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Il 28 marzo ha inaugurato, presso la sede di Marsèlleria in via privata Rezia, Felix di Alessandro Di Pietro.
La mostra è concepita come episodio conclusivo di una quadrilogia sviluppata attraverso una serie di progetti espositivi di natura installativa: Tomb Writer (solve et coagula) (Bergamo, 2016), Downgrade Vampire (Milano, 2016) e infine Towards Orion – Stories from the backseat (Parigi, 2017), intesi rispettivamente come il prequel, la presentazione del protagonista e il “psychological switch” o “ghost” di una narrazione che si chiude ora con la comparsa della figura dell’antagonista, aka Felix. Un nemico, afferma l’artista, che non è una nemesi del personaggio principale, ma viaggia su un canale parallelo, senza identificarsi con una proiezione negativa del “buono”.
Lo studio di questa entità ha avuto inizio nel corso della residenza che l’artista ha svolto a febbraio presso l’American Academy in Rome – dove è stato anche parte della mostra a cura di Ilaria Gianni The Tesseract, conclusasi lo scorso 25 marzo – e viene portato a compimento con l’intervento pensato per gli spazi della sede espositiva milanese.
Anche stavolta, come per gli episodi precedenti, il soggetto dell’indagine viene raccontato attraverso il design dello spazio e delle installazioni presenti in mostra, ed è per questo motivo che Di Pietro ha progettato accuratamente l’atmosfera e l’arredo degli ambienti così da far emergere le caratteristiche fisiche, sociali e politiche del personaggio.
A completare poi la presentazione di Felix, Enrico Boccioletti ha composto una speciale identità sonora che si potrà ascoltare sabato 14 aprile, dalle ore 19 fino a mezzanotte, in occasione della serata di aperture speciali degli spazi no profit che si terrà in concomitanza di Miart 2018.
La stessa sera, al piano superiore, lo store Marsèll Paradise ospiterà il reading di presentazione di TABOO, primo libro d’artista di Gianandrea Poletta, realizzato in collaborazione con Untitled Association ed edito da Cura.books.
Seguono alcune domande ad Alessandro Di Pietro —
ATP. Quello a Marsèlleria è l’ultimo episodio di una narrazione sviluppata attraverso altre tre mostre. Puoi parlarci di come è nata questa quadrilogia e ripercorrerne le fasi?
Alessandro Di Pietro: La quadrilogia che hai elencato nell’introduzione fa parte di un percorso iniziato nel 2016, ma che per me è nata in funzione di un momento specifico, dopo una pausa produttiva iniziata nel gennaio 2015.
È stato molto complicato uscire da quel periodo, poiché molte delle dinamiche formali e concettuali che cercavo di innescare – basandomi su un approccio prevalentemente de-costruttivo e di post produzione di fonti pre-esistenti – non funzionavano più. Era come se, da una certa prospettiva, avessi trovato una regola che mi permettesse di “fare”, ma questa regola, specchiandosi continuamente in sé stessa, si chiudesse sempre di più.
Ciò che dentro era ormai un blocco, lo era diventato seriamente anche per tutto quello che mi circondava. E se è vero che siamo capaci di estraniarci così tanto da noi stessi da diventare i primi spettatori del nostro fare, ho pensato che forse sarebbe stato bello, a un certo punto, provare a fare una pausa, dimenticandosi di quello che esiste realmente in quanto oggetto culturale da analizzare, scomporre e ri-normalizzare in un’opera alterata. Tentare, per una volta, di produrre delle fonti che potessero essere oggetti o ambienti.
E se è vero che quel tipo di astinenza espressiva (che per certi versi esiste ancora nel mio lavoro) ha prodotto i minimi termini sui quali costruire il lavoro, in questo preciso momento della mia pratica artistica ha assunto un ruolo più applicativo che espressivo.
Gli amori crollano e a volte non lasciano tracce se non nel modo con cui si affronta il mondo sempre dispotico verso i sentimenti e i microcosmi. L’opera audio-video “A shade of what remain unsaid” (2018) di Enrico Boccioletti – spcnvdr.org / a shade of what remains unsaid – è in questo senso per me vera.
Tornando ai capitoli di questa saga progettuale, essi sono strutturati come un climax discendente nel tentativo di creare mostri considerati come personaggi “nameless”, entità inquadrate e delineate attraverso la progettazione di spazi fisici dedicati ad aspetti funzionali e precisi delle loro vite. Per orientarmi ho utilizzato come struttura generica uno schema di sceneggiatura estremamente disidratato, rendendoli come prequel, personaggio principale, “ghost” e antagonista. Gli ambienti e i personaggi si pongono, nel caso qualcuno mai li organizzerà in una qualche forma, come proto-narrativi, fondamentalmente delle matrici.
