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Intervista con Lorenzo Vitturi | Money Must Be Made

Da sempre interessato all’incontro tra differenti culture, Lorenzo Vitturi ha maturato il progetto Money Must Be Made nell’ambito di una residenza a Lagos su invito della African Artists Foundation.Seguono alcune domande sul progetto. Mauro Zanchi: Come hai strutturato nella sala di Palazzo Pepoli Campogrande la tua installazione nata dal progetto Money Must Be Made, nell’ambito […]

Lorenzo Vitturi – Praying Mat Fragments, Pink Soap, Egg and Coconut Oil, 2017, Courtesy of the Artist

Da sempre interessato all’incontro tra differenti culture, Lorenzo Vitturi ha maturato il progetto Money Must Be Made nell’ambito di una residenza a Lagos su invito della African Artists Foundation.
Seguono alcune domande sul progetto.

Mauro Zanchi: Come hai strutturato nella sala di Palazzo Pepoli Campogrande la tua installazione nata dal progetto Money Must Be Made, nell’ambito di una residenza a Lagos su invito della c?

Lorenzo Vitturi: Creare un dialogo tra il mio lavoro e uno spazio architettonico così ricco ed imponente non è stato semplice. La prima intuizione è stata del curatore, Francesco Zanot, che ha pensato di abbinare il progetto Money Must Be Made a Palazzo Pepoli Campogrande.
Nonostante l’imprevedibilità di questo accostamento, dal primo momento che ho visitato la Sala del Trionfo ho percepito un legame tra l’esplosione barocca dell’affresco L’apoteosi di Ercole del Canuti e la psichedelia rococò delle immagini di MMBM.
Entrambe le opere giocano sul confine tra realtà e finzione e creano un atmosfera di esuberante teatralità.  
L’idea dell’installazione è nata da un limite conservativo, ovvero quello di non poter usare alcuna parete. Abbiamo dunque dovuto ideare una struttura autonoma, che potesse allo stesso tempo sorreggere l’intera mostra e che rispecchiasse la natura dinamica e informale del mercato.
Partendo da queste linee guida e dalla prime conversazioni in loco con il curatore è nata l’idea di progettare una struttura autoportante, che seguisse l’andamento verticale dello spazio architettonico che è stata messa in opera dallo studio d’architettura Librizzi.
Un altro aspetto cruciale della progettazione è stato quello di esaltare l’approccio scenografico della mia pratica, realizzando un allestimento che desse allo spettatore la possibilità di vedere l’intera mostra da un unico punto di vista, come in una sorta di panottico. In questa mostra, infatti, la componente allestitiva coincide con uno degli aspetti principali del mio processo lavorativo, che vede la costruzione di forme scultoree effimere realizzate per essere osservate e fotografate da un unico punto di vista.

MZ: Cosa hai incontrato a Balogun, uno dei più grandi mercati di strada al mondo situato a Lagos, in Nigeria? E rispetto alle tue opere precedenti cosa hai raccolto da questo luogo e come è entrato nella costruzione installativa?

LV: A Balogun, che si trova nel centro storico di Lagos, ho incontrato una storia che mi ha colpito per la sua particolarità e che per molti aspetti è una continuazione speculare del mio lavoro precedente, Dalston Anatomy
Infatti, se a Londra ho voluto raccontare come la gentrificazione ha trasformato il quartiere, il mercato rionale e la sua stessa comunità, a Lagos ho incontrato una situazione inversa. 
Il Balogun Market è passato da piccolo mercato rionale ad essere il secondo più grande mercato del continente, in solo un decennio. Con questa sua crescita esponenziale ha travolto il quartiere residenziale di Victoria Island e assediato l’iconico edificio della Financial Trust House, un grattacielo brutalista simbolo del boom economico degli anni ’90, sede di alcune delle principali multinazionali e attività finanziarie del paese.
Queste due realtà fisicamente vicine ma di natura opposta creano una specularità contraria al fenomeno osservato a Londra, una “gentrification in reverse”. Il mercato informale, solitamente simbolo di fragilità e vittima della gentrificazione, diviene qui il carnefice di un centro direzionale simbolo del potere finanziario dei principali attori del turbocapitalismo.

MZ: Come hai reso visivamente l’immagine di un ecosistema sconfinato nel complesso e problematico rapporto tra l’economia globale e la povertà locale?

