Fino al 1917 oggetti, macchinari altri dispositivi veniva fotografati nel loro contesto. È solo a partire da quell’anno che l’attenzione si sposta dalla rappresentazione visiva della funzione ad una sorta di feticismo verso l’oggetto stesso, verso le sue forme e le sue componenti. Lo studio fotografico si trasforma in uno studio di posa all’interno del quale gli oggetti vengono immortalati isolati, illuminati alla perfezione artificialmente e posti su sfondo bianco. L’estetica pubblicitaria moderna è appena iniziata. Un cambiamento di sguardo verso la propria contemporaneità messo in luce da Inventions (fino al 3 gennaio 2021) a cura della storica della fotografia Luce Lebart per Fondazione MAST. In mostra le fotografie delle invenzioni più brillanti e geniali realizzate in Francia tra le due Guerre Mondiali presso l’Office des inventions per volontà di Jules-Louis Breton al tempo a capo del Sous-secrétariat d’État aux inventions (Sottosegretariato di stato alle invenzioni) attivo dal 1915 al 1938.
Materiale oggi conservato dall’Archive of Modern Conflict e dagli Archives nationales francesi e fortemente voluto all’epoca dallo stesso Breton per promuovere la ricerca scientifica e industriale con la volontà di accelerare i processi e garantire la rapida trasformazione di un’idea in un oggetto o in una macchina di pronto utilizzo. Le fotografie, facili da archiviare e prontamente disponibili per la presentazione di fronte ad una commissione, rappresentavano infatti una valida alternativa ai costosi e ingombranti prototipi. Separati dal contesto, accompagnati spesso solo da una breve didascalia, privi di funzione o di istruzioni per l’uso, gli oggetti fotografati appaiono come sculture, riportando alla mente alcune fotografie documentarie dei ready made, ma anche un certo filone di ricerca artistica contemporanea interessata all’oggetto in sé dalla pittura dalla Pop Art alle composizioni di Morandi.
Un elemento comune sembra collegare molte delle invenzioni in mostra, da quelle che ancora oggi fanno in qualche modo parte della nostra quotidianità a quelle che oggi suscitano un sorriso: il conflitto. Un fattore che emerge più esplicitamente come nel caso di brandine pieghevoli e trasportabili, hangar gonfiabili e allestibili ovunque, zanzariere e contenitori termici per i liquidi, ma anche strumenti per sondare i suoni dal terreno e torrette per l’osservazione di uccelli e veivoli, In altri casi, come per l’invenzione dell’aspirapolvere, il tema della battaglia emerge non tanto nella funzione pratica dell’oggetto stesso, ma in quello comunicativo. La polvere è infatti definita come il nemico, l’intruso che si insinua nelle nostre case contro la nostra volontà e che solo un getto potente, un’arma, può eliminare.
Altre immagini ancora, mostrano invece invenzioni per facilitare il lavoro domestico, dai guanti di gomma per le pulizie di primavera ai primi modelli di lavastoviglie passando per l’anello indicatore di freschezza di un uovo appena acquistato. Realizzate senza alcun intento artistico, le immagini hanno infatti innegabili qualità estetiche e tecniche. Le istituzioni sono i principali committenti, ma dietro gli scatti si celano gli sguardi visionari come Alfred Machin – specialista di cinematografia burlesca e primo a realizzare documentari sugli animali – e Jean Comandon – pionieri del cinema scientifico. Fotografie dunque nate con scopo educativo e informativo, senza alcuna gerarchia, frutto di una visione pionieristica del potere comunicativo dell’immagine fotografica e cinematografica, oggi preziosissimo ritratto di un’epoca, ma anche viaggio per immagini nella storia del design e della fotografia.
Apre in contemporanea la mostra dei finalisti del MAST Photography Grant On Industry And Work, premio che ogni due anni permette a cinque giovani fotografi l’opportunità di confrontarsi con le problematiche legate al mondo dell’industria e della tecnica, con i sistemi del lavoro e del capitale, con le invenzioni, gli sviluppi e le dinamiche della produzione. Un ventaglio di sguardi che rivelano fenomeni ed abissi rendendo visibili la complessità del nostro tempo. Una pluralità di interessi e di tecniche fotografiche che vanno dalla serie Baja Moda (Bassa moda) di Pablo López Luz realizzato in diverse città dell’America Latina con l’intenzione di raccontare l’identità e la resistenza della cultura fotografando in analogico i piccoli negozietti che ancora oggi sopravvivono alle grandi catene di abbigliamento, alle fotografie digitali in grande formato della serie Aircraft di Maxime Guyon nelle quali strutture aerodinamiche, turboreattori e pistoni idraulici sembrano fluttuare in uno spazio irreale e allo stesso tempo concreto.
L’immagine fotografica si combina con l’audio e il video nel progetto di Chloe Dewe Matthews For a Few Euros More (Per qualche euro in più) con il quale l’artista britannica porta il fruitore alla scoperta del gigantesco Mar de Plástico nella Spagna meridionale attraverso la figura di Maruf – lavoratore stagionale migrante – che in bicicletta attraversa i luoghi simbolo della trasformazione del territorio: dalla serre che producono frutta e verdura per più della metà del mercato europeo alle cave minerarie prima fonte di ricchezza della regione passando per i set cinematografici di Sergio Leone oggi abbandonati, ma un tempo mete turistiche. Il viaggio alla scoperta delle immagini e delle trasformazioni è affidato da Aapo Huhta invece ad un AI (intelligenza artificiale) in Sorrow? Very Unlikely (Tristezza? Molto improbabile) un progetto nato dalla convinzione che una fotografia non sia altro che il prodotto di un algoritmo personale frutto di un codice culturale e comportamentale, esperienze ed emotività. I sistemi utilizzati dagli ipovedenti diventano così strumenti per la lettura di fotografie provenienti dal suo archivio personale e trasformate in un racconto audio. Potrà un in futuro un AI realizzare autonomamente uno scatto?
Vincitrice della sesta edizione, Alinka Echeverría volge il suo sguardo al passato con la sua installazione Apparent Femininity celebrazione e denuncia che prende spunto dal ruolo delle donne nella storia del cinema e della programmazione informatica. Suddiviso in tre parti, ciascuna dedicata ad una pioniera, il progetto rende infatti omaggio attraverso l’utilizzo di immagini di archivio e del digitale a Grace Hopper con un’animazione tratta da una fotografia di Berenice Abbot accompagnata da una colonna sonora composta da Daphne Oram (inventrice del graphic sound), alle tantissime donne alle quali agli albori del cinema era affidato il compito di tagliare, solarizzare e montare le immagini dei negativi, e infina ad Ada Lovelace considerata la prima persona nella storia ad ideare un algoritmo espressamente pensato per essere elaborato da una macchina.