IMPRONTE – Intervista agli artisti, atto I | Raccolta Lercaro

Sofia Bersanelli, Alessandra Brown e Norberto Spina raccontano la loro esperienza presso la residenza di Raccolta Lercaro, svelando i progetti e i caratteri della loro ricerca.
10 Febbraio 2021
Sofia Bersanelli, “Di quando cosa che è felice, cade”, video, colore, 13’33, 2020
Sofia Bersanelli, “Spiraea”, video, colore, 8’49, 2017

Raccolta Lercaro, grazie alla vicinanza con il Nuovo Forno del Pane (MAMbo-Museo d’Arte Moderna di Bologna), dà vita al progetto IMPRONTE – a cura di Laura Rositani, Claudio Musso, Francesca Passerini e Andrea Dall’Asta – in cui alcuni spazi espositivi della Raccolta diventano atelier per giovani artisti selezionati. Il lasciare una traccia, un’impronta del proprio passaggio, è il punto di partenza su cui la ricerca degli artisti si struttura. L’arte, infatti, nei momenti di crisi è in grado di captare quelle che sono le urgenze e le fragilità dell’essere umano. La residenza, attraverso il confronto tra i partecipanti, favorisce una riflessione sull’uomo, sulle relazioni e sulla necessità di una crescita umana e spirituale.
Sofia Bersanelli, Alessandra Brown e Norberto Spina hanno risposto ad alcune domande sul progetto IMPRONTE e sulla loro ricerca. 

Sofia Bersanelli è pittrice e scrittrice. La sua ricerca si basa sulla relazione che intercorre tra il testo e l’immagine, attraverso un approccio multimediale: i suoi lavori spaziano dalla scrittura alla fotografia, dal video al disegno, per mostrare come trasformazione, mutamento e precarietà contraddistinguano la nostra esistenza. 

Veronica Pillon: Il progetto della Fondazione Lercaro si intitola “Impronte”: che significato ha per te il concetto di “Impronta” e conseguentemente il lasciare una traccia o un segno attraverso la tua pratica artistica e i tuoi lavori? 

Sofia Bersanelli: Penso che attraverso il gesto incisivo dell’artista sia possibile soffermarsi su aspetti della vita che altrimenti rimarrebbero inespressi o non visti. Per me l’arte è essenziale perché, oltre ad essere un atto espressivo, implica in qualche modo un’attenzione particolare verso la realtà che abilita nuove forme di conoscenza. La mia pratica infine vuole “dire bene” ciò che accade nel quotidiano e questo progetto è un’occasione, innanzitutto per l’artista, per una continua maturazione della propria consapevolezza. 

VP: Durante il periodo di residenza, gli spazi espositivi della Fondazione Lercaro si sono trasformati in atelier: a cosa hai lavorato/stai lavorando?

SB: L’emergenza sanitaria ha costretto il mio lavoro nel mio studio a Milano e per questo, purtroppo, non ho avuto modo di frequentare con regolarità gli spazi della Fondazione Lercaro. Questo inconveniente tuttavia è stato l’occasione per concentrarmi sulla scrittura che di fatto si svincola dalla necessità di un’ambientazione fisica particolare. Durante una delle rare frequentazioni del luogo in presenza mi è stato suggerito da Marzia Migliora di lavorare sulla materia della parola, intesa sia come contenuto poetico che come suono musicale. Il lavoro finale vuole essere un’opera video in cui emerga il tratto vivo di una coscienza che testimonia istanti di oscurità e di chiarezza di fronte alla presenza stabile della natura.  

VP: Se dovessi descrivere in una parola (aggettivo o sostantivo) la tua ricerca, quale sceglieresti e perché?

SB: La mia ricerca può dirsi “poliedrica” in quanto attinge a diverse chiavi espressive che vanno dal linguaggio verbale a quello visivo, mirando a portare allo scoperto momenti di esperienza toccata dal dramma e dalla speranza. 

Alessandra Brown, Geografie della Memoria, Ex-Refettorio di San Mattia, Bologna, 2019
Alessandra Brown, Hostages, Curva Pura, Roma 2020

La ricerca di Alessandra Brown riflette sulla connessione e il distacco, elementi caratterizzanti della società digitale in cui viviamo. Dopo una laurea in Storia e Arti Visive, i suoi lavori si concentrano sui paradossi del nostro presente, in bilico tra analogico e virtuale.

