Inaugurato il 23 luglio 2021, in concomitanza della mostra Home Sweet Home, KORA – Centro del Contemporaneo è il nuovo presidio di Ramdom, organizzazione per la produzione artistica e culturale nata in Salento nel 2011. Tra il 2015 e il 2020 le sue attività hanno avuto luogo a Lastation, nel comune di Gagliano del Capo (LE), all’interno dell’edificio che, un tempo, ospitava l’ultima stazione ferroviaria a sud-est d’Italia (Gagliano – Leuca). Oggi, le radici di Ramdom germogliano rigogliose nel Palazzo De Gualtieris di Castrignano de’ Greci (LE), sede del nuovo progetto KORA, senza venire meno, però, a uno dei princìpi fondanti dell’associazione: quello di “destagionalizzare la stagione dell’arte contemporanea in Puglia – come afferma Claudio Zecchi, curatore di Ramdom e uno dei curatori della mostra – concentrata, soprattutto, tra i mesi primaverili ed estivi”.
Anche nel piccolo borgo della Grecìa Salentina, l’obiettivo, in effetti, rimane quello di indagare il concetto di limite, “il rapporto dialettico tra centro e periferia tenendo conto del rispetto dell’identità di quest’ultima e delle sue potenzialità”. Abbiamo intercettato Paolo Mele, Alessandra Pioselli, Davide Quadrio e Claudio Zecchi, curatori della mostra Home Sweet Home, per farci raccontare nel dettaglio questa nuova esperienza e per svelarci cosa si nasconde – o potrebbe nascondersi – dietro questa nuova creatura chiamata KORA.
Antongiulio Vergine: A seguito della chiusura de Lastation, KORA – Centro del Contemporaneo è il nuovo spazio che accoglie Ramdom. Cosa avete conservato di quella esperienza e cosa, invece, è cambiato rispetto a prima?
Paolo Mele: Da poco più di 100 mq a 1600 mq: cambia sicuramente la scala del lavoro e, di conseguenza, prospettive e ambizioni. Già da tempo stiamo ragionando e agendo come un’istituzione culturale: vorremmo consolidare questo lavoro per provare a uscire dalla schizofrenia della programmazione legata ai bandi.
Claudio Zecchi: Lastation è stata una grande palestra. Un luogo emblematico, una casa, ma, ancor di più, un presidio sul territorio. Ci ha insegnato l’importanza di agire nelle maglie di un luogo che ha, tra le sue peculiarità, anche quella di essere la punta estrema a Sud-Est d’Italia. Ci ha costretti a interrogarci su cosa significhi “essere estremi”, non solo dal punto di vista geografico, ma anche della dimensione metodologica del lavoro. Credo che quest’ultima, in particolare, sia la più grande eredità di Lastation, un progetto che non può essere replicato tout-court, ma certamente ripensato. Ci siamo spostati di 40 km più a Nord, ma, se non geograficamente, cambia poco: continuiamo a pensare, agire e interrogarci all’interno di un continuo processo dialettico tra centro e margine.
A. V.: Parlando dello spazio, e introducendo la mostra Home Sweet Home, come avete accolto la sfida rappresentata dalle grandi dimensioni del Castello di Castrignano de’ Greci? Quali criteri allestitivi avete seguito?
Davide Quadrio: Gli spazi del castello sono complicati da limitazioni strutturali, per cui, per esempio, appendere direttamente sui muri è impossibile. Abbiamo optato per una visione organica della mostra, dove, da una parte, presentiamo progettualità italiane e internazionali, mentre, nell’ala più lunga, gli artisti sviluppano una narrativa fatta di continuità e rimandi, come isole di un arcipelago.
A. V.: KORA, oltre a essere costituito da una costellazione di tanti momenti – i laboratori, gli spazi per i più piccoli, il bookshop, il bar, la sala conferenze, l’area mostre – rientra esso stesso in una costellazione di realtà eterogenee e multidisciplinari – ricordiamo: A cielo aperto (Latronico, Basilicata), Guilmi Art Project (Guilmi, Abruzzo), Isola delle Femmine, Kunsthalle Lissabon (Lisbona, Portogallo), La rivoluzione delle seppie (Belmonte Calabro, Calabria), Liminaria (Fortore, Campania), Pollinaria (Civitella Casanova, Abruzzo), Sakya (Ramallah, Palestina), Sursock Museum (Beirut, Libano), Uma Certa falta de Coerncia (Porto, Portogallo), Limiti Inchiusi (Campobasso, Molise). Com’è nata la relazione con queste realtà? Cosa vi tiene insieme?
