Parte il 13 novembre lo Schermo dell’arte Film Festival a Firenze, giungendo alla sua undicesima edizione e proponendo un programma internazionale che sviluppa le connessioni tra cinema e arte.
Due importanti ospiti di questa edizione sono Peter Greenaway e Rä di Martino, cui sono dedicati degli spazi specifici all’interno di una programmazione che spazia tra documentari, film sperimentali, corti e video d’arte; sono anche diversi i lavori di artisti e cineasti internazionali che presentano opere in anteprima. Cinquanta invitati attesi tra artisti, registi, produttori e addetti ai lavori tra cui Driant Zeneli, Barbara Visser, Gabrielle Brady, Diego Marcon, Jordi Colomer, la regista Lisa Immordino Vreeland, la curatrice Sarah Perks e il produttore Yorgos Tsourgiannis.
Tra i corti che verranno proiettati al Cinema La Compagnia domenica 18 novembre si segnalano tre film, “accomunati da atmosfere misteriose e sospese”: Monelle del giovane artista italiano Diego Marcon, vincitore del MAXXI Bulgari Prize 2018; Blue, presentato in anteprima, del filmaker e artista tailandese Apichatpong Weerasethakul e infine, Who Was the Last To Have Seen the Horyzon? dell’artista albanese Driant Zeneli che rappresenterà l’Albania alla prossima Biennale di Venezia e che, nel 2017, ha partecipato al programma di formazione VISIO. European Programme on Artists’ Moving Images, curato da Leonardo Bigazzi.
ATPdiary ha posto alcune domande a Zeneli in vista della presentazione del suo corto per lo Schermo dell’arte.
ATP: Sei appena stato scelto come vincitore del premio Level 0 ad ArtVerona per la GAMeC di Bergamo con queste parole: “[…] per la sua capacità di parlare con lucidità e fermezza, insieme a incanto e meraviglia, attraverso il mezzo filmico, di utopie impossibili che diventano ossessioni, di illusioni e fallimenti, che lasciano spazio al sogno e all’immaginazione, quali dimensioni entro cui poter trovare e scegliere alternative possibili.” Ma sei anche l’artista chiamato a rappresentare il tuo paese d’origine, l’Albania, alla prossima Biennale di Venezia, dove presenterai un progetto intitolato Maybe the cosmos is not so extraordinary.
Non c’è dubbio che la tensione, l’energia, la spinta verso la scoperta – scientifica, cosmologica o esistenziale e umana che sia – assieme al rischio che il tentativo comporta, siano un carattere ricorrente della tua ultima ricerca, un po’ come quel sogno di Icaro di fare una nuvola che in una tua performance prepari e tenti, o come cercare di toccare la luna. Mi racconti il tuo personale senso dell’Utopia attraverso il linguaggio artistico?
Driant Zeneli: L’utopia è come l’orizzonte, fai un passo verso di lei e si muove a dieci passi di distanza, fai venti passi e si muove a molti altri passi di distanza. Mentre cammini, non la raggiungi mai e così ti porta ad intrappolarti in nuove vie, sconfinando in nuove aree. Oggi l’utopia è spesso considerata come un concetto tristemente superato nel mondo. È generalmente percepito come suggestivo di un idealismo ingenuo, di una speranza donchisciottesca, è vista come nozione errata, un pezzo irregolare nella trama del mondo del ventunesimo secolo.
Nei due lavori che citi sopra, che fan parte della trilogia “When Dreams Become necessity” mi interessa la strada che porta all’utopia, quando è ancora intrisa di sogni. Trovo molto affascinante il momento del tentativo più che il desiderio in se stesso che tutti noi abbiamo in un modo o nell’altro. Sono attratto da chi ogni giorno tenta di spostare i limiti pre-impostati. Penso che tutto questo esista grazie alla forza della gravità, il conflitto che abbiamo con essa inizia da quando siamo piccoli, quando cadiamo per la prima volta. Nei miei primi lavori, partendo dal 2007, mi pongo in prima persona, un po’ da eroe, un po’ da donchisciotte. Negli ultimi anni ho sentito la necessità di lavorare più con altre persone che conosco o in altri casi cerco di conoscere creando un rapporto di fiducia tra loro me e lo spazio. Le opere video sono quasi degli ossimori, delle finte-vere messe in scena.
ATP: Il 18 novembre presenti a Firenze per lo Schermo dell’arte il corto Who Was the Last To Have Seen the Horyzon?, che vede quattro persone e un cane perdersi nell’orizzonte e raggiungere un mondo “alieno”. Sembra che le tue ultime ricerche ti portino a indagare mondi “extra-terrestri”, possibilità di sperimentare dimensioni alternative e nuove forme di vita e a forzare le leggi della fisica, del mondo ma allo stesso tempo sei un artista che studia la natura umana e le relazioni tra sè e gli altri. Come si interfacciano questi due poli in Who Was the Last To Have Seen the Horyzon?
Driant Zeneli: Spesso parto da un caso scientifico o storico, come in una delle ultime opere video Who Was the Last to Have Seen the Horizon?. Sono molto curioso di tutto quello che accade dal micro al macro fenomeno, come la caduta di un sistema sociale-politico o quella di un albero nella foresta. Sono tutti fenomeni che accadano di continuo e che spesso purtroppo non possiamo fermare. Come la perdita della linea dell’orizzonte come punto di riferimento che separa la Terra dal cielo. Un mio amico mi dice sempre che sono orientato verso il cielo, in realtà mi interessano quelli che lo guardano.