Veronica Pillon: Il progetto della Fondazione Lercaro si intitola “Impronte”: che significato ha per te il concetto di “Impronta” e conseguentemente il lasciare una traccia o un segno attraverso la tua pratica artistica e i tuoi lavori?

Alessandra Brown: Intendo il lasciare una traccia come una testimonianza di un determinato momento storico e di una riflessione rispetto ad esso. È un interrogativo rispetto ad alcuni eventi che ci troviamo a vivere e il nostro modo di dargli un senso.

VP: Durante il periodo di residenza, gli spazi espositivi della Fondazione Lercaro si sono trasformati in atelier: a cosa hai lavorato/stai lavorando?

AB: Partendo da ferma-immagini di videochiamate, sto sviluppando dei disegni che riflettono sul ruolo essenziale del mondo virtuale rispetto alla crisi delle nostre interazioni fisiche e sociali, mondo nel quale si esprime il paradosso di essere costantemente connessi e, al contempo, di provare un crescente distacco gli uni dagli altri.

VP: Se dovessi descrivere in una parola (aggettivo o sostantivo) la tua ricerca, quale sceglieresti e perché?

AB: Sceglierei due parole, ovvero il titolo della serie su cui sto lavorando: “(Feeling) Disconnected”, che intende giocare sul duplice aspetto di avere problemi di connessione di rete, ma anche, e soprattutto, nel rapporto con l’altro.

Norberto Spina, “La notte”, Pittura acrilica, pittura parietale e marker su tela, 200 x 160, – Cemento, polvere, plastica ed elementi di scarto (mattoni), 2020

Periferia è la parola chiave che definisce l’attuale ricerca del pittore Norberto Spina. Attraverso la stratificazione del supporto, in cui materiali diversi si sovrappongono, l’artista riflette sul concetto della periferia, intesa sia come spazio urbano e tessuto sociale ma anche come l’essere ai margini di ogni tempo. Ogni tela, attraverso l’accostamento di materiali pittorici e trovati, assume una forma e una struttura sempre nuova. 

Veronica Pillon: Il progetto della Fondazione Lercaro si intitola “Impronte”: che significato ha per te il concetto di “Impronta” e conseguentemente il lasciare una traccia o un segno attraverso la tua pratica artistica e i tuoi lavori?

Norberto Spina: Fare arte implica  senza dubbio lasciare delle impronte di sé e del proprio mondo, per me però è anche uno strumento fondamentale che mi permette di raccogliere e rielaborare le “impronte” di umanità che trovo lungo il mio percorso.

VP: Durante il periodo di residenza, gli spazi espositivi della Fondazione Lercaro si sono trasformati in atelier: a cosa hai lavorato/stai lavorando?

NS: Purtroppo, data la situazione attuale ed essendo io un artista milanese, mi è stato fino ad ora quasi impossibile lavorare in prima persona negli spazi della Fondazione. Sto cercando di fare del mio meglio per colmare le distanze, ma confesso che, più che lo spazio, mi è mancato tantissimo il confronto diretto con gli altri ragazzi in residenza con me. Ho iniziato a elaborare il mio progetto concentrando la mia attenzione sulle vite al margine, le vite che vengono vissute nelle zone “grigie” che si creano più o meno spontaneamente ai margini della città. In particolare, sto approfondendo questo discorso mettendo un focus sul complesso tema della prostituzione. Per ora sto cercando di raccogliere immagini e testimonianze dirette da riportare nella mia ricerca. Si tratta di una grandissima sfida per me, sia come artista che come persona.  

VP: Se dovessi descrivere in una parola (aggettivo o sostantivo) la tua ricerca, quale sceglieresti e perché?

NS: Urbana. Perché tutto per me parte dal mio vissuto quotidiano tra le strade della mia città. Perché l’urbanizzazione è per me una straordinaria metafora dell’umanità che la abita. La città è un terreno di scontri e di incontri continui e quindi una fonte di ispirazione praticamente inesauribile.

Norberto Spina, “Da qualche parte esiste una fine”, Collettori di automobili, carrube e pittura acrilica, 2020
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