L’attitudine costruttiva caratterizza fin dagli esordi il lavoro di Jonathan Vivacqua. L’impiego di materiali edili e industriali – che ha utilizzato lavorando nei cantieri con il padre – e la relazione con il contesto architettonico, inteso non semplicemente come spazio espositivo ma come termine di un confronto imprescindibile, sono le costanti in una ricerca sperimentale che si determina di volta in volta come risultato di un’esperienza contingente.
L’arte traduce nella concretezza della materia la fluidità dell’accadere ed è diretta espressione della vita. Così è anche per questa personale milanese intitolata Ocean, un riferimento al mare dove Vivacqua, esperto surfer, passa buona parte del suo tempo libero a osservare il movimento delle onde in attesa del momento giusto per entrare in acqua.
Può sembrare paradossale evocare l’oceano in una stanza, attraverso la pesantezza dei materiali edili, e invece Vivacqua ci riesce, realizzando dei lavori fortemente legati allo spazio e alle sue caratteristiche ma che, allo stesso tempo, evocano un altrove inaspettato. Una comune pellicola – tesa come una improvvisata vela tra due colonne e uno dei muri perimetrali della galleria – crea un cannocchiale prospettico nero di grande impatto che modifica la percezione dello spazio, aprendo una inaspettata fuga. La luce, scivolando sulla superficie lucida della plastica, produce continui riverberi mobili che ricordano quelli delle onde marine che lasciano ritmiche impronte sulla battigia come quelle che segnano le bianche incisioni intitolate tautologicamente Sign of the sea ramp, realizzate su pannelli isolanti gessati che riproducono l’impronta della scanalatura della rampa di carico e scarico. Con doghe di alluminio gessate sono realizzati anche Sails, quattro grandi pannelli triangolari dai colori vivaci che rimandano a delle vele e Cut Back che, con il suo andamento, suggerisce l’omonima manovra a 180 gradi che definisce la curva fatta con il surf sulla cima dell’onda.
Un paesaggio mentale composto di ricordi frammentari e sensazioni momentanee che si materializzano in ordine sparso, come oggetti conservati in un magazzino. Ma non si tratta solo di una messa in scena: in queste opere c’è un consapevole omaggio all’astrattismo geometrico, al minimalismo e alla pittura degli anni Ottanta.
Jonathan Vivacqua, Ocean
The Flat – Massimo Carasi, Milano
Fino al 10 novembre 2018