In occasione di Coming Together – Sessione d’ascolto n°1 all’interno degli spazi di Barriera, la redazione di ATPdiary ha avuto il piacere di intervistare l’associazione ALMARE che, investigando le potenzialità del suono, ha coinvolto a partire dal 2017 figure e sguardi eterogenei. Il 24 maggio un percorso guiderà tra diversi modelli di spazi sonori permettendo l’incontro tra percezione uditiva e spazialità.
ATP: Qual è stata la necessità che vi ha spinto a creare un progetto come ALMARE?
Almare: Almare è nato come un progetto fra amici, frutto di chiacchere a tarda notte. Come spesso accade, d’altronde. Abbiamo tutti e tre una formazione musicale in conservatorio e ci sentivamo frustrati dalla divisione così netta tra il mondo accademico, la musica pop e le pratiche sonore legate al contesto dell’arte contemporanea. Crediamo in una comunione di queste pratiche, o meglio, non ci interessa dividerle come neanche farle incontrare a tutti i costi, se non per generare un dibattito. Non è una questione estetica, non ci interessano le “contaminazioni” – così come venivano definite fino a qualche anno fa – e non si tratta neanche di abbattere le differenze di pensiero; al contrario vogliamo generare una conoscenza trasversale, non essere sordi rispetto a quello che accade in ogni ambito musicale. Volevamo un progetto che andasse oltre l’organizzazione di concerti nei quali viene invitato il musicista a portare il suo set. Non che ci sia nulla di male, è chiaro. Quello che ci piace fare è lavorare insieme a persone che si occupano di suono, siano essi artisti, musicisti, ricercatori, curatori, performers per costruire un progetto insieme a loro. Fra di noi, sentivamo la necessità di occupare uno spazio ancora libero all’interno della scena musicale e artistica, per affiancarci ad essa: uno spazio per costruire una realtà che si rapportasse al suono nella sua valenza acustica, elettroacustica e come materia polivalente e plastica per generare un ascolto plurale.
ATP: La vostra pratica si lega alla collaborazione con istituzioni nazionali e internazionali? Proponete un progetto o lo elaborate gradualmente con esse? Come traducete la versatilità delle condizioni d’ascolto che vi interessa in una flessibilità legata ai diversi soggetti ospitanti?
Almare: Sì, anche, ma non solo. Abbiamo collaborato e ci piace collaborare sia con istituzioni sia con realtà indipendenti a seconda delle specificità di ogni progetto. Abbiamo deciso di non avere uno spazio, proprio perché non ci occupiamo di una sola forma di pratica sonora. Le condizioni d’ascolto che proponiamo sono caratterizzate certamente dal contesto fisico ma anche dalla tipologia di progetto che viene esposto. Il punto è proprio qui: per avere una versatilità delle condizioni di ascolto è necessaria una capacità di adattarsi ai diversi luoghi e alle diverse esigenze che non sempre possono esprimersi a pieno in un medesimo spazio.
ATP: Con Enrico Malatesta avete approfondito in Belabor morfologia delle superfici e ritmo. Nella performance l’artista ricollocava gli strumenti riappropriandosi dello spazio e dando concretezza materiale ai suoni. Qual’è stato l’effetto prodotto tra lo spazio interstiziale di un movimento e l’altro?
Almare: Belabor parte da un’indagine che Enrico compie sulla materia, in particolare sulle pelli di tamburi e sulle sue qualità materiali, strutturali e sonore. L’effetto prodotto è quello di creare diverse scene sonore all’interno di un unico spazio. Il movimento è un ambiente dove ogni azione è anche una forma di esplorazione e ascolto, nonché un esercizio di immaginazione. Si è generato quindi un dispositivo sonoro organico, emerso appunto fra le maglie di queste scene. Un dispositivo che “vive” ed evolve nel tempo e nello spazio. Enrico agisce sul materiale sonoro al fine di indirizzare, in modo più o meno incisivo, l’andamento di un organismo sonoro in continua – e in parte autonoma – evoluzione. Le membrane sono i territori di azione; corpi in continua relazione con il movimento del performer e con l’ambiente circostante.
