Tutto ebbe inizio nel luglio 2020 con l’installazione al neon E quindi uscimmo a riveder le stelle, ispirata dall’ultimo verso dell’Inferno della Divina Commedia di Dante: a quel tempo, pochi sapevano che quella scritta, accesa giorno e notte nella cisterna dell’ex chiesetta di San Rocco, a Bergamo Alta, segnava la nascita di Spazio Volta.
Quel gesto, eseguito per infondere speranza in risposta a un periodo decisamente drammatico, è stato succeduto da altri interventi che hanno caratterizzato il cammino del progetto, entrato a pieno titolo nell’elenco delle realtà più interessanti del panorama artistico bergamasco: ricordiamo le personali C12H22O11 e SSFFSSSSHH di Mafalda Galessi e Giulia Poppi, il ciclo di proiezioni d’artista Open Cinema, la collettiva Starry Speculative Night, con lavori di Francesco Pacelli, Luca Petti, Antonio Gramegna e bn+BRINANOVARA, e la mostra Fillers di Mia Dudek, ancora in corso. Uno spazio espositivo, dunque, ma anche un progetto editoriale e di residenze artistiche.
Abbiamo incontrato il suo fondatore e curatore, Edoardo De Cobelli, per farci raccontare il primo anno e mezzo di questa creatura sfaccettata e affascinante.
Antongiulio Vergine: Come nasce Spazio Volta e qual è la sua identità?
Edoardo De Cobelli: Spazio Volta nasce all’interno di una fontana trecentesca abbandonata da vent’anni, nel cuore del centro storico di Bergamo, nella parte alta della città. La sua identità, da un punto di vista spaziale, si identifica innanzitutto con la sua storia e le sue caratteristiche architettoniche: un’ampia volta, che nasce come cisterna d’acqua, leggermente sotto il livello della strada, dà sulla piazza attraverso una grande vetrata a mezzaluna. La muratura in pietra di origini medievali, come d’altronde buona parte di città alta, gli conferisce un fascino particolare. Da un punto di vista artistico ed espositivo, invece, lo spazio ha finora seguito un approccio organico, attraverso la concezione di mostre site-specific, come entità o sistemi nei quali si costruisce uno scenario, o un ambiente.
A. V.: Spostandoci sull’aspetto editoriale, come si è sviluppata la collaborazione con REPLICA?
E. D. C.: La collaborazione con REPLICA è nata in seguito alla collaborazione con l’adiacente biblioteca pubblica. Mi è stato concesso di immaginare uno spazio editoriale come estensione di Spazio Volta nell’ambito della lettura e della saggistica. Ho così pensato di dedicare la sala d’ingresso ai libri d’artista e alle pubblicazioni indipendenti, a partire da alcune selezioni fatte con Lisa Andreani e Simona Squadrito. Abbiamo riallestito il locale con un display di Furlani-Gobbi e delle sedute dei Parasite 2.0, e ogni 4/5 mesi portiamo nuove pubblicazioni. Lo scorso novembre abbiamo ospitato il primo incontro con il pubblico, una performative lecture di Franco Ariaudo durante il festival di ArtDate. Ma ce ne saranno presto altre, e spero in futuro di poter produrre nuovi libri.
A. V.: Bergamo ha da sempre lavorato in maniera significativa in termini di attenzione sul contemporaneo – l’attività della GAMeC non è che la punta di un iceberg sempre più grande. Qual è la tua impressione a proposito?
E. D. C.: Bergamo è una città medio piccola, ma molto viva sul fronte dell’arte contemporanea e dell’associazionismo. L’amministrazione è generalmente propensa a collaborare con il privato, una cosa che non capita a tanti miei colleghi nelle grandi città, come ad esempio Roma. Quando questo avviene nel medio-lungo termine, le associazioni possono diventare esse stesse para-istituzioni – come avvenuto con The Blank, oggi a dieci anni di attività – e colmare le carenze del pubblico, dove presenti. Bergamo credo possa essere da esempio sotto questo punto di vista, ben al di là della GAMeC (con TTB, ExSA, Daste, Contemporary Locus, etc).
A. V.: La pandemia – ancora imperante, purtroppo – ha costituito una sorta di spartiacque rispetto a ciò che è successo prima della sua diffusione. Come credi abbia inciso sulle dinamiche che interessano l’arte contemporanea e quali sensazioni hai rispetto al futuro?
E. D. C.: La pandemia ha portato a una rapidissima iper-digitalizzazione, non ancora metabolizzata del tutto (e che per fortuna incontra bolle di resistenza), e una polarizzazione nell’ambito delle manifestazioni. Le grandi manifestazioni si contrappongono a un generale clima di ritorno al territorio e all’ambito nazionale. Il dialogo al di fuori dei confini è molto rallentato, le nuove idee e collaborazioni faticano a esprimersi. In questo contesto, la fiera si offre come momento fisico di incontro, seppur anch’essa molto limitata. Il resto lo colma purtroppo il digitale, con tutte le conseguenze che questo comporta. Conosciamo artisti su Instagram, organizziamo mostre senza averli incontrati personalmente. Questo aspetto non farà che amplificarsi in futuro.
A. V.: Raccontaci brevemente questo primo anno e mezzo di Spazio Volta. Quali progetti hai ospitato?
E. D. C.: I più eterogenei, dal cinema all’aperto dello scorso lockdown, a una serie di mostre personali, che intendo proseguire: Giulia Poppi (Modena, 1992), Mia Dudek (Polonia, 1989) e, a breve, Sacha Kanah (Milano, 1981). Oltre alle mostre ospitate, è stato un anno straordinario perché abbiamo collaborato con CoAtto e con il Mattatoio di Roma per progetti esterni, quest’ultimo nella cornice della partecipazione ad ArtVerona 2021. Hermann Bergamelli, Yuli Serfaty e Carlo Gambirasio alcuni tra gli artisti recentemente coinvolti.
A. V.: Cosa ci dici, invece, di Fillers? Com’è nata la collaborazione con Mia Dudek e cosa ti ha colpito della sua opera?
E. D. C.: Mi ha colpito la sua capacità di lavorare con il corpo e lo spazio, come fossero una cosa sola. Mia pensa l’architettura come un corpo, ma anche il corpo come un’architettura. Parlandone con Federico Castoldi, co-curatore della mostra, abbiamo pensato che fosse l’artista giusta per la cisterna, e lo è stata. Ha avuto fin dall’inizio una visione e un approccio molto organico, lavorando nello spazio e il materiale come un unico orizzonte.
A. V.: Quali sono i prossimi progetti? Potresti svelarci qualche anticipazione?
E. D. C.: Naturalmente sì. È prevista la prima open call curatoriale verso inizio febbraio, e quest’anno avremo la prima collaborazione con un partner istituzionale internazionale.
Spazio Volta,
Bergamo, Piazza Mercato delle Erbe