Se la nuova mostra inaugurata da Fondazione MAST a Bologna rientra nella tradizionale tipologia delle esposizioni d’arte, è solo perché raccoglie e presenta al pubblico una serie diversificata di oggetti. A ben vedere, però, la vasta selezione di video, fotografie, materiali d’archivio e pubblicazioni costituisce un unico, immenso e particolareggiato caso di studio, il cui argomento principale è rappresentato dalle diverse proprietà che interessano l’utilizzo del medium fotografico.
Non a caso, a ideare il progetto sono stati un artista, Armin Linke, e una storica della fotografia, Estelle Blaschke, i quali, come sottolinea il curatore della mostra Francesco Zanot, “hanno dato vita a una collaborazione inedita e inusuale, visto che i loro ruoli vengono spesso collegati a due categorie distinte e difficilmente avvicinabili tra loro”. Ed è sempre lo stesso curatore, a proposito della natura dell’esposizione, ad affermare che ci si trova di fronte al “risultato di una lunga ricerca, quasi fosse il precipitato di una soluzione, avviata circa cinque anni fa, e che da circa due anni si è deciso di presentare all’interno di una mostra”.
“Le sezioni in cui quest’ultima si suddivide – specifica Blaschke – sono Memory, Access, Protection, Mining, Imaging e Currency”, perché, come tutti sappiamo, “la fotografia fa parte, ormai, della nostra quotidianità, e il suo utilizzo non si esaurisce soltanto in quello relativo ai nostri smartphone”. Così, Image Capital – frutto della collaborazione tra Fondazione MAST, Museum Folkwang di Essen, Centre Pompidou di Parigi e Deutsche Börse Photography Foundation di Francoforte/Eschborn – “riflette su come la fotografia incide e interagisce con l’ambiente, col mondo circostante – spiega Linke – e su come in essa non concorrano soltanto le immagini, ma anche le parole, i famosi meta-dati che impieghiamo, ad esempio, quando facciamo una ricerca su internet”: da qui, il sottotitolo scelto per la mostra, ossia La fotografia come tecnologia dell’informazione.
La ricerca che Linke e Blaschke hanno intrapreso qualche anno fa, li ha condotti a confrontarsi con diverse realtà sparse per il mondo – in certi casi, non così facilmente accessibili al pubblico – come il Data Center di Iron Mountain, situato nella località di Boyers in Pennsylvania – centro di gestione e recupero dati con oltre duecentomila aziende clienti dislocate sul pianeta – il Kunsthistorische Institut di Firenze, il CERN di Ginevra, la Ter Laak Orchids a Wateringen e il Priva Campus a De Lier, entrambi nei Paesi Bassi – la prima è un’azienda di coltivazione e smistamento in tutta Europa di orchidee Phalaenopsis, mentre la seconda è leader nella produzione di apparecchiature utili ai processi di orticoltura – e poi la sede centrale di Banca d’Italia a Roma e l’High Performance Computing Center a Stoccarda – istituto di ricerca e supercomputing impegnato nei diversi settori delle scienze e dell’industria. Il motivo per il quale Linke e Blaschke si sono spinti in questi luoghi è sintetizzato dal fatto che in ognuno di essi viene adoperato, in maniera molto diversa, il medium fotografico: dalle relative applicazioni che ne hanno constatato deriva, infatti, la scelta di scandire la mostra nelle sei sezioni citate prima.
Così, tra interviste fatte ai ricercatori dei diversi istituti visitati, il materiale d’archivio concesso da questi ultimi e le fotografie realizzate durante i sopralluoghi, “Image Capital racconta una storia della fotografia diversa – scrive Zanot nel booklet che l’accompagna – investigata come sistema di creazione, elaborazione, archiviazione, protezione e scambio di informazioni visive all’interno di differenti tipologie di processi di produzione”. Il percorso della mostra assume una conformazione fluida e dinamica, ravvivata non solo dalle opere di Linke – il cui peculiare display espositivo, studiato di volta in volta in base ai diversi contesti, risulta efficace anche in questa circostanza – ma anche dai testi scritti da Blaschke nel corso della loro ricerca – i meta-dati di cui si diceva prima – “esposti all’interno di teche sopraelevate rispetto al livello del pavimento, proprio per conferirvi la giusta valenza” – sottolinea Linke.
Nata dalla performance-lecture tenutasi nel novembre 2018 al Centre Pompidou – il quale la ospiterà successivamente nel formato assunto oggi – ed esposta in contemporanea anche al Museum Folkwang di Essen fino al dicembre di quest’anno, Image Capital sembra essere concepita come una sorta di grande ipertesto in cui ognuno dei suoi elementi, oltre ad essere saldamente collegato agli altri, esige di essere esaminato e ulteriormente approfondito. Discorso che vale anche per tutta l’opera fotografica di Linke, con le immagini esposte in questa occasione a rappresentare delle finestre aperte su nuove conoscenze e intuizioni, nuovi mondi da scoprire e attraversare partendo dai dettagli in esse contenuti – già in passato l’artista aveva utilizzato la similitudine della pagina web per descrivere i propri lavori. I video, i testi e gli oggetti d’archivio che completano la mostra non costituiscono, tuttavia, il viatico per affrontare questo viaggio – meri sussidi subordinati alla comprensione della sua portata: al contrario, ne rappresentano, semmai, ulteriori tappe, altri momenti sui quali soffermarsi per avere piena consapevolezza del tutto.
Se, come scrive Zanot, “la fotografia non domina soltanto l’immaginario, ma molto di più”, la mostra presentata da Fondazione MAST fornisce un assaggio di ciò che tale medium è capace di fare nella nostra società contemporanea. Uno strumento dalle potenzialità imprevedibili, ben descritto da Mauro Zanchi nel libro La fotografia come medium estendibile (Postmedia Books, 2022), il quale lo definisce “un mezzo proteiforme, con utilizzi e approcci diversi, soggetto di riflessione critica, con tante declinazioni, sia concettuali sia formali. Sta dentro il flusso e i processi delle immagini, facilitando aperture e transizioni tra i media”, con la pluralità, l’eterogeneità e l’enigmaticità a costituirne i tratti più importanti.