ATP:Nel progetto Performing for another’s preparation to perform, and vice versa con Adam Asnan e Luca Garino l’ubiquità del sonoro si incorpora con il set up del concerto. Pre e post evento si consolidano con le pratiche artistiche del musicista e compositore invitati. Qual’è stata la reazione del pubblico?
Almare: Non sapevamo cosa aspettarci. Il progetto portava con sé una serie di problematiche legate alla fruizione stessa del concerto. Il pubblico è stato messo davanti ad una condizione di ascolto ibrida, con momenti anche molto impegnativi. È stata messa in discussione la gerarchia dei suoni da ascoltare perché la stessa performance diventava il soundcheck dell’allestimento dell’altro. Si perdevano i punti di riferimento di ciò che fosse “degno” di attenzione. La preparazione poteva interessare di più dell’atto concertistico. Tutto era sovrapposto, e l’ascoltatore era chiamato a trovare una sua intima relazione tra gli strati acustici che percepiva. All’inizio la concentrazione del pubblico si alternava a smarrimento, e infine si è instaurato un coinvolgimento attivo tra audience e performers. I due musicisti hanno appunto cercato nuove possibilità di ascolto, favorendo questa osmosi di focus diversi. C’è stata un lento scongelamento: si è passati da un approccio frontale, concertistico, seduti, ad una vera e propria libertà dinamica di fruizione.
ATP: Tra non molto avrete l’occasione di presentare un nuovo progetto negli spazi di Barriera? Qualche anticipazione?
Almare: Questo è il primo evento che curiamo nel quale non viene coinvolto un artista, ma un ricercatore. Si tratta di Vincenzo Santarcangelo, che guiderà il pubblico nei locali dell’associazione Barriera, illustrando tre diverse modelli filosofici di spazio in relazione a tre brani e tre diverse tipologie di ascolto. E’ anche il primo evento nel quale noi tre interveniamo direttamente come performers, confrontandoci con la questione dell’interpretazione della musica acusmatica attraverso la scelta del formato e del supporto di playback. Abbiamo scelto inoltre di collaborare con Giulia Mengozzi, assistente curatrice al PAV – Parco Arte Vivente di Torino che, in veste di curatrice indipendente, ha contribuito con il suo profondo interesse per la musica e il suono. Lavorare con lei ci ha permesso di impostare il lavoro in maniera più articolata e di superare certi limiti di produzione riscontrati negli eventi precedenti. Ci ha dato una carica incredibile. Ci teniamo a ringraziare Sergey Kantsedal, coordinatore di Barriera, per l’entusiasmo con il quale ha accettato di collaborare.
ALMARE è un’associazione che si dedica ai linguaggi contemporanei che utilizzano il suono come mezzo espressivo. Fondata a Torino nel 2017, ALMARE organizza concerti, esposizioni e dibattiti, curandone sia gli aspetti comunicativi che produttivi, e fornendo un accurato supporto tecnico e logistico. I luoghi nei quali si svolgono gli eventi cambiano di volta in volta a seconda delle esigenze del progetto. ALMARE ritiene interessante proporre un pensiero che eviti di frammentare in categorie esclusive le diverse pratiche legate al suono, ma che le sappia accogliere per portare avanti il discorso musicale/artistico osservandolo da una prospettiva comune. Questa versatilità delle condizioni di ascolto, garantisce l’accoglienza di un pubblico trasversale e polivalente, generando possibilità di creazione e fruizione in continua mutazione. ALMARE collabora attualmente con istituzioni e realtà indipendenti nazionali e internazionali quali Cité International Des Arts di Parigi, Barriera contemporanea e Superbudda. ha coinvolto artisti e filosofi quali Enrico Malatesta, Adam Asnan, Luca Garino, il collettivo di artisti Mastequoia e Vincenzo Santarcangelo.