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Imagomorfosi

Per rendere il senso di un flusso continuo e copioso di immagini, soprattutto riguardo al processo di metamorfosi continua e in divenire, ho cercato una parola che potesse ridurre più frasi in un solo termine. Una notte del 2020, durante la preparazione del secondo libro sulla Metafotografia, l’insonnia ha portato un neologismo: imagomorfosi. Nel libro, […]

Pietro Catarinella, Cover up, stampe digitali su poliestere, dimensioni varie, Macro – Museo di Arte Contemporanea di Roma, 2019
Pietro Catarinella, Cave of Forgotten Dreams, 15 stampe digitali su poliestere di dimensioni 91,4 x 290 x 40 cm, Macro – Museo di Arte Contemporanea di Roma, 2019

Per rendere il senso di un flusso continuo e copioso di immagini, soprattutto riguardo al processo di metamorfosi continua e in divenire, ho cercato una parola che potesse ridurre più frasi in un solo termine. Una notte del 2020, durante la preparazione del secondo libro sulla Metafotografia, l’insonnia ha portato un neologismo: imagomorfosi. Nel libro, però, il termine poi non l’ho inserito, rimandando a un’altra occasione.
Ora, utilizzo i neologismi “imagomorfosi” e “imagomorfo” per indicare un processo in cui l’immagine si trasforma sia a causa di fattori esterni sia per la spinta di forze endogene. Il termine sembra adatto anche per denominare il flusso continuo di immagini che caratterizza questo periodo storico, dominato dall’utilizzo di internet, dagli smartphone e dai social. A me, però, interessano più le proiezioni imagomorfe che sono in azione anche nell’inconscio, che orienta in maniera specifica il modo in cui il soggetto percepisce l’altro e il mondo, e gli imagomorfismi di carattere fantasmatico.

Collego l’imagomorfosi anche alla ricerca di Pietro Catarinella, che rimette in funzione qualcosa proveniente dall’arte dei detriti. L’artista riprende questioni che sono state indagate da Kurt Schwitters fino a Robert Rauschenberg e oltre, riconsiderando assemblaggi attraverso materiali di recupero, presenze ricercate nello scarto della quotidianità. Il progetto prevede la riattivazione di “oggettimmagini”, apparentemente destinati a una inevitabile fine, entro un attuale Merzbau in divenire continuo, dove il flusso imagomorfo si rapporta continuamente con lo sguardo dei fruitori e lo spazio, da riconsiderare ogni volta che qualcosa viene aggiunto nell’allestimento e nel riallestimento. All’inizio interessano più le dimensioni dell’opera, il rapporto con lo spazio, in quale situazione si troverà, dove si andrà a collocare. Tutto il resto è apertura al possibile nella forma caotica, per essere più aderenti a un processo che sia più libero possibile. Si tratta allora di mettere in moto possibilità dinamiche. In questa azione entrano altri fattori ineliminabili, a volte anche cercati prima di ogni altra cosa, come il caso, l’indeterminato, il rinvio, e altro ancora, che viene lasciato alla immaginazione o perspicacia degli spettatori. Il coacervo che si viene a formare nella sovrapposizione di numerose immagini e parole fa in modo che non sia data troppa importanza al singolo soggetto, o tema o significato. Semmai il meccanismo sospeso vorrebbe aprire alla polisemia. L’eliminazione del soggetto è rassicurante o no? Lo spostamento dello sguardo non sul soggetto unico ma su qualcosa più espanso fa in modo che il processo divenente e le metamorfosi continue delle immagini si possano connettere per innescare un approccio altro? Qualsiasi cosa passi dallo schermo degli smartphone e dalla rete ha lo stesso statuto iconico? Catarinella entra nel flusso delle immagini che quotidianamente scorrono, si lascia attraversare. Fruisce lo scorrimento e le innumerevoli derive che si possono innescare. Nel continuo scrolling trae qualcosa dalla velocità, soprattutto la sovrapposizione di immagini che inevitabilmente si mescolano tra loro. Il gesto è parte del flusso: sceglie, accosta, scarta, ricollega, agisce, temporeggia, sposta. Vista la velocità con cui ci misuriamo ogni giorno, l’artista guarda il formarsi degli agglomerati, e soprattutto si misura con la presenza enigmatica che si cela nella sovrapposizione delle immagini. A volte guarda il risultato delle immagini accostate, il loro incontro, come un aruspice che scorge una preveggenza. Altre volte attende un responso, come fosse una persona al cospetto della Pizia nel tempio di Apollo. Il più delle volte pensa e riconsidera quella massa immaginale, che in sé ha qualcosa di cui nemmeno ci rendiamo conto. 