LV: Balogun Market, con la sua crescita esponenziale, rappresenta prima di tutto una storia di successo e di solidità dell’economia informale nel continente africano. 
Questo tipo di mercato, che sfugge alle rigide dinamiche della grande distribuzione, oltre ad essere una lauta fonte di guadagno per un cospicuo numero di commercianti, offre anche una possibilità di sussistenza agli ultimi, agli esclusi e a tutte quelle persone che non sono riuscite ad inserirsi nel sistema economico tradizionale. 
La natura dinamica del mercato e la sua capacità di adattarsi al territorio gli permette di continuare a crescere e a svilupparsi nonostante le varie difficoltà e la mancanza di infrastrutture.
Visivamente, il lavoro descrive il contrasto tra l’iperdinamismo del mercato, con il suo continuo flusso di folla e prodotti, e l’immobilismo silenzioso degli interni in disuso della Financial Trust House. In entrambi i soggetti il mio sguardo si muove dal micro al macro, realizzando una sorta di anatomia visiva delle due realtà: da una parte la FTH appare come una carcassa fossilizzata e dall’altra il mercato sembra invece un corpo vitale in costante espansione. 
Il lavoro comprende, oltre alla parte fotografica, che è una commistione di diversi linguaggi che vanno dal ritratto alla foto in studio, anche una serie di collage e una decina di stendardi con interventi tipografici su tessuto tradizionale nigeriano, che ho realizzato collaborando con un tipografo locale.
Nei ritratti mi sono concentrato su ciò che chiamo “le cellule minime del mercato”, ovvero gli ultimi arrivati nel sistema, tutte quelle persone immigrate principalmente dal nord della Nigeria che trovano nel mercato la soluzione alla propria sussistenza e che, non avendo un vero e proprio negozio, utilizzano il proprio corpo in movimento come spazio di vendita. 
I soggetti sono soprattutto donne musulmane che hanno deciso di posare senza far vedere il proprio viso. Questa loro volontà di non mostrarsi ha dettato la linea dell’intera serie e mi ha spinto a soffermarmi sull’invasione dei corpi da parte dell’impero di produzione dei prodotti a basso costo cinesi.
Nei collage, invece, cerco di riprodurre visivamente l’inarrestabile e caotico movimento della folla del mercato, che è sicuramente uno dei soggetti principali sia del progetto che del mercato stesso.
Per rappresentare la sua presenza travolgente ho stampato e ritagliato, tramite laser cut, frammenti e immagini di fotografie scattate da diversi piani della Financial Trust House e ho ricomposto i brandelli in collage impressionistici che ricreano su carta questo brulicare continuo ed imprevedibile.

Lorenzo Vitturi – Financial Trust House, 2017 – Courtesy of the Artist

MZ: Che ruolo ha la fotografia nell’installazione che era visibile al MAST lo scorso novembre?

LV: Nell’installazione al MAST ho cercato un equilibrio tra il ruolo narrativo delle immagini e il valore concettuale dell’installazione fisica.
La struttura lignea dell’allestimento, oltre ad avere la funzione di sostenere le fotografie, rappresenta, attraverso la composizione articolata e dinamica delle assi, l’ordine caotico osservato nelle strade del mercato e lo rimette in scena nel salone del palazzo.
Le mie fotografie, oltre a raccontare una storia, sono sempre il risultato di un processo articolato in cui si fondono interventi nello spazio, trasformazioni materiche e documentazione sul campo. 
Questa forma espositiva è rivelatrice dunque dell’intero processo: la teatralizzazione del quotidiano, che estrapola oggetti comuni dal loro contesto usuale e li risignifica in un nuovo spazio di azione, è una prassi che utilizzo fin dai miei primi progetti e a Palazzo Pepoli viene espressa in dimensioni architettoniche.

MZ: Quanto spazio dai al caso nella costruzione delle tue installazioni?
LV: Le mie installazioni e le mie sculture sono assemblaggi di materie ed elementi di provenienza e natura diversa. L’idea che mi guida durante la realizzazione è quella dell’ “intreccio dell’incompatibile”. Questo mantra mi accompagna sia quando realizzo sculture di piccole dimensioni che negli interventi installativi nello spazio.
L’aspetto finale di questo agire è un incontro precario di elementi, sensibile a qualsiasi sollecitazione. La forma è data dalle affinità anatomiche ma anche dai contrasti che si creano tra le diverse materie.
Nel mio lavoro non seguo un approccio aprioristico ma utilizzo un metodo che è in continuo divenire, alimentato dalle idee del progetto corrente, dalle osservazioni fotografiche sul territorio e da un’apertura consapevole verso le incursioni inaspettate del caso. Come in una composizione frattale, le mie installazioni cercano un equilibrio tra la complessità caotica dell’organico e l’ordine geometrico, tra gli accadimenti dettati dal caso e le azioni prestabilite. 

Lorenzo Vitturi – 7th Floor Internal View, 2017 – Courtesy of the Artist