostenibile. Pensavo di essere preparata a diventare una cavia, ma il mio cuore ha avuto un’accelerazione alla vista della pista da ballo. I nuovi lavori realizzati per Venezia parlano delle feste che abbiamo perso, del desiderio di essere pronti e del tempo che ci vorrà per arrivarci”. Kate Dunn descrive così le sensazioni di lavorare al Tabernacolo, in un percorso di ricerca iniziato durante il lockdown, tra voglia di socialità e di ballare.
La mostra, infatti, prevede un allestimento non canonico e un incipit performativo: il visitatore, prima di cominciare il percorso, partecipa ad una performance di sette minuti, all’interno di uno spazio che richiama una tenda, libero di muoversi ma costretto dai confini imposti dall’allestimento stesso. Soli nella folla, accerchiati dalla musica gabber di Shoobz Darg, ci si trasforma in un unico corpo, in trance davanti a dipinti che cambiano e si trasformano mano a mano che la musica si alza.
Kate Dunn ha un’evidente consapevolezza della tecnica pittorica – si è formata presso la Central Saint Martins School of Art and Design ed ha studiato quattro anni in Italia presso la Florence Academy of Art – e non teme di sperimentare e osare. Recuperando la forma dell’arco a sesto acuto, crea delle tavole lavorando con diverse tipologie di pigmenti – in particolare quelli UV – per interagire con le diverse condizioni luminose. Le opere richiamano le vetrate di una cattedrale, emblema dell’esperienza mistica e quasi trascendentale che l’artista vuole suscitare, ma nello stesso tempo si contraddistinguono per una gestualità forte, che pone al centro del lavoro il corpo e la sua capacità di occupare uno spazio. Ecco allora che anche il pigmento diviene organismo vivente, e il corpo protagonista. Tabernacolo e Pharmakon risolvono ciò che il lockdown ha messo in crisi, la libertà dei corpi di occupare degli spazi.
“Mi intrigava l’idea di queste opere che ci conducono dal giorno alla notte, soprattutto perché sono essenzialmente costruite attorno a quel vuoto inaspettato e spalancato che il lockdown ha creato in me, un vuoto che prende la forma di un party. Ascoltando musica gabber nella mia stanza e durante le mie passeggiate, mi ritrovavo immediatamente in una stanza buia, con corpi sudati che mi circondavano”.