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Intervista con Yari Miele | Blue Night Marble

[nemus_slider id=”61862″] È in corso fino a venerdì 23 dicembre la mostra Blue Night Marble dell’artista Yari Miele (Cantù, 1977) ospitata da  MARS. Così ne scrive il critico Alberto Mugnaini nel testo critico di presentazione: “La traccia geologica, il cammino dei millenni che lascia il segno nelle scie torbide, nelle marezzature cangianti e nelle screziature traslucide […]

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È in corso fino a venerdì 23 dicembre la mostra Blue Night Marble dell’artista Yari Miele (Cantù, 1977) ospitata da  MARS.
Così ne scrive il critico Alberto Mugnaini nel testo critico di presentazione: “La traccia geologica, il cammino dei millenni che lascia il segno nelle scie torbide, nelle marezzature cangianti e nelle screziature traslucide si incrocia con la visione dell’attimo e col battito di ciglia, in un doppio reticolo in cui lo sfarfalli?o fosfenico si alterna al corrusco polline disperso nella granitura lapidea: quell’interna pulsazione, come una luce prigioniera nel grembo minerale, si interfaccia con le trame dell’abbaglio e del travisamento“.

ATPdiary ha posto alcune domande all’artista.

ATP: In mostra presenti marmi policromi scartati a seguito del loro impiego industriale in tarsie realizzate al laser su cui poi intervieni con della vernice fluorescente visibile solo alla luce nera. Mi spiegheresti questo processo? E che valore ha la lampada di Wood nel tuo lavoro?

Yari Miele: È un processo fatto di stratificazioni, di puliture, di interventi a seconda del tipo di pietra, perché ogni marmo possiede una venatura e una superficie diversa. Le vernici, a seconda che siano fluorescenti o fosforescenti, hanno la caratteristica di assorbire e caricare luce e rimetterla anche al buio completo. La lampada di Wood, per me, ha una valenza come l’alternanza dello yin e dello yang, una lampada che regola le notti e i giorni e che illumina i miei pensieri dell’anima.

ATP: Con l’accendersi della lampada, cambiano lo scenario allestitivo e, insieme, le opere stesse: si modificano le loro texture, i loro colori e, sembrerebbe, la loro composizione. È come se la mostra (ed ogni opera) contenesse in qualche modo il suo opposto, o una variante nascosta. Cosa ti interessa della dualità che si crea all’interno dell’esposizione?

Y. M.: Mi interessa provocare uno spiazzamento spaziale, per gli effetti della luce di Wood nell’oscurità totale che dà la sensazione di non poter controllare lo spazio, in questo modo lo spettatore reagisce con il suo stato d’animo del momento.

ATP: Alberto Mugnaini, nel testo che ha scritto per la tua mostra, evidenzia il contrasto che si crea nei tuoi lavori tra la stratificazione minerale millenaria propria delle pietre esposte e, invece, l’aleatorietà e lo “sfarfallio fosfenico” dei colori da te aggiunti e del loro accendersi con la luce nera. D’altra parte i tuoi materiali cangianti, catarifrangenti e fluorescenti parlano di cambiamenti attimali determinati da spostamenti minimi. Come vivi e interpreti la dicotomia tra il qui e ora e un passato secolare?

Y. M.: Siamo ai poli estremi del tempo spazializzato, orientato direzionalmente… il qui e ora da una parte e, dall’altra, una cronologia incubata nei millenni. Ma il tempo, come ci ha insegnato la suggestiva interpretazione di Henry Bergson, per la nostra coscienza è anche qualcosa di diverso, come una valanga che porta in ogni attimo tutto quanto si è accumulato durante la sua corsa. Nel caso delle pietre noi percepiamo nell’istante anche una sorta di strascico sconfinato che ci appare come distillato e compresso, come una luce prigioniera – e primigenia! – che ad ogni secondo che passa si riattiva senza posa.

ATP: Il titolo della mostra, Blue Night Marble, fa riferimento alla foto satellitare del 1972 che fissa la terra come una sfera blu. Come mai questa scelta? Hai pensato al globo (profetico) di Yves Klein?

Sarebbe molto suggestivo raccogliere questo riferimento a Yves Klein, ma non c’è alcun nesso formale con il globo se non nel colore, che la lampada di Wood irradia nello spazio, creando un’atmosfera notturna. Il riferimento all’overview extraterrestre si è imposto per assonanza col progetto, come se l’intervento sul marmo rappresentasse dei paesaggi luminosi visti dall’esterno, da cui il riferimento ad una Forma Urbis Marmorea, alla frammentarietà quasi archeologica intrinseca nei lacerti di marmo. L’interesse per la luminescenza e la fosforescenza, che da sempre caratterizza la mia ricerca artistica, è il motivo essenziale della scelta del titolo, preambolo di una cangianza notturna e psichedelica.

ATP: L’allestimento viene descritto dal comunicato stampa come un “paesaggio di anfratti irregolari e taglienti, ridisegnando lo spazio di orografie fortuitamente scultoree”. Mi spiegheresti questa caratteristica? E che ruolo hanno avuto Fabio Carnaghi e Alberto Mugnaini nella disposizione delle opere nel piccolo spazio di Mars?

Y. M.: I frammenti delle lastre marmoree che compongono l’allestimento sono dei lacerti che si improvvisano sculture, data la loro natura di scarto di produzione, negativo di un apparato considerato esteticamente nobile. È stato interessante riabilitare tali residui infimi come elementi che aspirano ad una dimensione monumentale, simulando un display più simile a quello di un lapidario che di un’installazione intesa secondo i canoni contemporanei. La possibilità di una doppia visione curatoriale mi ha permesso di focalizzare prospettive diverse che hanno influenzato le decisioni espositive nello spazio di MARS. Da un lato l’interpretazione poeticamente geologica di una grotta da parte di Alberto Mugnaini e dall’altro la visione psichedelica di un garage/antiquarium espressa da Fabio Carnaghi – entrambe presenti nei due testi che accompagnano la mostra – hanno portato ad un allestimento duplice, come il giorno e la notte che ne determinano la lettura.

Yari Miele,   Blue Night Marble,   MARS,   ph. Cosimo Filippini
Yari Miele, Blue Night Marble, MARS, ph. Cosimo Filippini
Yari Miele,   Blue Night Marble,   MARS,   ph. Cosimo Filippini
Yari Miele, Blue Night Marble, MARS, ph. Cosimo Filippini
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