Giovanni Morbin risponde con questi interrogativi sagaci alla quiescenza, un periodo comunemente considerato di riposo, stasi ed ozio. Ozionismo, manifesto orizzontale alla Galerie Michaela Stock di Vienna è l’esposizione che pone le basi per una ricerca basata sull’ozione, atto creativo contrapposto all’azione e alla retorica del fare.
Tra serie storiche della fine degli anni Settanta e opere inedite, l’artista è protagonista di quattro grandi progetti espositivi – insieme ad Ozionismo, Ibridazioni alla Galerija Vžigalica di Lubiana, Slovenia (fino al 14 gennaio 2024), Campo di ricerca alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia (fino all’11 febbraio 2024) e Indispensabile al Museo Civico Archeologico del Settore Musei Civici Bologna (fino al 25 marzo 2024) – che ripercorrono la sua ricerca come body artist, di cui scultura e performance ne rappresentano il cuore. Con schiettezza e ironia, Giovanni Morbin ha risposto ad alcune domande per raccontare gli ultimi progetti e l’essenza della sua poetica.
Veronica Pillon: Il primo novembre 2023 ha segnato la data del tuo pensionamento e per celebrare l’ambito traguardo è stato realizzato un progetto espositivo che conta ben quattro mostre, due in Italia e due all’estero. Questa paradossale condizione di azione-riposo è il tema affrontato nella prima delle quattro mostre in programma, Ozionismo, manifesto orizzontale presso la Galerie Michaela Stock a Vienna: in qualità di artista visivo – ed in particolare body artist – come affronti questo momento? Pensi sia possibile il venir meno dell’azione?
Giovanni Morbin: Le mostre a cui ti riferisci rappresentano una sequenza di progetti allineatisi senza premeditazione e che non sono quindi scientificamente legati alla data del mio pensionamento. La fine del periodo lavorativo e la collocazione a riposo (così si definisce il pensionamento di un lavoratore) di un lavoratore rappresenta nell’immaginario collettivo un punto di confine e di passaggio ad una nuova e paradisiaca condizione. Sinceramente, guardavo l’approssimarsi di quella data senza particolare trepidazione e da mesi pensavo a quel momento con attenzione analitica sul lavoro e sulla sospensione dell’attività. Otium e Negotium mi sembravano i due estremi ideali di un segmento su cui potevo ragionare. Ora, affronto questo momento, questo passaggio come affronto ogni giorno lo scoccare della mezzanotte, in maniera fluida. Particolarmente interessato al corpo e ai comportamenti mi sono ovviamente chiesto cosa avrebbe potuto significare la sospensione delle attività per un body artist. L’attacco di Ozionismo. Manifesto orizzontale si interroga infatti su che Cosa fa un artista quando va in pensione? Smette di lavorare? E se si tratta di un artista concettuale, cosa accade? Smette di pensare? Per rispondere a questi interrogativi ho concepito la mostra Ozionismo visitabile nelle scorse settimane a Vienna.
VP: Le quattro mostre – Ozionismo, manifesto orizzontale alla Galerie Michaela Stock di Vienna (18 novembre 2023 – 5 gennaio 2024), Ibridazioni alla Galerija Vžigalica di Lubiana, Slovenia (28 novembre 2023 – 14 gennaio 2024), Campo di ricerca alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia (15 dicembre 2023 – 11 febbraio 2024) e Indispensabile al Museo Civico Archeologico del Settore Musei Civici Bologna (26 gennaio – 25 marzo 2024) – ripercorrono le tappe fondamentali della tua ricerca e ne evidenziano l’eterogeneità, nei linguaggi e nelle tematiche, ma nello stesso tempo propongono opere inedite e site-specific. Come hai immaginato questo percorso tra Vienna, Lubiana, Venezia e Bologna?
GM:Come già anticipato, le mostre in calendario corrispondono ad una sequenza di proposte che ho via via accolto. Per essere più preciso, un appuntamento precede le quattro mostre in calendario. Si tratta dell’azione presentata all’Accademia di Belle Arti di Verona nel mio ultimo giorno di servizio. Con il fondamentale contributo di una settantina di studenti ho presentato Tutto ciò che resta – ibridazione 15. Questo appuntamento assieme a quello viennese, pensati e progettati da tempo, hanno segnato il mio congedo dal mondo dell’attività. Nella mostra di Lubiana alla Galerija Vžigalica, supportata dall’Istituto Italiano di Cultura e curata da Alenka Pirman e Jani Pirnat, l’attenzione si focalizza su alcune azioni particolari, le Ibridazioni. Prodotte e presentate dal 1995 ad oggi, coprono quasi un trentennio di attività che non vede l’autore come il solo protagonista dell’evento. Le prime Ibridazioni nacquero in quell’angolo d’Europa, tra l’Italia e la Slovenia, e con la mostra s’è voluto fare il punto sulla situazione.
