Annunciato sul finire dello scorso anno, e partito nel gennaio di quest’anno, IUNO è il nuovo progetto delle curatrici e storiche dell’arte Cecilia Canziani e Ilaria Gianni. Inaugurato nel rione Prati di Roma, il centro di ricerca sull’arte contemporanea è “pensato per dare spazio, e tempo, all’incontro tra persone, luoghi e linguaggi”.
Ogni anno adotterà una parola-guida su cui fondare le proprie attività, articolate nell’organizzazione di seminari, laboratori didattici, commissioni e residenze d’artista: Selvatico è quella scelta per quest’anno.
Il progetto è partito con i seminari Fortiniana ’22 (9, 16 e 23 febbraio) e seguirà con Zwielicht, Doppia luce (8-10 aprile), il primo curato da Daniele Balicco e il secondo tenuto da Gian Antonio Gilli.
Tra aprile e maggio seguirà la serie di letture e azioni proposta dall’artista Chiara Camoni; tra gennaio e maggio, l’artista in residenza è l’americana Allison Grimaldi Donahue, mentre, per quanto riguarda i laboratori didattici, questi saranno condotti da Luisa Gardini e Matteo Nasini (marzo-maggio); la prima commissione di IUNO, pensata “a ogni cambio di stagione [per dare]volto a Giunone [e per] essere esposta sul sito e nello spazio tra un solstizio e un equinozio”, è affidata, invece, all’artista Gaia di Lorenzo. Per comprendere a fondo la natura di questo organismo multiforme, abbiamo incontrato le sue fondatrici.
Antongiulio Vergine: Partirei dal raccontare la nascita di IUNO: quali sono stati i presupposti e perché la scelta di questo nome – versione latina di ‘Giunone’?
Cecilia Canziani e Iliaria Gianni: IUNO è Giunone, una divinità generativa e vitale, insieme ctonia e celeste, legata al ciclo lunare, alla natura, alla sessualità, al parto. Guerriera e poliade, protettrice anche della nostra città d’origine, IUNO è una e molteplice, con diverse funzioni attribuitele dalle fonti. Il suo nome non cambia pronuncia nelle principali lingue europee, un paradosso che ci piace: il latino come lingua internazionale.
A. V.: IUNO si fonda sulla lentezza, ma anche sulla distrazione e sul “perdersi come metodo”: in una parola, sul paradosso – il nome che “non cambia pronuncia nelle principali lingue europee”. Come si coniugano questi aspetti nella pratica curatoriale e progettuale?
C. C. e I. G.: I tempi e i modi della ricerca sono diversi da quelli dello spettacolo/intrattenimento. Il nostro progetto cerca di dare forma alla speculazione e di non irrigidirsi in una programmazione decisa a monte, ma di seguire con fiducia le sollecitazioni, le idee, le immagini che si percepiscono con la coda dell’occhio.
A. V.: L’identità di IUNO è molto cangiante e si articola attraverso seminari, laboratori didattici, residenze e commissioni, ispirati tutti dalla parola-guida di quest’anno: Selvatico. Raccontateci cosa rappresenta per voi questo termine, anche in rapporto alle declinazioni che acquisisce nell’ambito del progetto.
C. C. e I. G.: Selvatico è una categoria mobile. Il selvatico è il residuo, il margine, ma è anche un luogo fondativo: la prima radice. È il caos, che nella cosmogonia arcaica viene ancora prima del tempo. È ciò che si salva e che ci salva, è la natura resistente, è ciò che non è addomesticato e capace di accogliere l’irrazionale. Luogo del rito e della metamorfosi, il selvatico offre anche un’indicazione di metodo: ci invita a disarchiviare i saperi e le fonti e ad affidarci a una conoscenza non sistematica. È tutto ciò che è inafferrabile o a cui non si vuole arrivare.
Lavoreremo con alcuni aspetti del sapere che si collocano fuori dallo spazio codificato di conoscenza. A partire dal nostro pubblico ancora non “formato” di bambini, per arrivare ad analizzare figure come Franco Fortini, poco presente nei dibattici critici, eppure di grande rilievo per la storia intellettuale del Paese. Ospiteremo seminari e passeggiate che ci porteranno ad occupare uno spazio di osservazione diverso sulla città, come quelli che saranno condotti da Chiara Camoni e poi da Gian Antonio Gilli. Lavoreremo in dialogo con spazi con una natura simile a quella che stiamo sviluppando, intessendo dialoghi nel tempo. E, con il progetto di residenza dedicato alla scrittura d’arte, abbiamo cercato di colmare un piccolo buco che ci sembrava esistesse a Roma, dove ci sono poche opportunità per chi lavora con la parola nell’arte. Fino a maggio sarà nostra ospite Allison Grimaldi Donahue, con cui stiamo preparando un programma di letture collettive.
A. V.: IUNO è un centro di ricerca sull’arte contemporanea, con una propria sede fisica, ma anche una piattaforma digitale, se si pensa alle diverse opere commissionate che abiteranno le due dimensioni, online e offline, oppure ai futuri format editoriali o, ancora, ai servizi di consulenza e progettazione. Pensate di assecondare sempre di più questo suo lato, o l’aspetto “fisico” rimarrà quello preponderante?
C. C. e I. G.: Lo spazio in presenza è e rimane importante per poter pensare insieme, condividere un luogo, un tavolo, una parete, una passeggiata. Il nostro programma sarà costruito, nel tempo e con tempo, attraverso incontri e momenti di confronto. Ci interessa poter condividere il sapere e seminare la conoscenza attraverso la costruzione di progetti in cui il dialogo sia visibile. I seminari, le mostre, i laboratori avverranno tutti in presenza e saranno di ispirazione per i nuovi progetti. Ci piace pensare all’idea di continuità per IUNO, dove capitolo per capitolo arriveremo alla stesura di un testo. Il sito ospiterà materiali di approfondimento del nostro programma.
A. V.: Nei programmi di membership fate cenno a posti riservati negli incontri, a visite private negli studi d’artista e a cene che organizzerete nel corso dell’anno – attività che riconfigurano il rapporto con il visitatore. Anche queste rientrano nel discorso sulla prossimità e sul tentativo di dilatare le esperienze?
C. C. e I. G.: Sì, cerchiamo momenti di confronto più approfondito anche con il pubblico. È la qualità del tempo passato con l’arte che speriamo possa portare ad una partecipazione maggiormente consapevole. L’obiettivo è di coinvolgere il nostro pubblico (e in primo luogo noi stesse) in un percorso che assecondi la deriva, che allontani da una comfort zone, da una tendenza estetica, da una visione critica, o da un vocabolario eccessivamente influenzati dalle contingenze o dalle consuetudini. La nostra idea è aprire alla pluralità di voci selvatiche, senza timori.
IUNO, Roma, Via Ennio Quirino Visconti 55