Jacopo Mazzonelli – Harmonices | Spazio Cordis, Verona

La ricerca di Mazzonelli si fonda sui materiali che hanno a che vedere con la dimensione sonora e con le simbologie, numeriche e linguistiche, che sono legate all’idea di materializzazione, di oggettivazione.
16 Giugno 2021
Jacopo Mazzonelli_Harmonices, installation view, ph Marco Toté, courtesy Spazio Cordis on view Jacopo Mazzonelli, Wittgenstein, 2017, coperchio di pianoforte, capsula telefonica, sfera di ottone, sistema audio, 160x30x50 cm e Jacopo Mazzonelli, A(bracadabra), 2020, tavola armonica, ferro, 67,5×67,5×5 cm
Jacopo Mazzonelli, A(bracadabra), 2020, tavola armonica, ferro, 67,5×67,5×5 cm

La mostra personale di Jacopo Mazzonelli intitolata Harmonices e aperta a Spazio Cordis, Verona, il 13 maggio 2021 racconta lo stato attuale della ricerca condotta dall’artista trentino tra suono e arte visiva. Il progetto – a cura di Jessica Bianchera – ospita negli ambienti dell’ex ambulatorio medico una selezione di opere molto recenti, alcune inedite. 

Il titolo della mostra deriva dal trattato del 1619 di Keplero, Harmonices Mundi (Le armonie del mondo), in cui lo studioso discute alcune analogie tra armonia musicale, forme geometriche e fenomeni fisici. 

ATPdiary aveva seguito il lavoro di Mazzonelli per la mostra To be Played at Maximum Volume alla Galleria Civica di Trento nel 2017, una personale dell’artista che ospitava una serie di lavori intorno alla visualizzazione della dimensione sonora, con una componente volumetrica (non a caso) molto presente e uno studio gestuale-performativo del fenomeno musicale. Ancora oggi, l’artista si avvale di «tecniche e metodologie mutuate da diverse discipline, che hanno sempre al centro una decostruzione (concettuale, linguistica o fisica) del complesso universo sonoro», come ci spiega la curatrice Jessica Bianchera. 

La ricerca di Mazzonelli si fonda sui materiali che hanno a che vedere con la dimensione sonora e con le simbologie, numeriche e linguistiche, che sono legate all’idea di materializzazione, di oggettivazione. 

La mostra si apre con un’installazione intitolata Arc en ciel 3 minuti e 45 secondi, che corrisponde al titolo di una composizione di György Ligeti: l’opera è a forma di arcobaleno composto da sette specchietti come le sette note dello spartito. Si tratta di una forma che, se chiusa, diventa circolare o ellittica, quasi perfetta, e che richiama alla mente lo sforzo creativo del compositore il quale cerca di dare forma a ciò che per eccellenza forma non ha. 

Si prosegue poi con un lavoro che appartiene a una serie creata da alcuni album vittoriani che Mazzonelli colleziona sistematicamente e che destruttura. Album che gli interessano sia per l’epoca storica da cui derivano sia per l’aspetto materiale: sono infatti ricoperti di velluto, un tessuto particolarmente assorbente per il suono, che richiama il mondo del teatro alludendo al sipario che divide la scena. Su queste copertine modella delle corde di chitarra che nel caso dell’opera in mostra diventano il simbolo del “fortissimo”.

La seconda saletta espositiva è dedicata al pianoforte, uno strumento che l’artista colleziona soprattutto in esemplari del Settecento e dell’Ottocento e che decostruisce e smonta per creare installazioni attraverso le sue diverse parti. In A(bracadabra), ad esempio, Mazzonelli scompone la tavola armonica e la rimonta come quadro a dodici lati, andando a punzonare sulla sua superficie la lettera A, allusione alla notazione anglosassone per la nota La e prima lettera della parola “abracadabra”, una parola che vive solo della sua dimensione sonora, che non ha significato in nessuna lingua ma che ha una potenza magica in se stessa.

Jacopo Mazzonelli, Pendulum music, 2019, scatole di rulli per pianola meccanica, meccanismi di orologi a pendolo, parti di orologio, dimensioni variabili
Jacopo Mazzonelli, ff, 2020, copertina in velluto di album fotografico vittoriano, corde di chitarra, 31,5×25,5×11 cm
Jacopo Mazzonelli, Arc-en-ciel 3’45’’, 2021, specchi, chiusure di libri vittoriani, dim. compl 98x32x1cm

In sala è presente anche un lavoro dedicato alla figura del pianista Paul Wittgenstein, amputato del braccio destro, un’opera a cui era risenrvata una stanzetta anche nella mostra To Be Played at Maximu Volume ma che qui fa nascere nuovi rimandi. L’elemento estrapolato è stavolta il coperchio del pianoforte posizionato in verticale, quasi a simboleggiare l’arto mancante del musicista, e completato da una sfera d’ottone che si trova sul retro della scultura: una forma solida che si trasforma in veicolo del suono, appena udibile, che invita lo spettatore ad avere una fruizione intima e ravvicinata. 

