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Intervista a Francesca Verga & Zasha Colah, direttrici artistiche di Ar/Ge Kunst

Le curatrici parlano della programmazione e della mission dello spazio di Bolzano, che aderisce a Biennale Gherdëina.
Eva Giolo, Memory Is an Animal, It Barks with Many Mouths, 2024. Installation view, Ar/Ge Kunst, Bolzano | © Tiberio Sorvillo

“Questo è forse il nostro appello attraverso il nostro programma: pensare il mondo attraverso un principio di non sottomissione”. Francesca Verga e Zasha Colah, direttrici artistiche di Ar/Ge Kunst, descrivono con queste parole la loro programmazione artistica nello spazio di via Museo 29, a Bolzano. Un presidio di ricerca e di produzione dell’arte, in cui la dimensione collettiva e collaborativa contraddistingue il programma, la produzione delle opere, la dimensione espositiva, la relazione con il pubblico. Una piattaforma di fabulazione, in cui realtà e finzione, storia e immaginazione si incontrano per raccontare il passato e il presente, per agire attraverso la fabula, anche politicamente. In occasione della mostra Eva Giolo. Memory Is an Animal, It Barks with Many Mouths, allestita fino al 27 luglio 2024, Francesca Verga e Zasha Colah hanno risposto alle nostre domande sulla programmazione in corso, la programmazione futura e la mission della loro direzione.

Veronica Pillon: Il 29 maggio è stata inaugurata la mostra Eva Giolo. Memory Is an Animal, It Barks with Many Mouths, che presenta un’opera video inedita dell’artista e filmmaker belga Eva Giolo (Bruxelles, 1991), commissionata e prodotta da Ar/Ge Kunst: com’è nato il film e quali temi affronta, anche in relazione alla mission di Ar/Ge Kunst?

Francesca Verga & Zasha Colah: L’idea del film è nata un anno e mezzo fa quando abbiamo invitato Eva Giolo a Bolzano e le abbiamo chiesto di pensare a una nuova produzione. Non avevamo idee precise in mente se non che, conoscendo il suo lavoro, sapevamo che lei aveva la giusta sensibilità per sviluppare una produzione filmica nelle valli ladine.
Crediamo che uno dei principali compiti di Ar/Ge Kunst, come Kunstverein, sia di sostenere l’arte contemporanea ed essere quindi centro di produzione che commissiona nuove opere ad artiste e artisti, che quindi necessitano un tempo più lungo di gestazione. Sono progetti lunghi, a volte pluriennali, che dialogano con il contesto in cui sono mostrati. In questo caso volevamo commissionare un’opera che potesse dialogare con la complessa stratificazione culturale e sociale delle valli.
Dopo un periodo di ricerca, Eva ha voluto raccontare alcuni tratti delle valli dolomitiche di lingua ladina, toccando alcune sue storie e leggende, e il suo linguaggio retoromanzo attraverso le voci ladine. Tutto il film è stato girato tra la Val Gardena, la Val Badia, la Val d’Ega e la Lessinia (Veneto), ed è interamente in questo idioma primariamente orale. La pellicola analogica, che Eva usa sempre nei suoi progetti, dà quel senso di visione onirica, meditativa, su un linguaggio filmico che è già poetico e sperimentale.
Eva Giolo ha utilizzato alcune strategie sperimentali che le permettono di esplorare i temi dell’intimità, del linguaggio, del passaggio di informazioni tra una generazione e l’altra. Come attraverso queste storie orali si mantenga viva questa cultura, sembra essere una delle domande dell’artista, in un momento in cui anche la lingua ladina è sempre più marginale, parlata solo da una minoranza linguistica di circa 30.000 persone. L’intero film sembra una corsa contro il tempo e il rischio di arrivare in un luogo dove anche le minoranze linguistiche spariranno. Sembra che i personaggi non accettino questa sparizione e vogliano continuare a scavare nel terreno in cerca di qualcosa. Il film lavora anche sulla ripetizione dei gesti, delle parole, dei sussurri.
Quando, nell’estate 2023, abbiamo parlato con Lorenzo Giusti che stava preparando la Biennale Gherdëina 9, titolata The Parliament of Marmots (“Il Parlamento delle Marmotte”), che prende spunto da una delle più note leggende delle Dolomiti, quella dei “Fanes”, ci è sembrata congeniale la collaborazione con la Biennale nello sviluppo del progetto. Anche perché parte del team della biennale è ladino e ha una conoscenza del territorio che è stata importante per guidare Eva Giolo in alcune scelte. Poi, grazie al supporto del Flanders Audiovisual Fund, abbiamo potuto finire la produzione.

