Dal 16 al 20 novembre nel Cinema della Compagnia di Palazzo Strozzi a Firenze, in occasione della IX edizione de Lo schermo dell’arte Film Festival, verranno proiettati diversi lavori video di vari artisti visivi, di Pierre Bismuth, Manuel Correa, Cyprien Gaillard, Laura Israel e altri. Ma ci sarà anche un focus rivolto esclusivamente al lavoro del duo artistico composto da Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, con 7 lavori composti dal ’93 al 2011: Contacts: Mario Giacomelli (Italia, 1994, 13’); Aria (Italia, 1993, 7’ 17”); Animali criminali (Italia, Francia, 1994, 7’ 6”); Diario africano (Italia, Francia, 1994, muto, 8’); Film perduto (Italia, 2008, muto, 11’); Ti regalero? il mio ultimo respiro (Italia, 2009, 5’); Notes sur notre voyage en Russie (Italia, 2010/2011, 15’)
ATPdiary ha deciso di fare una breve intervista a Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi.
ATP: In merito alla selezione che mostrerete allo Schermo dell’Arte. Ci saranno filmati che vanno dal 1993 al 2011, un arco di tempo che copre quasi vent’anni. Ritenete che il vostro linguaggio sia mutato nel tempo? E, per inverso, ci sono dei tratti che avete mantenuto costanti?
A.R.L.: Ovviamente il linguaggio è mutato nel tempo: ogni lavoro deve essere forte e differente, altrimenti fa dell’accademia di se stesso. Abbiamo evoluto in diversi aspetti. Nel corso degli anni ci sono stati dei cambiamenti, andiamo avanti con la ricerca, ci piace non ripeterci. E poi noi lavoriamo sì sull’archivio, però contemporaneamente abbiamo anche un altro settore, cioè quando filmiamo per noi, andando a costruire i nostro diari, come succede a partire dal ’75: e nel farlo cerchiamo spesso il lato poetico del nostro lavoro.
ATP: Ci potreste introdurre brevemente i video che presenterete allo Schermo dell’arte Film Festival di Firenze?
Y.G. e A.R.L.: Il lavoro su Giacomelli ci è stato commissionato dal Maison européenne de la photographie di Parigi, dove è considerato il più interessante fotografo italiano. È un lavoro sul lavoro di Giacomelli, ma nostro, lo abbiamo personalizzato. Poi ci sono film come Diario africano sul colonialismo; o come Film perduto con lastre fotografiche del 1911 circa che abbiamo ritrovato: studiando questi materiali ci siamo accorti essere lastre di un ospedale piemontese (sullo sfondo si vede la Mole Antonelliana). Sono lastre di arti superiori e inferiori di mondine, che hanno lavorato nelle risaie, con le braccia consumate, amputate… il film parla del dramma del mondo contadino. Il film era stato prodotto negli anni ’80, poi era stato esposto in Inghilterra e da quel momento non è più stato ritrovato. Nel 2011 abbiamo rintracciato degli elementi da cui siamo partiti per rifare in parte il film originario. Aria è pura poesia filmata, che raccoglie del materiale di inizio secolo per raccontare la storia di una donna che si trasforma in farfalla e nell’ultimo fotogramma vola. Ma c’è anche il film breve Ti regalerò il mio ultimo respiro su Walter Chiari, un caro amico oltre che un grande attore. Lui non aveva mai visto niente di nostro, poi un giorno gli abbiamo mostrato un film, gli abbiamo presentato il nostro lavoro e lui, molto colpito da tutto questo, ci ha detto una frase molto bella, che poi abbiamo scelto come titolo: “Vi regalerò il mio ultimo respiro”. Il film racconta un suo momento molto drammatico, quello precedente l’operazione alle corde vocali [che gli causeranno la perdita della voce], dove alla tragicità di alcune espressioni fanno da contraltare frasi comiche e leggere.
Insomma, a Firenze presenteremo tutti film corti, alcuni cortissimi. Non ultimo Animali criminali, un film che parte dalle considerazioni di Cesare Lombroso, che aveva criminalizzato tutto il mondo, piante e animali compresi, per arrivare all’archivio del documentarista Luca Comerio, che nel periodo della Prima Guerra aveva fatto delle riprese mettendo un animale forte contro uno debole per poi riprenderli nel momento dell’attacco, nella lotta per la sopravvivenza. Quello che ne usciva era una sorta di criminalità aggressiva dell’animale, ma noi vogliamo far riflettere su come invece sia l’uomo a instillarla per farne delle riprese: nel “dietro le quinte” delle mani quasi invisibili mettevano uno contro l’altro. Alla fine è l’uomo ad uccidere per primo per scopi che vanno ben al di là della pura sopravvivenza.
ATP: Siete registi, artisti visivi e pittori. In che modo fate coincidere i diversi media di cui vi servite?
A.R.L.: Sia io che Yervant eravamo artisti visivi, tant’è che la mia prima mostra fu a Palazzo dei Diamanti all’inizio degli anni ’70, dove esposi pittura.; mentre Yervant lavorava a Venezia con la Galleria del Cavallino. Il nostro fare pittura viene continuamente fuori, siamo sempre degli artisti… ma una cosa importante del nostro lavoro è l’uso dell’archivio, che è poi il dato che ci caratterizza. È un archivio mai girato per se stesso, è la ricerca dentro l’archivio, per studiare il materiale e servircene per parlare dell’oggi: usiamo il passato per il presente, tutto si ripete, come diceva Vico.
Per quanto riguarda l’utilizzo di diversi media, io vedo sempre un continuum tra l’immagine filmata e l’acquarello… e lo si vede nei nostri rotoli, come quello molto lungo che era stato esposto all’Hangar Bicocca, che è come un lungo film, dove ogni immagine è un fotogramma che si unisce all’altro per narrare le 16 storie armene che il padre di Yervant mi ha raccontato. E sebbene nella nostra ricerca ci sia un grande lavoro sulla memoria, sull’archivio, abbiano notato che a Parigi, durante l’incontro al Beaubourg, c’erano centinaia di partecipanti giovani. È come se ci fosse un grande interesse per la memoria da parte di persone che intendono studiare, confrontarsi con la storia e con la violenza; da parte di gente che legge e che è coltivata.
ATP: C’è una linea continua che caratterizza le vostre opere, anche col passare degli anni?
A.R.L.: Gran parte di ciò che creiamo è legato dal filo rosso di un lavoro contro la violenza. Facciamo un lavoro di ricerca, spesso poetico, dando molta considerazione anche all’atto politico dell’opera, che è stato sempre evidente.