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Il programma di Santarcangelo Festival 2025

La 55esima edizione dello storico festival romagnolo di arti performative riflette sulla dimensione del "not yet", il "non ancora" interstiziale tra un presente di oppressione e un futuro incerto.
Wojciech Grudziński, THREESOME | © Maurycy Stankiewicz

Not yet, “non ancora”, è il titolo adottato per la 55esima edizione del Santarcangelo Festival, in programma a Santarcangelo di Romagna dal 4 al 13 luglio. La dimensione del “non ancora”, sospesa tra un presente di oppressione e un futuro incerto, diviene spazio generativo di possibilità alternative rispetto alle grandi narrazioni storiche che, come scrive il direttore artistico Tomasz Kireńczuk, per il quarto anno alla guida del festival, “cercano di definire il possibile come già deciso”. Il borgo medievale di Santarcangelo come ogni anno si trasforma in una “città-festival”, che ospita in teatri, spazi alternativi, strade e piazze spettacoli di ben 38 compagnie italiane e internazionali, 20 delle quali in prima nazionale, per un totale di 140 appuntamenti spettacolari. Si aggiungono 9 dj-set notturni a Imbosco (con oltre 20 dj) e 8 incontri pubblici che mettono in dialogo i protagonisti del festival. Quest’anno assumerà particolare rilevanza la piazza centrale della città, Piazza Ganganelli, che ospiterà le performance di Xenia Koghilaki, Tiran Willemse con Nkisi e La Chachi. Inoltre, per la prima volta dal 2013, torneranno ad essere utilizzati gli spazi del complesso industriale delle ex-corderie.

È la coreografa francese di stanza in Svizzera Maud Blandel ad inaugurare il Festival con l’œil nu una riflessione sul fenomeno fisico della degenerazione stellare e, insieme, sulla percezione di ciò che è dentro di noi. Anche lo spettacolo che concluderà il festival, UNARMOURED di Clara Furey (Canada), parte dall’osservazione di un fenomeno naturale, giocando sulla metafora di un immenso mare interiore. UNARMOURED sarà ospitato dal Teatro Galli di Rimini, come U. (un canto), insieme performance musicale e drammaturgia a cura di Alessandro Sciarroni, Leone d’oro nel 2019 alla Biennale di Venezia, costituita da canti corali tratti dal repertorio italiano composti tra la metà del secolo scorso e i giorni nostri. In trasferta, stavolta al Teatro Petrella di Longiano, sarà anche temporale {a lesbian tragedy}, progetto performativo di Silvia Calderoni e Ilenia Caleo che materializza l’inquietudine del tempo presente. DEWEY DELL, compagnia composta da Teodora Castellucci, Agata Castellucci, Vito Matera e dal musicista Demetrio Castellucci, premio Danza&Danza 2024, presenta a Santarcangelo Echo Dance of Furies, un lavoro che si ispira a immagini della storia dell’arte e ai comportamenti animali per raccontare la paura come allerta costante e mezzo di sopravvivenza. Malign Junction (Goodbye Berlin) di Alex Baczyński-Jenkins (Polonia) esprime il tentativo di travalicare i confini dell’ordine normato per creare nuove forme di relazione, ispirandosi alla figura di Anita Berber, danzatrice di cabaret nella Repubblica di Weimar degli anni ’20. Abbracciando come di consueto una varietà di formati e di linguaggi espressivi, il festival propone quest’anno anche una durational performance di Ewa Dziarnowska (Polonia, risiede a Berlino) dal titolo This resting, patience: nell’arco di 180 minuti si racconta come la cura e il piacere sessuale possono diventare un modo per ridefinire le relazioni di potere. Anche Pacebo Dances di Flavia Zaganelli ruota attorno al tema del piacere, interpretato attraverso il medium della danza. In Slamming di Xenia Koghilaki (Grecia) a informare il movimento è invece l’espansione coreografica delle maree umane delle folle dei concerti.

Xenia Koghilaki, Slamming | © Pinelopi Gerasimou
Kenza Berrada, BOUJLOUD (man of skins) | © Helene Harder

Un altro tema centrale di not yet è la narrazione e la riattualizzazione di storie dimenticate per mettere in discussione le categorie con cui si guarda al presente. Il tema della memoria personale e collettiva ritorna nei lavori di plurimi artisti, a cominciare da Némo Camus, con base a Bruxelles, che in Dona Lourdès rievoca la storia della propria nonna brasiliana per cogliere, nella tensione tra danza classica e samba (e tramite il supporto del performer Robson Ledesma) i movimenti e il ritmo della sua vita. Muna Mussie, artista italiana di origine eritrea, offre con Cinema Impero un’esperienza intima, fruibile da una sola persona per volta, nella forma di una riflessione sulla propaganda cinematografica coloniale e le sue risonanze contemporanee. Il lavoro di Mussie è il primo ad essere supportato dalla neonata rete blOOm, composta da Fondazione Armunia Teatro, Primavera dei Teatri, Santarcangelo Festival, Sardegna Teatro e Triennale Milano Teatro e nata per sostenere produzioni one-on-one al fine di favorire esperienze intime e personali. Wojciech Grudziński (Polonia) con THREESOME incarna e dà nuova risonanza al lavoro e alle identità queer marginalizzate di tre ballerini polacchi del dopoguerra: Stanisław Szymański, Wojciech Wiesiołłowski e Gerard Wilk. È intorno al tema della censura della lingua dei segni operata alla fine dell’800, in quanto ritenuta inutile e dannosa, che si articola Pas Moi di Diana Anselmo; si racconta così la storia di una vera e propria cultura, con i suoi testi e i suoi poeti, che è stata cancellata.