Eva Giolo, Memory Is an Animal, It Barks with Many Mouths, 2024. Installation view, Ar/Ge Kunst, Bolzano | © Tiberio Sorvillo

VP: In settembre sarà allestita la mostra dell’artista e sociologa Anna Scalfi Eghenter (Trento, 1965): ci svelate qualche anticipazione?

FV & ZC: Anna Scalfi Eghenter è un’artista di Trento, poliedrica, che poco si iscrive all’interno dei casellari formalistici a cui a volte rischiamo di associare alcune pratiche artistiche. Anna utilizza formati progettuali e performance per indagare gli aspetti contraddittori e paradossali della vita sociale e politica. Allieva di Luciano Fabro, ha vissuto tra Milano e Roma per poi ristabilirsi a Trento. Molto spesso interviene nella maglia politica, legale e collettiva nella quale viviamo. Come quando durante la pandemia, per aprire i teatri, ha costruito un’operazione in cui inseriva un’attività commerciale (un supermercato) all’interno di questi luoghi culturali, che altrimenti sarebbero rimasti chiusi [INTERIM MEASURE (2021), Teatro Sociale, Trento, Centro Servizi Culturali S. Chiara]. E i bambini, una volta arrivati al supermercato, urlavano: “no ma io volevo andare a teatro!”
Abbiamo invitato Anna ad attivare negli spazi di Ar/Ge Kunst un’azione performativa e scenica, “customizzata” per utilizzare un termine commerciale, lavorando sempre nel tessuto del presente, un presente fatto di incertezze, di cigni neri e minacce globali. Il disastro imminente è dietro l’angolo, eppure le persone vengono “abituate ad abituarsi” all’idea di fine, con un’inerzia addestrata e confusamente arbitraria. Si lasciano andare al cammino verso l’evento imprevedibile e stocastico che diventa pian piano la certezza e la meta. È un presente in cui la via di fuga diventa il suo paradosso. È proprio su questo paradosso che la ricerca perorata da Anna prende forma negli spazi di Ar/Ge Kunst, che diventa quindi scena di azione. L’idea è anche di dare allo spazio una valenza scenica, e che l’artista in un certo qual modo possa mettere in scena questo mondo, uno dei possibili, che poi scopriamo che è proprio quello in cui ci troviamo.

VP: Una pubblicazione trilingue (italiano, inglese, tedesco) in formato tascabile accompagna le esposizioni. Ci raccontate la genesi di questa serie di pubblicazioni e il legame che intercorre tra il testo e il singolo progetto espositivo?

FV & ZC: Le pubblicazioni, Novellas, sono una serie di tascabili, uno per ogni mostra, realizzate in collaborazione con Giulia Cordin e l’Università di Bolzano. Le persone possono comprarlo in mostra o semplicemente leggerlo come foglio di sala. Con la differenza che all’interno ci sono delle storie, scritte da persone che usano la scrittura nella loro pratica di ricerca o artistica. Il testo è un altro contributo in mostra, possiamo dire. Non parla delle opere ma di una storia, a partire da alcune suggestioni in mostra. Non fa critica, non è strumentale. È un racconto in cui ci si perde, grazie solamente alla scrittura. L’artista Bea Orlandi, per esempio, per la scorsa mostra ha scritto un racconto, L’Uovo Centenario, una storia che ripercorre il dischiudersi di un uovo e, con esso, il ruolo della memoria nella costruzione di un futuro fatto di continue ripetizioni, solitudini, riscritture e dimenticanze. Lawrence Liang, ricercatore indiano e giurista, per la mostra di Margherita Moscardini, aveva scritto un’indagine surrealista sulle sculture e statue scomparse inserendo fatti reali e finzioni, portandoci in un mondo in cui questi oggetti si trasformino in aria, in cui le opere d’arte sfidano le convenzioni delle leggi umane e si liberano da ogni vincolo legislativo, diventando esse stesse delle ricercate, oggetti di indagini e arresti.