Anatomies, The Other Art Fair, stampe digitali su poliestere, dimensioni varie, 2018
Pietro Catarinella, Cave of Forgotten Dre ams, 15 stampe digitali su poliestere di dimensioni 91,4 x 290 x 40 cm, Macro – Museo di Arte Contemporanea di Roma, 2019
Pietro Catarinella, SPAZIO GAMMA, dettaglio

Cerca di ricostruire o ricombinare qualcosa nel processo stesso, eliminando la linearità del tempo. E così si cerca di andare oltre il tempo cronologico e sequenziale per portare nell’opera le altre potenzialità dello scorrere inesorabile: l’intervento di Kairos, ovvero un tempo propizio per comprendere con una visione più lucida cosa stia avvenendo qui e ora, per individuare un momento di un periodo indeterminato nel quale qualcosa di speciale accade; la presenza dell’Aion, il tempo eterno, qualcosa che trascende i limiti di un inizio e di una fine. Nel processo gestatorio di Catarinella le immagini vengono incrociate tra di loro, cambiano continuamente, rimangono per mesi negli archivi della memoria. Poi quando vengono collegate, accostate, sovrapposte, messe insieme, è importante che in ogni punto del lavoro ci sia una ambiguità sospesa, che permetta di estendere l’interpretazione ad aperture polisense. In questa presunta ambiguità devono annidarsi però anche il senso dello scherzo e il cortocircuito ironico. Nel processo si confermano aspetti non comprensibili, qualcosa che sta prima di un pensiero, che potrebbe generare diverse interpretazioni, livelli e rapporti tra le cose che non devono essere schematizzabili. Per l’artista, il lavoro quando è troppo poco denso è grafico. Se si aggruma una intensa densità, lo sguardo dello spettatore quasi non vede più l’accostamento dei singoli soggetti perché l’insieme diventa una macchia e appare come un lavoro quasi astratto o, nei casi più riusciti, a una esperienza psichedelica, di derivazione forse primordiale e iniziatica.

Anche ogni dettaglio dell’insieme concorre a mettere in moto i meccanismi dell’ambiguità e della decostruzione ironica, così che il movimento degli occhi possa generare diverse letture soprattutto quando non si ha il tempo per pensare che una cosa abbia solo un determinato significato. E così Catarinella lavora dentro il principio della velocità, nel suo mistero, per non aver il tempo di definire in partenza il senso che si vuol mettere in azione. L’approccio all’immagine e al tessuto connettivo viene vissuto quasi seguendo il metodo di Robert Rauschenberg. E per stare al contempo fuori controllo e dentro, spesso lavora su più opere contemporaneamente per non arrivare a un momento in cui si interpreti in modo univoco, ma che rimanga aperto qualcosa, nella tensione verso una alterità non totalmente comprensibile. La velocità innesca degli spostamenti per non essere troppo coscienti e consapevoli di ciò che appartiene invece alla imprevedibilità. E così, dove non è possibile capire come il lavoro procederà verso la fine, lì si anima e si muove lo spirito della metamorfosi continua. E poi che ci siano dei ritorni, delle ripetizioni delle immagini, degli arrivi casuali, degli spostamenti continui rispetto ai lavori precedenti. Il processo è assolutamente aperto alla potenzialità del caos. Negli agglomerati presenti sui fogli acetati una funzione ulteriore è affidata alle parole o alle frasi frammentate, così che la relazione con le immagini rimanga sul piano indeterminato e frammentario, per non fare in modo che ogni rapporto col linguaggio verbale non faciliti una via d’accesso unica, ma che la loro presenza serva a dirottare verso altre derive l’interpretazione dell’insieme. I fogli acetati attingono alla forza evocativa delle vetrate medievali, così che i colori nelle immagini quando vengono attivati dalla luce vadano a muovere qualcosa che congiunge e mescola la figurazione alle visioni astratte o psichedeliche.  Catarinella legge la retroilluminazione delle vetrate medievali come un rimando che precorre la peculiarità dei lightbox, degli schermi di PC e smartphone. Il flusso debordante delle immagini al tempo della banda larga e ultralarga, dei cellulari sempre connessi, dell’iperproduzione di figurazioni ha però anche destabilizzato il potenziale della visionarietà e depotenziato la visione nell’esperienza estatica. La scelta di spostare il caos delle immagini e il flusso del mostruoso non più fantastico della nostra contemporaneità su superfici ferme e su fogli trasparenti collegati in serie – come fossero strati di un oltre in sospensione tra spazi e tempi – crea un cortocircuito che sembra contraddire ogni assunto legato alla costruzione concettuale dell’opera. E in questo sta il senso dell’ambiguità, dell’ironia di fondo, della contraddizione in termini, dello scherzo.

Pietro Catarinella, Imagomorphosis, PROMETEO GALLERY Ida Pisani. Via G. Ventura 6, 20136, Milano

23/03/2021 opening mostra

24/03 – 10/05/2021

Pietro Catarinella, Anatomies, The Other Art Fair, stampe digitali su poliestere, dimensioni varie, 2018
Pietro Catarinella, IMAGOMORPHOSIS #2 (2021)
Pietro Catarinella, Data Fall, assemblaggio di stampe digitali su poliestere, 375 x 430 x 100 cm, Spazio Fico, Milano, 2019