«Il suono viene riprodotto in questa area della scultura e grazie al corpo del coperchio si espande su tutta la sua superficie».

Nell’opera Pendulum music posizionata al piano interrato dello spazio si vedono sette pendoli realizzati attraverso la destrutturazione e l’assemblaggio di diversi materiali: sono dei rotoli di pianola meccanica che contengono elementi derivanti da meccaniche di orologi. I pendoli, quando si muovono, incontrano il muro e creano un ticchettìo continuo e ritmato: inoltre, come in altri suoi lavori, questi sviluppano una dimensione grafica e disegnativa attraverso l’ombra proiettata che va a configurare una sorta di “gesto” della scultura sulla parete.

L’interesse di Mazzonelli per le modalità in cui il suono si propaga fisicamente e viene recepito dall’orecchio umano è indicato da un’opera della serie Stereofonie, creata attraverso dei passepartout tratti da vecchi album vittoriani ricoperti di tessuto a forma di padiglione auricolare. I passepartout formano un quadro-scultura che richiama le cavità auricolari e fa venire voglia di guardare con più attenzione.

L’ultima sala propone una relazione con i materiali freddi, sottolinea la curatrice: da un lato, si vede un elemento scultoreo intitolato Antipiano che è realizzato con tasti di avorio tutti bianchi, che non si possono suonare, una sorta di pianoforte al contrario che nega la possibilità di essere suonato; inoltre, questo livellamento dei tasti, questo azzeramento del nero sulla tastiera porta il potenziale pianista a non potersi orientare nell’esecuzione muscale e limita forzatamente le possibilità espressive dello strumento.
L’ultimo pezzo in mostra, recentissimo, affonda nella simbologia della riproduzione musicale che tutti noi conosciamo (i comandi “play”, “stop” e “pausa”) elaborandola in forme espanse e scultoree: sono dei solidi appesi a parete e ricoperti di velluto. 

Ritorna così sul finire della mostra questo tentativo di materializzazione del fenomeno musicale, anche tattile, che compie Jacopo Mazzonelli attraverso la ricerca sulla gestualità nell’esecuzione e nella riproduzione del fatto sonoro: un fenomeno il cui interesse accompagna tutto il percorso della mostra e della poetica complessiva dell’artista.

Jacopo Mazzonelli_Harmonices
Spazio Cordis, Verona
A cura di Jessica Bianchera
Dal 13 maggio al 30 settembre 2021

Jacopo Mazzonelli, Stereofonia, 2020, pagine di album vittoriani assemblate, velluto, passe-partout, 112,2×85,3×6,7 cm
Jacopo Mazzonelli_Harmonices, installation view, ph Marco Toté, courtesy Spazio Cordis on view Jacopo Mazzonelli, Pentagrammato, 2021, specchio inciso, chiusure di libri vittoriani, acciaio; Jacopo Mazzonelli, Antipiano, 2021, tasti di pianoforte, acciaio, feltro 8x59x18 cm; Jacopo Mazzonelli,This page is left blank to save an unnecessary page turn, 2021, debossing su carta Gmund cotton 600 g, 59,4×42 cm
Jacopo Mazzonelli_Harmonices, installation view, ph Marco Toté, courtesy Spazio Cordis on view Jacopo Mazzonelli, Pentagrammato, 2021, specchio inciso, chiusure di libri vittoriani, acciaio e Jacopo Mazzonelli, Antipiano, 2021, tasti di pianoforte, acciaio, feltro 8x59x18 cm
Jacopo Mazzonelli, Antipiano, 2021, tasti di pianoforte, acciaio, feltro, 8x59x18 cm
Jacopo Mazzonelli_Harmonices, installation view, ph Marco Toté, courtesy Spazio Cordis on view Jacopo Mazzonelli, Eject, 2021, velluti da sipario montati su telaio, 30x124x2,5 cm; Jacopo Mazzonelli,This page is left blank to save an unnecessary page turn, 2021, debossing su carta Gmund cotton 600 g, 59,4×42 cm
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