Un paradosso secondo il quale l’assenza di semantica crea un significato universale: su questo presupposto si basa il lavoro di Irma Blank, che attraverso le sue trascrizioni e alfabeti vuole andare a rimuovere qualsiasi tipo di leggibilità, per arrivare a uno stato puro del linguaggio, là dove la perdita della logica segna la scoperta di una comunicazione assoluta.
Un percorso immersivo, quello all’interno della Fondazione ICA – a cura di Johana Carrier e Joana P. R. Neves – racconta il lavoro dell’artista lungo una monografica che contiene opere comprese in un ampio lasso temporale.
Nata a Celle, in Germania, si trasferì in Italia in giovane età: questo spostamento e le barriere imposte dalla lingua e dalla cultura impressero un punto fondamentale all’interno della sua ricerca, che la spinsero ad analizzare la parola e la lettera.
L’iterazione del gesto, il vuoto di significato, marcano il cifrario dell’artista all’interno del quale si snoda la sua pratica. Una tensione spirituale all’arte che viene tradotta anche nel suono che accompagna il gesto dello scrivere: all’interno della mostra l’aspetto acustico diventa fondamentale, scortando la visione degli spazi quasi fosse un tempio colmo di iscrizioni.
Al pian terreno l’audio è dettato da un film, Hdjt Ijrr (12’54”), realizzato per l’esposizione, dove si ascoltano persone leggere parti tratte dall’omonimo libro – Hdjt Ijrr (2001), presente in mostra -, quasi la recitazione di una liturgia. Questa serie di lavori si concentrano sull’alfabeto ideato da Blank, composto da 8 consonanti: da ciò viene sviluppato un linguaggio il cui suono ha echi di lingue a noi lontane. Troviamo qui inoltre opere tratte dal ciclo dei Global Writings, gesti che continuano ad approfondire e sviluppare una forma universale di scrittura. L’articolazione del lavoro attraverso dei cicli è una questione fondamentale della pratica di Irma Blank, ognuno dei quali approfondisce un aspetto differente della sua ricerca. Questo evidenzia come un’opera non finisca con la sua realizzazione, ma rimanda alla serie di cui fa parte, laddove i lavori nel complesso rafforzano vicendevolmente il proprio significato.
Si alternano diversi medium, diversi significanti e gestualità, ma anche diverse tecniche, spaziando dal lavoro manuale a quello realizzato mediante strumentazione tecnologica – passando dal pastello su carta (Global Writings, Poesia minima, 2004) alle serigrafie su acciaio specchiato, le cui sovrapposizioni di testi sono state realizzate al computer (Global Writings, 2000-2022).
In fondo alla sala, appeso e scompaginato, troviamo un libro che fluttua nello spazio e diventa punto di incontro (Hdjt Ijr, 2000) : un lavoro che fa da ponte e collega attraverso il suo personale linguaggio chiunque si accinga a decifrarlo.
Al piano superiore è presente un nucleo di opere più consistente, alcune sono inedite, mentre altre appartengono alle prime ricerche – come Eigenschriften, Spazio A-25 (1972) – creando un tracciato che ripercorre i linguaggi di Blank, attraverso il quale ha scandagliato la parola e la ritmicità della scrittura, tastandone i limiti. Ma qui si parla anche dei limiti del corpo: nella sala principale, in sottofondo, riecheggia la registrazione dell’artista mentre lavora alla serie Avant-testo (1998-2006) e Hyper-Text (1998-2002). Il suono della penna si articola sul foglio andando a creare un’azione quasi performativa; un suono che si fonde con le opere strutturando un linguaggio omogeneo, restituendoci il momento della scrittura. Ma il limite del corpo e le sue possibilità sono espresse anche nel lavoro Gehen, Second life (2017-2019), dove Blank sperimenta un tipo di segnica realizzato con la mano sinistra, in seguito a un problema di salute che le impedisce movimenti del lato destro del corpo. Sono linee orizzontali che occupano l’intera pagina: un segno primordiale – quello della linea – che riflette la forza ma anche la fragilità del corpo umano e il suo bisogno di registrazione.
BLANK, il nome dell’esposizione, fa sì ripresa al il nome dell’artista, ma fondamentale ne è anche il significato: “lucido”, “puro”, “spoglio”, “assoluto” sono le varie declinazioni che questa parola detiene, a cavallo fra l’inglese e il tedesco.
BLANK riflette e definisce il processo creativo dell’artista, un unico vocabolo per accompagnare la mostra.