A quarant’anni dalla sua apertura, era il 1977, il Padiglione de l’Esprit Nouveau è stato restaurato in soli due mesi e dall’11 novembre scorso, la replica fedele di Piazza Costituzione a Bologna dell’edificio ideato da Le Corbusier e Pierre Jeanneret per l’Esposizione universale di Parigi del 1925, è visitabile dal pubblico.
A Giuliano Gresleri, con il fratello Glauco e con José Oubrerie si deve la costruzione del padiglione che per Art City Bologna 2018 ospita la mostra Katarina Zdjelar, UNGRAMMATICAL, curata dal direttore del Mambo Lorenzo Balbi.
Katarina Zdjelar è un’artista serba nata nel 1979, che vive e lavora tra Rotterdam e Belgrado e che fa, come scrive il curatore, “dell’esplorazione dei limiti e delle potenzialità del linguaggio” il suo focus di lavoro.
Il termine “ungrammatical” (in italiano “sgrammaticato”) che dà il titolo alla mostra, suggerisce proprio questa attenzione dell’artista alle sgrammaticature, all’interpretazione e alla traduzione di un sistema linguistico-fonetico in un altro – o di una lingua in un’altra – per far emergere il grado di spaesamento, di errore, di imperfezione che le lingue e i sistemi di comunicazione hanno in sè. E, soprattutto, il loro potere di esaltazione delle differenze o di uniformazione delle stesse.
The Perfect Sound (video, 2009) – che accoglie il pubblico in uno dei casier standard del padiglione – riflette proprio quest’ultimo aspetto e ci domanda sottilmente quale sia il suono perfetto di una lingua: rimuovere l’accento straniero attraverso degli esercizi fonetici insegnati da un logopedista significa annullare una differenza linguistica o cercare una ideale perfezione della lingua che si vuol insegnare?
Sul suono e la musica sono incentrati i lavori che si trovano procedendo nel percorso espositivo My Lifetime (Malaika) (video, 2012) e Shoum (video, 2009): se il primo video racconta gli atteggiamenti corporei dell’Orchestra Sinfonica Nazionale del Ghana e ci mostra le prove dei musicisti che si addestrano sulla musica classica, un linguaggio che ha introdotto nello stato indipendente nuovi strumenti e nuove pose rispetto alla tradizione ghanese; il secondo, su piccolo schermo, ci porta sul tema della traduzione fonetica di una lingua, che risulta anche molto buffa: un inglese ascoltato da orecchi serbi, che non conoscono il testo della nota canzone dei Tears for Fears “Shout” del 1985, che diventa nella scrittura e nella pronuncia lingua sconosciuta e assolutamente nuova.
La doppia proiezione Into the interior (Last day of the permanent exhibition) (video, 2014) è un lavoro davvero potente dal punto visivo e nel suo significato politico. Girato durante lo smantellamento dell’ultimo museo esplicitamente coloniale del mondo, il Royal Museum of Central Africa di Tervuren in Belgio, ci mostra la decadenza dell’edificio, il trasloco dei reperti e lo slavato diorama che rappresenta un paesaggio dell’ex Congo belga in fase di deterioramento: un deterioramento che allude alla disgregazione della retorica narrativa colonialista che il museo ha portato avanti, fin dalla sua nascita nel lontano1897, quando il re Leopoldo II ne ha voluto la costruzione.
Infine, nella salle de bain et de sport: il video Rise Again (video, 2011), che mostra la presenza innestata e non amalgamata di un gruppo di richiedenti asilo all’interno di un bosco vicino al centro di accoglienza in cui vivono; e il dissonante e volutamente disarmonico AAA (Mein Herz) (video, 2016), un lavoro pervaso da un’aura di magica malìa, che mette in scena il volto in primo piano di una giovane e bellissima donna che canta contemporaneamente quattro differenti brani musicali, generando quell’effetto di spaesamento e di errore che fin dall’inizio aleggia su questa mostra “sgrammaticata”.
KATARINA ZDJELAR. UNGRAMMATICAL
A cura di Lorenzo Balbi,
Padiglione de l’Esprit Nouveau, Bologna
Fino al 18 marzo 2018