Una volta terminato Tomb Writer (solve et coagula) (prequel) mi sono reso conto che è stato il primo ambiente che mi ha suggerito di affrontare la progettazione di uno spazio come una piattaforma multiforme, come un vettore che scrive il profilo di uno o più personaggi su un piano temporale unico e confuso. Un blocco fermo e secco, dove le entità che lo hanno costruito – e che delineo in prima persona – corrispondono all’architetto della tomba pavimentale caratterizzata dall’iscrizione di un uruboro e i profanatori di questo ambiente, reso da loro calpestabile, di cui si vedono incisioni che trattano di amore, odio e digital humanities. Noi vediamo lo spazio come un unicum in cui l’originale iscrizione centrale e le scritte attorno sono state seguite con la stessa tecnica e, da un punto di vista archeologico, non abbiamo la possibilità di capire cosa sia stato fatto prima o dopo. L’unica risposta sembra essere dentro un piccolo iPhone 4 innestato in uno dei moduli di gasbeton che costituiscono questo spazio friabile; nessuno dei profanatori ha indagato, è ancora lì intatto.
Downgrade Vampire (personaggio principale) era ambientata in un grande attico deprivato di tutti i default abitativi, come bagni, cucine ed energia elettrica. Questo personaggio viveva di luce solare alla ricerca di indagare il corpo come unica forma di lusso. Lui è un vampiro diurno abbiente, ricerca la propria dimensione di povertà e cerca di mettere alla prova il proprio fisico riducendo ai minimi termini di esistenza la sua giornata, sperando di trasformarsi in una “cosa”.
Towards Orion: stories from the backseats era invece il demone che insegue il personaggio principale e si è formalizzato a Parigi, nella vetrina de La Plage. Qui la prospettiva occupava la posizione del sedile posteriore prima di un crash fisico o psicologico, e il punto di vista era dato dallo sguardo del passeggero seduto dietro che si accorge che sta per accadere un grande cambiamento.
ATP. Con Felix introduci la figura dell’antagonista che affermi non essere necessariamente una nemesi del personaggio principale, né una proiezione negativa del “buono”. Cos’è allora Felix, che relazione ha con il protagonista e che ruolo ha all’interno e nella conclusione di questo percorso espositivo-narrativo?
ADP: Felix non è il nome dell’antagonista, bensì un’attitudine o uno stato di grazia in cui, per “lui”, il tempo e il susseguirsi degli accadimenti non hanno più senso, una volta scoperta la semplicità dei sentimenti in sé stessi e negli uomini.
Di base il carattere Felix è un collage ispirato a una serie di personaggi di fiction, alcuni di loro ispirati a loro volta da figure reali o da altri film: Dr. John W. Thackery, luminare della serie televisiva The Knick (2014-2015), diretta da Sodeberg e ambientata tra il 1900 e il 1901, in cui l’ospedale Knickelbrock di New York, raggiunge livelli di sperimentazione altissima grazie all’utilizzo dell’elettricità e sviluppando nuovi standard in ambito medico-chirurgico; il Dr. Semmelweiss, medico ungherese che viene raccontato da Céline nel romanzo del 1924 e che passa alla storia per aver capito che la causa di molte morti tra i pazienti dell’epoca era la cattiva igiene dei medici; Patience, la protagonista della graphic novel di Daniel Clowes uscita nel 2015, che senza saperlo è stata salvata grazie al suo compagno che dopo averla perduta scopre come tornare indietro nel tempo; Rick Sanchez di Rick and Morty e la conoscenza dei multiversi e della totale riproducibilità di sé stessi in tutti gli universi possibili immaginabili.
ATP. Questo ultimo capitolo è iniziato nel corso della tua residenza presso l’American Academy in Rome. Che correlazione c’è tra l’installazione ospitata all’AAR e l’intervento a Milano?