Alessandra Pioselli: Da diversi anni sto indagando la natura dei rapporti tra i progetti artistici e la produzione di territorio in contesti non metropolitani, nelle aree rurali, montane e interne dell’Italia, in sintonia con la necessità di “invertire lo sguardo” sui luoghi considerati a latere dalle strade della modernità, e di depotenziare le dicotomie che hanno sempre orientato le rappresentazioni del nostro paese. Questa parte della mostra è un proseguimento della mostra La terra è bassa che ho curato presso Farmacia Wurmkos (Sesto San Giovanni, MI) nel gennaio 2019, nella quale si eseguiva un’analisi di alcune di queste (e altre) progettualità attraverso una mappa concettuale e del materiale documentario, ponendolo in relazione con alcuni assunti della Strategia Nazionale per le aree interne e a riflessioni di urbanisti e geografi. Le pratiche in questione si allineano a quelle esperienze a carattere sociale e culturale che, per citare Antonio De Rossi in Riabitare l’Italia (2018), sono “capaci di smontare e denaturalizzare le immagini consuete e consolidate” dei territori “di margine”. Esse ci propongono forme progettuali co-evolutive con le differenti territorialità, modi di ri-significazione dei luoghi e dei patrimoni, ipotesi di sviluppo basate sulle peculiarità delle differenti geografie e antropologie, capaci, a loro volta, di ricombinare elementi endogeni ed esogeni, e di innescare processualità che interrogano le comunità abitanti. Questa è una sfida necessaria e fondamentale per il nostro Paese, e non solo, che chiama l’arte a una grande assunzione di responsabilità. Da qui l’interesse ad ampliare lo sguardo oltremare. KORA è rivolta a Sud.
A. V.: Oltre alle esperienze di queste realtà, in Home Sweet Home confluiscono le opere di più di venti artisti – destinati ad aumentare nel tempo – realizzate, in certi casi, appositamente per l’occasione. Raccontateci brevemente la mostra.
C. Z.: La mostra è un ragionamento sull’abitare. Abbiamo posizionato la lente all’altezza dell’ombelico e siamo partiti dalla nostra più recente storia personale – l’uscita forzata da Lastation – per interrogarci su questo nuovo spazio e su come vogliamo e vorremmo abitarlo nel tempo. Abbiamo immaginato una mostra di ricerca in progress in cui opere e progettualità cambiano nel tempo, determinando un continuo ripensamento tra il corpo dello spazio, delle opere e del visitatore stesso. In questo senso la mostra diventa una sorta di dispositivo performativo, un’agente di nuove relazioni che crescono nel tempo. Tutte le altre opere presenti sono di fatto il frutto di una ricerca eterogenea sviluppata nel tempo da tutti e quattro noi curatori. Il tema è talmente ampio che ci siamo resi conto quanto fosse importante approcciarlo in maniera eterogenea e dissonante. Paradossalmente, è proprio attraverso questa linea che la narrazione si amplifica e le opere dialogano tra di loro.
D. Q.: Le opere, gli artisti e le progettualità si alterneranno. Ad esempio, Andrea Anastasio, già presente con un’opera in ceramica, presenterà una performance registrata a Tirana e sarà accompagnato da alcune sculture in ceramica di Patrick Tuttofuoco realizzate per la mostra I veggenti in uno spazio domestico a Tirana. Altre opere, tra cui quelle di FormaFantasma, presentate in collaborazione con Alcantara, si muoveranno nello spazio espositivo creando altre suggestioni. Per me è anche importante citare i due collettivi invitati, La Friche e Casko, miei studenti allo IUAV di Venezia, con cui abbiamo un accordo di collaborazione. I due collettivi intervengono tanto nello spazio pubblico, quanto negli spazi di KORA, creando letture performative del territorio e fungendo da collante tra la realtà locale e KORA stessa. Connettersi con il territorio avviene attraverso una presenza generosa, collettiva e di conoscenza personale: aprire le porte significa proprio abbracciare Castrignano de’ Greci come territorio di studio e di lavoro. Insieme.
