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Into the Wild, group show a cura di Christiane Rekade conclusosi l’8 aprile scoro, si è interrogato sull’idea e la rappresentazione della natura nella nostra condizione attuale.
All’interno della sede di Merano Arte, cinque artisti– Gina Folly, Linda Jasmin Mayer, Alek O., Stefano Pedrini e Luca Trevisani – hanno confrontato i loro diversi punti di vista sul tema passando da un sentimento nostalgico a punti interrogativi sul ruolo di questo elemento in una vita oggi permeata preponderantemente della digitalizzazione.
Il terzo appuntamento dedicato al tema del paesaggio e della natura, a seguito delle personali di Helen Mirra e Gianni Pettena, ha visto tra i protagonisti la figura del medico e botanico Franz Tappeiner (1816-1902), noto nella città meranese anche per aver promosso la costruzione di una passeggiata a lui intitolata. Una selezione di suoi materiali, in particolar modo provenienti dall’erbario costituito da più di 6000 esemplari, ha restituito la visione di un approccio scientifico alla materia che con alcune modifiche possiamo rintracciare nel lavoro degli artisti invitati dalla curatrice. La lettura della natura e del naturale quali luoghi dell’originario e liberi da restrizioni, sebbene legati a leggi che sono loro proprie, e quali spazi riprogettati dalla mano dell’uomo appaiono come interpretazioni degne di essere considerati casi studio in cui ogni artista si è visto coinvolto.
A seguito della mostra ATPdiary ha avuto modo di intervistare Stefano Pedrini, la cui scelta di vivere in un van nell’est dell’Australia genera una dimensione immersiva, di difficile praticità ma sicuramente di forte impatto esperienziale. Nella produzione di rappresentazioni figurative ma fortemente grafiche (Palmeti, 2014; Taraxacum, 2011; Bats, 2013) e di raffigurazioni totalmente astratte della cornice che genera di volta in volta la finestra del suo van (Views from my real estate), egli intesse la sua relazione con il naturale.
ATP: La tua scelta di andare a vivere in un van rappresenta un gesto contemplativo del paesaggio che hai attorno e allo stesso tempo una scelta politica discreta. cosa ti ha portato lì?
Stefano Pedrini: La perdita di un caro e la fine di una relazione, “Full Moon” Eden Ahbez. E’ stato il naturale “unfolding” della vita che mi ha portato a vivere nel mio furgoncino (Pizza).
Alcuni anni fa mentre sorvolavo l’oceano Indiano, il cuore di mio padre a deciso di smettere di battere, all’improvviso, la notte, mentre chissà cosa stavo facendo. Venuto a conoscenza del fatto solo dopo essere atterrato nell’emisfero australe cambio biglietto e rientro in Italia. Passati alcuni mesi riparto, direzione Melbourne dove con il passare del tempo trovo la vita di tutti i giorni un po’ opprimente e inizio a domandarmi cosa siano veramente le cose importanti della vita. Sento crescere in me un bisogno di natura e solitudine. Essendo appassionato di surf e vivendo in Australia decido di lasciare Melbourne e partire per Byron Bay, dove, dopo aver vissuto per alcune settimane in tenda in un camping e dopo aver trovato il mio “ground” comprai “Pizza” (Un Toyota Townace), la mia nuova mini finestra sul mondo.
ATP: Com’è cambiata la tua vita e il tuo lavoro?
SP: Vita e lavoro si sono adattati alle nuove esigenze. Vivere in un van non è facile, non è tutto rosa e fiori, come si vede sui social media. Non hai una doccia, non hai una cucina e un frigo vero, dormire a lato di una strada o in fronte ad una spiaggia è considerato “Illegal Camping” e il cercare di vivere cheap può morderti la coda con delle multe molto salate. Ci sono tanti pro e tanti contro in questa scelta di vita, credo che in come tutte le cose “non si vince mai”, guadagni da una parte e perdi dall’altra. Ma il bisogno aguzza l’ingegno e ci si trova capaci di fare cose per le quali non si credeva di avere le fondamenta. Alcuni momenti che ancora mi affascinano di questo stile di vita sono il minimalismo, lo stretto contatto con la luce, i suoni, i rumori. Cerco d’immaginare una vita antica, pre-o orologio, pre-sveglia, pre-stress.
Ci si sveglia con la prima luce e si va a letto con il calare del buio, si vive la pioggia e il canto di tutti gli animali che condividono il tuo nido. Il mio lavoro si è rimpicciolito notevolmente. ll ridimensionamento è stato direttamente proporzionale alla dimensione del mio spazio vitale. Abituato a vivere (fortunato) nei miei studi Berlinesi (ho vissuto per quasi 10 anni a Berlino prima di trasferirmi in Australia) che avevano soffitti altissimi vetrate grandissime e spazi per dipingere senza costrizioni, mi son ritrovato in un mini loculo della grandezza di un letto da una piazza e mezzo, il gesto naturale è stato disegnare in un diario come quando si è piccoli con le matite colorate, interpretando il mondo che si ha di fronte.
ATP: In Views from my real estate troviamo la rappresentazione di un luogo e del tuo stare nel luogo perché tutto ciò viene ricondotto ad una forma astratta?
SP: La scelta Astratta è arrivata dopo quella Realista. Le prime “Views” erano rappresentazioni basiche più o meno, scala uno a uno di quello che mi stava di fronte. Continuando a disegnare ho sviluppato un maggior interesse nel rappresentare la mia percezione della realtà piuttosto che la realtà stessa, che ho preferito fermare con la fotografia. La maggior parte dei disegni racchiude un “codice” di costruzione che è costituito dalla messa in due dimensioni su piano dei confini di ciò che si vede stando sdraiati in Pizza. Il materasso, le tendine, il baule alzato creano una cornice che ripropongo quasi automaticamente in tutti i disegni.
ATP: Cos’è e cosa ancora può essere per te la natura?
SP: Per me la natura è un “carica batterie”. La natura non mi fa sentire solo, son sempre in compagnia di qualcosa o qualcuno. Un bagno nel oceano, una surfata, una passeggiata in montagna o in collina in una foresta, tra il deserto, guardare la luna, contemplare il cambiamento delle nuvole nel cielo, l’odore del mare, la pioggia la neve ascoltare il vento. Sono grato alla natura, in qualsiasi momento. Rispetto la natura, ho paura della natura, imprevedibile e repentina. Ho bisogno della natura.
Consiglio l’ascolto di questa canzone Full Moon di Eden Ahbez