Felix è l’antagonista di questa serie e la sua progettazione è iniziata durante la residenza all’American Academy in Rome. La prima parte di questo capitolo è stata mostrata nel contesto dell’esibizione The Tesseract a cura di Ilaria Gianni. L’opera in mostra è una struttura di lamiera forata, plastica e metallo, evidentemente vuota al suo interno. Il titolo è The Self-fulfilling Owen Prophecy e il suo volume di parallelepipedo è una sintesi formale tra tipologie di moduli molto simili proporzionalmente tra di loro, nello specifico: il basamento di Ercole e Lica, il sarcofago degli sposi di Tarquinia e una batteria elettrica. Tutti questi elementi sono accomunati dal fatto che se non li attivi o non li apri, non verrai mai a conoscenza dell’esistenza del loro contenuto. Nella documentazione dell’opera un ragazzino di 13 anni di nome Owen si muove e scambia due elementi cilindrici, di cui uno sembra più nuovo dell’altro. Questi oggetti sono due capsule del tempo solitamente utilizzate per trasmettere un’eredità culturale ai posteri, invece in questo caso sono vuoti e decorati esternamente. Il rilievo, un polimero caricato a polvere di bronzo e ferro, presenta un soggetto particolare, ovvero la pelle di leone allungata e distorta del complesso scultoreo di Ercole e Lica presente alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma.
Owen si muove perfettamente a suo agio tra questi elementi: come un gatto di Torre Argentina vive sopra questa rovina e diventa il vero protagonista del voyeurismo culturale dell’osservatore.
A Milano Owen è cresciuto e la profezia si è già avverata. Le capsule del tempo si sono evolute tecnologicamente in batterie e in consumo, infatti alcune di queste sono funzionanti ed emanano calore, ma non per sempre: la lunga parete-scultura intarsiata di polistirolo che le archivia ha ancora poche scorte. Il potenziale energetico di questo spazio di consumo, del calore reale, viene emanato e può essere percepito a scopo personale da chi guarda o tocca le “sculture”.
La mostra milanese ha tre ambienti comunicanti di cui il primo presenta una coppia di cassetti-mensola grigi che presenta due stampe 3D di felini, identici, provenienti dalla Nigeria i cui volti, a differenza delle pelli di leone (quasi irriconoscibili), sono fedeli alla scansione originale (riconoscibile ma senza la possibilità di comprovare la fedeltà autoriale).
L’ambiente centrale è costituito da un sistema di strutture tubolari con “attive” tre capsule, che restituiscono calore tra i 30° e i 40°, e infine c’è la grande parete centrale, “biblioteca”, che presenta ancora alcune capsule non utilizzate che rappresentano il potenziale energetico rimanente, non ancora espresso.
Il terzo ambiente è utilizzato come un vero e proprio storage dell’opera matrice di tutta la mostra, The Self-fulfilling Owen Prophecy (2018) come stipato e non più attivo, ma che presenta la prima capsula costruita.
ATP. Nel comunicato stampa e nel testo di accompagnamento alla mostra scritto da Giovanna Manzotti compaiono alcune citazioni alla serie animata americana Rick and Morty. In che modo questi riferimenti si inseriscono nella tua ricerca?
ADP: Rick and Morty è un capolavoro. In questa serie, amore e scienza sono compressi così tanto che sembrano superare la morte come problema personale. Giovanna ha scritto manualmente la citazione (il riferimento è l’episodio 6, intitolato Febbre d’amore) su un foglio di carta del 1700, come se fosse un appunto sulla pagina di un diario. Lei è diventata l’unica fautrice di una possibile testimonianza “auto-biografica” all’interno di Felix, prestando la sua stessa calligrafia. Il suo contributo testuale è cresciuto in parallelo alla progettazione della mostra, fino all’ultimo giorno di allestimento.
ATP. Infine, Enrico Boccioletti ha composto una speciale composizione audio, una sorta di colonna sonora per Felix, che sarà possibile ascoltare nella serata del 14 aprile. Puoi darci qualche anticipazione su questo intervento?
Il contributo di Enrico – come quello testuale – diventerà strutturale alla mostra, con durata temporanea di una sola notte. La soundtrack che sentirete è dedicata a questo capitolo e si intitola Per Felix. Ho dato a Enrico solo qualche riferimento iniziale, specialmente alcune musiche originali tratte della serie The Knick e scritte da Cliff Martinez.
Enrico è stato completamente autonomo e ha seguito dall’inizio tutto il mio lavoro, comprese le componenti della mostra e i suoi scarti. Posso dire che ha scritto una serie di temi musicali che si articoleranno all’interno dell’architettura dello spazio da me progettato, ma fino all’ultimo non voglio conoscere il risultato finale.
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Alessandro Di Pietro — Felix
Marsèlleria, via privata Rezia 2, Milano
Fino al 24 maggio 2018
14 aprile, ore 19.00 – 00.00
Per Felix attivazione sonora con la partecipazione di Enrico Boccioletti
in occasione della Art Night Non Profit Space