Tema da sempre caro al Santarcangelo Festival è il corpo come campo di battaglia per l’affermazione di identità represse. Anche quest’anno alcuni lavori selezionati vanno in questa direzione; è il caso di Magic Maids di Venuri Perera (Sri Lanka / Olanda) ed Eisa Jocson (Filippine), incentrato sulle ingiustizie delle pratiche lavorative moderne nei confronti del genere femminile. Anche MONGA della brasiliana Jéssica Teixeira (in versione accessibile alle persone sorde con il patrocinio del Pio Istituto dei Sordi) mette al centro il corpo della donna, raccontando la storia di Julia Pastrana, conosciuta come “donna-scimmia” e protagonista del fenomeno dei freak show dello scorso secolo. Entepfuhl di Alina Arshi (India) attinge alle danze tradizionali indiane e alla cultura pop di Bollywood per raccontare la condizione di perenne smarrimento di chi vive tra più culture. BOUJLOUD (man of skins) di Kenza Berrada (francese di origini marocchine) invece nasce da incontri con vittime di violenza nel contesto della società marocchina.

Alina Arshi, Entepfuhl | © Gregory Batardon
María del Mar Suárez, La Chachi, Los inescalables Alpes, buscando a Currito

Anche il colonialismo e la razzializzazione dei corpi endemici delle società occidentali entrano nell’indagine di not yet. Davide-Christelle Sanvee (artista svizzera di origine togolese) propone una versione site-specific di Qui a peur, presso il Teatro Petrella di Longiano. Language: no broblem di Marah Haj Hussein (Palestina, risiede in Belgio) indaga il tema del multilinguismo, che coinvolge direttamente l’artista e la sua famiglia, divisa tra la propria lingua madre, l’arabo palestinese, e l’ebraico, lingua ufficiale del territorio in cui vivono sotto occupazione. Gli abusi subiti da Eli Mathieu-Bustos (formatosi tra la Francia e Bruxelles) a causa del colore della propria pelle sono esorcizzati attraverso una coreografia in cui convergono danza espressionista, butō e culture urbane come dancehall e house. Il danzatore e ricercatore sudafricano con base in Svizzera Tiran Willemse in collaborazione con la musicista elettronica congolese Nkisi propone When the calabash breaks, una performance che esplora il concetto di “blackness”, con le sue relazioni con i corpi e il paesaggio contemporaneo. Le modalità in cui i corpi femminili e queer diventano oggetto di controllo e violenza sistemica sono al centro di altri lavori, come RAPEFLOWER della performer polacca di origine giapponese Hana Umeda, che mediante i codici espressivi della danza giapponese del XIX secolo Jiutamai rappresenta lo stupro come “condizione”, incarnata dall’esperienza tragica di numerose donne vittime di violenza. Los inescalables Alpes, buscando a Currito di María del Mar Suárez, in arte La Chachi, è un’improvvisazione di flamenco decostruito, che diventa una danza estatica, libera e contorta. La cilena Josefina Cerda in FERAL prende le mosse dalle proprie esperienze come attrice e sex worker virtuale, riflettendo sull’intimità nelle arti performative. Mathilde Carmen Chan Invernon (franco-spagnola con sede in Svizzera) in Bell End si appropria di atteggiamenti machisti e tossici, come in un atto, liberatorio e grottesco, di ribaltamento dei ruoli. Festival presenterà inoltre MISTAKES, esito del laboratorio Let’s Revolution! a cura di Teatro Patalò, e VERTIGINE, spettacolo conclusivo del percorso della non-scuola del Teatro delle Albe. Entrambi i progetti sono il risultato di quattro mesi di lavoro con le scuole medie e superiori di Santarcangelo. Previste anche due proiezioni, presso la sala cinematografica C’entro: Come la notte di Liryc Dela Cruz, trasposizione filmica del lavoro performativo ospitato nella scorsa edizione di Santarcangelo Festival, presentata alla Berlinale; e A Fidai Film del regista palestinese Kamal Aljafari. Continua per il terzo anno consecutivo la progettualità di FONDO, network dedicato alla creatività emergente (nato dalla collaborazione tra Santarcangelo dei Teatri e altri 12 partner nazionali tra festival, teatri, centri di residenza e circuiti). Dopo un anno di ricerca vengono presentati i lavori di Genny Petrotta e di Giorgiomaria Cornelio. Il primo con Brinje me Brinje racconta la storia delle Burrnesha, donne albanesi e kosovare riconosciute socialmente come uomini (11 e 12 luglio), il secondo, che forma con Giulia Pigliapoco e Danilo Maglio la compagnia Grandi Magazzini Criminali, in Ogni creatura è un popolo si interroga sul significato del costruire in un’epoca di incertezza e trasformazione.

Cover: Marah Haj Hussein / Monty, Language: no broblem | © Boris Breugel

Maud Blandel, l_oeil nu | I L K A © Margaux Vendassi. Camille D Tonnerre
Dewey Dell, Echo Dance of Furies | Eva Castellucci
Eisa Jocson, Venuri Perera, Magic Maids | @Bernie Ng.