Margherita Moscardini, And Remember that Holes Can Move, 2023. Installation view, Ar/Ge Kunst, Bolzano | © Tiberio Sorvillo

VP: Ar/Ge Kunst deriva dal termine tedesco Arbeitsgemeinschaft (comunità di lavoro): che importanza ha il lavoro e l’approccio collettivo e collaborativo nella definizione del programma espositivo, nella ricerca curatoriale e artistica dello spazio?

FV & ZC: Una delle sfide più grandi è lasciare che il Kunstverein di matrice tedesca non solo rimanga uno spazio di produzione, ma anche di produzione collettiva. È nata come associazione di artisti e artiste nel 1985, sempre negli spazi di via Museo 29 dove oggi ancora risiede, e quindi alla sorgente è già uno spazio collettivo e di comunità. Arbeitsgemeinschaft è poi stato abbreviato in ar/ge che però in tedesco indica anche qualcosa di scomodo, forse un po’ cattivello e inatteso. Il nostro obiettivo è di portare avanti produzioni culturali che si plasmano attraverso l’ascolto con l’altro – e quindi artiste e artisti producono collettivamente. Pensiamo alle mostre come un corpo espanso, fluido, è qualcosa che prende forma nello spazio e dal confronto con le persone. Artiste che l’anno scorso si sono confrontate con questo formato, forse più di altre, sono state Margherita Moscardini, Milica Tomić e Ana Bezić, e quest’anno Eva Giolo. Bolzano è una città culturalmente molto attiva, e permette anche di lavorare sulle collaborazioni, con spazi museali e indipendenti, ma anche con i singoli, cosa che abbiamo fatto con ricercatrici e ricercatori, alcuni dell’EURAC Research, altri indipendenti. Per alcune opere è stato fondamentale questo dialogo.

VP: In qualità di direttrici artistiche, qual è il fil rouge che lega la programmazione artistica annuale di Ar/Ge Kunst? In relazione alla vostra formazione ed esperienza professionale, come collaborate nella definizione del programma?

FV & ZC: A entrambe interessano pratiche collaborative e i temi della fabulazione, della fabbricazione di storie, collocate anche scomodamente nei confini tra realtà e finzione. Ci interessa quando la fabulazione, quindi la fabula, viene usata per raccontare nella storiografia qualcosa non pensabile se non attraverso l’immaginazione (come nella nozione di “fabulazione critica” di Saidiya Hartman), o quando la fabulazione diventa narrazione di un popolo in divenire che innesca costellazioni di alleanze. Crediamo che questo tipo di pensiero possa generare e aiutare a colmare anche alcuni vuoti. Non tutto  può essere sempre ricostruito a livello storiografico. E poi la fabulazione apre uno spazio in cui immaginare anche un’azione politica, apre lo spazio per nuove condizioni di lotta dove l’arte è presente e contribuisce. Forse questo è uno degli scopi dell’arte. L’artista diventa veggente, liberandosi dai limiti del presente. Il Kunstverein lascia sicuramente spazio all’azione performativa dell’oggi, e il nostro compito è lasciare spazio a queste voci.
Per quanto riguarda il programma lo definiamo insieme, ovviamente le pratiche artistiche sono proposte da una o dall’altra, di solito bilanciamo tra noi le proposte nell’arco di un anno. Ma poi la cosa importante è essere convinte insieme e insieme sviluppare il progetto e la mostra.