A. V.: Allargando un po’ lo sguardo, com’è il rapporto tra KORA e la comunità di Castrignano de’ Greci? Qual è stata la risposta del pubblico rispetto alle vostre iniziative?
C. Z.: Per ora la risposta è stata buona, ma siamo appena arrivati. Serve del tempo. Quella con il territorio è una relazione che può essere solo costruita a medio-lungo termine.
A. V.: Tornando a Lastation, quello di Gagliano del Capo costituisce sicuramente un capitolo importante dell’arte contemporanea pugliese (e italiana oserei dire). Qual è il resoconto di quella esperienza? Cosa ha rappresentato per voi?
P. M.: Resta sempre un po’ l’amaro in bocca per come si è conclusa l’esperienza, per i modi e le modalità con cui siamo stati obbligati a lasciare lo spazio, per l’insensibilità di una parte delle istituzioni e dei privati. Tuttavia, il bilancio non può essere che stato positivo: prima di avere lo spazio pensavamo di non averne bisogno; dopo diventa difficile privarsene. Gli spazi sono come figli: ti obbligano a rinegoziare il modo di stare al mondo. E noi lo abbiamo fatto stabilendo e rinsaldando legami con il territorio, con le comunità, con artisti, curatori, ricercatori: un patrimonio che non solo ci portiamo con noi anche con la nuova esperienza di KORA, ma che è alla base del nostro capitale reputazionale che ci ha consentito di poter ripartire con una sfida più ambiziosa che mai.
A. V.: Tornando, invece, al presente, qual è la vostra impressione riguardo lo stato dell’arte contemporanea in Puglia? Pensate che la strada imboccata sia quella giusta?
C. Z.: C’è grande fervore e la maggior parte delle cose che avvengono sono interessanti, ma molto spesso accadono solo durante la stagione estiva. Per quanto mi riguarda, più sono gli attori, più sono le voci, più l’ecosistema si arricchisce producendo scambio e confronto, e meglio è. Quella di KORA è una delle possibilità, uno dei modelli, certamente non l’unico possibile.
P. M.: Difficile dirlo. Siamo ancora in una situazione doppiamente dopata: siamo nella coda estiva degli eventi e c’è ancora un po’ di congestione, anche in parte post-pandemica, per cui tanti eventi e attività si sono concentrati nello stesso periodo, dando l’impressione di una improvvisa fioritura. Occorre vedere quanti sapranno resistere all’invernata e alle gelate culturali. Tuttavia, è indubbio che ci siano tante iniziative molto valide che completano un’offerta culturale che era oggettivamente debole. Merito di privati che cominciano a mostrare un po’ più di sensibilità. Del settore pubblico ancora si sa ben poco: viviamo di risorse spot, non si conosce ancora visione e progetto di lunga durata e, conseguentemente, le relative misure di sostegno al settore.
A. V.: Quali sono i progetti futuri di KORA? Potete anticiparci qualcosa?
P. M.: La mostra Home Sweet Home proseguirà per diversi mesi, ma saprà rinnovarsi e innovarsi aprendosi non solo a nuove opere (prossimi gli ingressi in mostra di Riccardo Benassi, Celine Condorelli, Dar Jacir, Patrick Tuttofuoco, João Enxuto and Erica Love, e altri), a diverse attività trasversali che andranno dalla musica, alla performance, al video, al mondo dell’editoria e della lettura. Stiamo lavorando per ridare alla comunità locale la biblioteca pubblica e, allo stesso tempo, per riallestire il nostro Osservatorio sulle Terre Estreme, la mediateca di Ramdom. Con le residenze abbiamo sempre lavorato e stiamo intensificando le attività attraverso collaborazioni con istituzioni pubbliche e private, tra cui IUAV di Venezia e Fondazione Modena Arti Visive. Nei prossimi mesi realizzeremo delle installazioni permanenti nello spazio pubblico di Castrignano de’ Greci, una di queste firmata da Bianco Valente. Con Donato Epiro abbiamo ideato Ogni altro Suono, una rassegna dedicata alle residenze musicali che vorremmo far diventare un appuntamento fisso.
Lo spazio, che si presenta apparentemente in buono stato, necessità di un po’ di interventi strutturali che ci possano consentire di poter lavorare e progettare in maniera meno emergenziale.
KORA – Centro del Contemporaneo
Castrignano de’ Greci (LE), Via Vittorio Emanuele, 19
k-ora.it