Dopo 18 mesi senza discoteche e sale da ballo è ancora possibile immaginare la danza come momento di incontro e di condivisione?Ipercorpo, il festival forlivese dedicato al teatro e alle arti performative, ci prova portando sul palco due contributi che, tra similitudini e differenze, esplorano le possibilità della danza e dello spazio della perfomance.
Da una parte Cristina Kristal Rizzo con il suo celebre BoleroEffect, lavoro del 2014 qui riproposto insieme ad Annamaria Ajmone e alla Dj brasiliana Amazon Prim (quest’ultima in sostituzione a Simone Bertozzi). Punto di partenza ed ispirazione per la coreografa è il Bolero di Ravel, tra le partiture orchestrali più famose al mondo e composta da una singola melodia divisa in due fasi e ripetuta nove volte. La Rizzo ne trasforma la struttura compositiva in uno spazio di sperimentazione nel quale i gesti ripetitivi e compulsivi danno vita ad una sorta di dance hall post- globale – o post-pandemica, aggiornandola ad oggi – dove la collettività si riduce ad uno scambio di sguardi tra le due ballerine e ad un’esecuzione che alterna perfetta sincronia a sfasature. Il palco diventa luogo di liberazione proprio in quelle dissonanze nella ripetizione geometrica e cavalcante dei movimenti.
Dall’altra invece Silvio Lombardo, anche lui “in coppia” in pista insieme a Daria Greco con Outdoor Dance Floor. Il paso doble si fa qui più corporeo. Lombardo e Greco accompagnati dalle musiche di Bunny Dakota aka Martina Ruggeri\Industria indipendente, portano sul terreno umido del cortile esterno allo spazio del teatro dell’EXTAR una danza sensuale in un crescendo, bit dopo bit, di energia e complicità. Ad amplificarne l’intensità il visual e le luci di Daniele Spanò il cui contributo aumenta anche la contraddizione tra gli abiti d’epoca indossati dai due ballerini e il contesto contemporaneo per sonorità e movenze. È proprio attraverso il ballo che Lombardo e Greco si spogliano di quegli abiti pesanti, materializzazione di costrutti sociali, per mettere in scena l’intimità dell’incontro tra due corpi che si muovono liberi dalle convenzioni. Un momento di condivisione che il coreografo utilizza per decostruire la prima tra tutte le consuetudini del mondo dello spettacolo, quella della divisione di ruoli tra interprete e spettatore. Movimenti, pulsazioni corporee ripetute, si inseriscono in un paesaggio sonoro nel quale il singolo, l’individualità, si avvicina mano a mano all’altro, fino ad incontrarlo e ad unirvisi in una sorta di prolungamento del proprio campo di presenza, non solo fisica. Uno spazio di proiezioni e riflessi reciproci che nella seconda parte della performance si apre – letteralmente – al pubblico invitato ad assumere il ruolo di interprete. Il palcoscenico assume così la funzione di pista, di spazio collettivo dove la danza torna ad essere pratica condivisa, momento di dialogo senza parole.
Due performance che tra similitudini e differenze riportano alla luce la danza come linguaggio di tutti e per tutti con il quale esprimersi, incontrarsi, liberarsi. È la danza del tempo reale o di quello futuro?