Milica Tomić with Ana Bezić, Geography of Looking, 2023. Installation view, Ar/Ge Kunst, Bolzano | © Tiberio Sorvillo

VP: Due donne alla guida della direzione artistica, le mostre estive e autunnali dedicate ad artiste: che ruolo ha per voi, oggi, la donna nel mondo dell’arte?

FV & ZC: Ci rendiamo conto che la programmazione del 2024, a parte una prima mostra collettiva, è interamente composta da donne o che si riconoscono come tali. Possiamo dire che è un evento dato dalla casualità con cui guardiamo le cose, che ovviamente non è mai casuale. Detto questo, noi non siamo donne, lo diventiamo. E come tali navighiamo (ancora) in alcune epistemologie e narrazioni dominanti, anche nella curatela; sebbene oggi possiamo (con più facilità) avvicinarci a diverse pratiche artistiche che – uscite dal corpo di ogni genere – arrivano a parlarci.
In generale pensiamo che alcune delle migliori femministe siano state uomini. C’è un principio femminile e maschile in tutt* noi, come teorizzato nella cosmogonia indù. Lo riceviamo anche dall’ironia della cultura pop: Boys Don´t Cry (The Cure, 1979). Il femminismo non è legato solo a “le donne”, ma fa appello al superamento del soggiogamento in tutte le sue forme. Questo è forse il nostro appello attraverso il nostro programma: pensare il mondo attraverso un principio di non sottomissione.

Ar/ge Kunst
Via Museo 29,
39100 Bolzano

Eva Giolo. Memory is an animal, it barks with many mouths
A cura di Francesca Verga & Zasha Colah
con Biennale Gherdëina
fino al 27 luglio 2024

Francesca Verga è co-direttrice artistica di Ar/Ge Kunst, Kunstverein a Bolzano-Bozen, e si occupa di curatela, gestione e ricerca in arte contemporanea. Attualmente è Assistente curatrice del Padiglione Italia alla 60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia (2024). Ha un dottorato presso il dipartimento di Arte e Cultura dell’Università di Amsterdam (2022), con una tesi sulle prime performance e opere video di Mike Kelley. È stata coordinatrice curatoriale della biennale Manifesta 13 (Marsiglia, 2020) e coordinatrice generale di Manifesta 12 (Palermo, 2018). Ha vinto la borsa di studio per curatori dell’Italian Council (2020) e nel 2021/2022 parte di Archive Books (Berlino/Milano). In precedenza, ha fondato la piattaforma culturale online Liaux (liaux.org) e collaborato con istituzioni culturali e universitarie come: Savvy Contemporary (Berlino), Barnard College (Columbia University), IED (Firenze), Stedelijk Museum (Amsterdam), MACRO (Roma), IMT Schools for Advanced Studies (Lucca).

Zasha Colah è co-direttore artistico presso Ar/Ge Kunst (Bozen-Bolzano, 2023–). Docente di Curatorial Studies, Nuova Accademia di Belle Arti (Milan, 2018–). Curatrice della 13th Berlin biennale (giugno-settembre, 2025). In passato, ha co-fondato la collaborazione curatoriale e l’unione di artisti, Clark House Initiative (Mumbai, 2010–2022). Ha co-curato la terza edizione della Pune Biennale con Luca Cerizza, Habit-co-Habit. Artistic Simulations of Some Everyday Spaces (2017), ed è stata parte del team curatoriale della seconda Yinchuan Biennale, Starting from the Desert. Ecologies on the Edge (2018), guidato da Marco Scotini. Suoi scritti sono inclusi in The New Curator (ed. Natasha Hoare et al., Laurence King, 2016) per conto di Clark House Initiative, The Curatorial Conundrum (ed. Paul O’Neill et al., MIT Press, 2016), 20th Century Indian Art (ed. Partha Mitter et. al., Thames and Hudson, 2022).

I’m Gone. Do You Remember Me?, 2023. Installation view, Ar/Ge Kunst, Bolzano | © Tiberio Sorvillo
Francesca Verga e Zasha Cola | © Passamia