VP: Nella serie Ibridazioni, poni al centro azioni di estensione e di superamento del limite fisico: il corpo è protagonista ma non è isolato rispetto al contesto circostante. Che relazione intercorre tra il tuo corpo e gli elementi artificiali o naturali che popolano lo spazio in cui l’azione si svolge?
GM: Questo particolare modo di intendere e vedere ciò che è corpo non pervade solamente le ibridazioni ma si allarga anche al mio lavoro in generale. Il valore sociale e socievole del corpo è presente anche nei progetti compresi in Non sto più nella pelle (Si tratta di un work in progress che comprende in modo specifico opere dipinte con il mio sangue oppure, come nella serie dei ritratti, lavori dipinti con il sangue del committente), indicatore ad esempio del mio impegno come ritrattista, oppure nel proporre l’uso e l’adozione dello Strumento a perdifiato (Lo Strumento a perdifiato è pensato per parlare a sé stessi e viene proposto per essere installato nei luoghi pubblici e privati della città. Il loro utilizzo è libero ed è accompagnato, senza obblighi funzionali, da una tabella che precisa le considerazioni che lo hanno generato. Fu presentato e installato per la prima volta nel 1995 a Lubiana (SLO)), un attrezzo per parlare a sé stessi. Fatta questa precisazione e per tornare alle ibridazioni, corpo è tutto ciò che siamo e che ci circonda e in questo tipo di azioni non esiste posizione subalterna. È talmente vero che nelle ibridazioni e persino previsto il fallimento come eventualità. L’ibridazione si copie nella complicità e nel valore paritario dell’atto e questo significa che per portare a termine l’azione serve il concorso di tutte le parti in causa. Mi piace citare aD ada – ibridazione 11 (Presentata il 5 febbraio 2016 a Cabaret Voltaire (Zurigo), in occasione del centenario, in cui Ada, la mia cagnolina, si rifiutò di replicare l’evento serale per l’eccessiva presenza di pubblico), evento in cui le condizioni ambientali difficili condizionarono i comportamenti di Ada, la mia cagnolina, con cui condividevo l’esperienza. Va inoltre precisato che le ibridazioni non si manifestano come eventi spettacolari e si consumano per lo più nella normalità degli eventi quotidiani, mentre tutto il resto evolve e si manifesta.
VP:In occasione della mostra veneziana, hai realizzato una serie di opere site-specific per gli spazi della Fondazione Bevilacqua La Masa: come si inseriscono questi lavori all’interno del “campo di ricerca” che il percorso espositivo va a delineare?
GM: Campo di ricerca, titolo della mostra, ritrae un modo di intendere e agire nel divenire artistico. Introduce le opere in mostra ed evidenzia le propaggini fuori contesto. Un’opera video-vegetale (Body – ibridazione 2. Cornedo (VI) 1997, Lubiana (SLO) 1998, Topolò (UD) 1998) collocata tra frutta e verdura a pochi metri dalla sede espositiva. GMCB15N23 (Una pagina del Gazzettino, un’inserzione a pagamento, comprata per essere lasciata bianca), una pagina bianca che Il Gazzettino ospita e che il lettore potrebbe equivocare come errore di stampa. Un’opera al neon che all’ingresso recita Giovanni Morbin la cui M traballa come se fosse un’anomalia tecnica e trasforma il cognome in …orbin. Tre lavori che mostrano l’esile membrana che separa l’ordinario quotidiano dal gesto artistico. Tre strabismi, tre sviste che mostrano come, nonostante più di cento anni d’avanguardia, tendiamo a guardare ancora in modo prospettico centrale. Campo come spazio naturale di questa città, anche.
VP: L’ultima esposizione è allestita all’interno del Museo Civico Archeologico di Bologna: che rapporto intercorre tra i tuoi lavori e i reperti archeologici in esso conservati, e più in generale con la storia (intesa non solo in senso collettivo – storia dell’uomo – ma anche come passato/ricordo)?
GM: Più che con la storia c’è uno stretto legame con il divenire delle azioni e della manipolazione come calco delle stesse azioni. La mostra si concentra sugli oggetti che promuovono un atto, lo indicano e per questo si offrono come attrezzi.
È difficile per me entrare in questo luogo proponendo una mostra che sia corpo estraneo. Un’intrusione che nulla abbia a che vedere con lo specifico del luogo. Del resto, non è stato difficile trovare spunti di contaminazione utili a generare, ancora una volta, quella sorta di strabismo di cui si parlava in precedenza. C’è il desiderio di offrire un progetto che possa alimentarsi anche dei contenuti esterni al mio lavoro ma che già sono rilevanti del contesto che mi ospita.
Parte dei lavori saranno collocati accanto ai reperti museali, quasi mescolati, proprio per non fermarsi al passato/ricordo e indicare invece l’evoluzione di alcuni archetipi.
VP: Quali sono invece i progetti in programma nel prossimo futuro?
GM: Oziono