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Il mio corpo nel tempo. Opalka, Lüthi, Ontani — Intervista con Adriana Polveroni

[nemus_slider id=”69338″] — La mostra Il mio corpo nel tempo, che inaugura alla Galleria d’Arte Moderna A. Forti – Palazzo della Ragione di Verona il 13 ottobre, rientra nel programma espositivo ArtVerona OFF dell’edizione 2017 della fiera d’arte moderna e contemporanea della città scaligera. Il progetto, a cura di Adriana Polveroni e Patrizia Nuzzo, propone […]

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La mostra Il mio corpo nel tempo, che inaugura alla Galleria d’Arte Moderna A. Forti – Palazzo della Ragione di Verona il 13 ottobre, rientra nel programma espositivo ArtVerona OFF dell’edizione 2017 della fiera d’arte moderna e contemporanea della città scaligera.

Il progetto, a cura di Adriana Polveroni e Patrizia Nuzzo, propone il percorso artistico di tre protagonisti dell’arte contemporanea che ragionano sul corpo nella sua temporalità, attraverso diversi mezzi espressivi (la fotografia, il video, la scultura, l’installazione): Urs Lüthi, Luigi Ontani e Roman Opalka. Filo conduttore della mostra è la messa in scena e la messa a nudo della corporeità, mostrata dagli artisti “non per mero narcisismo, ma eleggendo se stessi a documento vivente che dà una risposta a quell’enigma di cui parlava sant’Agostino”.
La prima sala sarà dedicata a Luigi Ontani (1943) che presenta fotografie acquarellate e incorniciate, tondi, immagini di piccolo formato, Erme di oltre due metri ciascuna e una ceramica di dimensioni minori. La seconda sala proporrà 60 Autoportraits di Roman Opalka (1931-2011): autoritratti dell’artista di ugual misura che raccontano il trascorrere del tempo; nella stessa posa e con un semplice gesto, Opalka si mostra da giovane fino ad arrivare quasi al momento della morte.
La terza sala, infine, sarà tutta per Urs Lüthi (1947): un recente grande collage a colori formato da 18 elementi e collocato su un lato di un pannello centrale di 24 metri accoglierà il visitatore, mentre dall’altro lato verranno presentate alcune opere fotografiche in bianco e nero degli anni Settanta. A completare il percorso e a chiuderlo: alcune sculture polimateriche dell’artista.

ATP DIARY ha rivolto alcune domande ad Adriana Polveroni, ideatrice della mostra, per approfondirne le tematiche.

Valeria Marchi: Da dove nasce l’idea di questa mostra e perché il titolo sottolinea così chiaramente il “mio” corpo nel tempo: è forse un invito fatto allo spettatore perché si rispecchi con il suo stesso corpo nei corpi degli artisti in mostra? Quale relazione esiste tra tempo e corpo nella mostra?

Adriana Polveroni: Probabilmente l’idea nasce da una mia ossessione verso il tempo, che per me rimane un enigma profondo. Che ha a che fare con la nascita e la morte, la finitezza umana e la nostra pretesa di eternità. Ricordo, molti anni fa, durante un mio primo incontro con Vicente Todoli, alla mia domanda su che cosa lo interessava di più, mi rispose: “Il tempo, capirlo. Perché per me è un mistero”. Penso di aver sviluppato da quel momento una naturale simpatia e stima per Todoli, perché affermava quanto anch’io sentivo intimamente, ma non ero mai riuscita a mettere a fuoco in maniera così limpida. In questo processo, ma forse il termine più pertinente è “decorso”, il nostro corpo si deteriora, compromesso com’è dal trascorrere del tempo. Vivo tutto questo come un profondo insulto della natura, che, almeno in questo caso, non è affatto la natura benigna, come riecheggia nelle odierne illusioni new age, ma piuttosto “matrigna”, come la descriveva Leopardi. E non capisco come, nella nostra epoca governata dalla scienza e dalla tekne, non si sia ancora arrivati a riscattare il corpo dall’oltraggio del tempo, al di là degli orrori della chirurgia plastica.
Non ho pensato che lo spettatore potesse rispecchiarsi con il suo stesso corpo nei corpi degli artisti in mostra. Mi ci fai pensare tu, ora. E forse hai ragione, del resto l’arte possiede anche questo potere e, a ben pensarci, quando ho proposto il tema a Luethi e a Ontani, forse l’hanno accettato con un certo entusiasmo e curiosità anche perché hanno intuito la possibilità di evocare, attraverso il loro lavoro, qualcosa di simile.

Valeria Marchi: Mi piace molto quando nel comunicato stampa della mostra si dice che il lavoro di Urs Lüthi, Luigi Ontani e Roman Opalka “si colloca in quell’area cara a certa filosofia – Heidegger e, prima di lui, Parmenide -, secondo i quali la verità (Aletheia) è ciò che non si nasconde. È il mostrarsi del vero come autentico disvelamento.” Ci può spiegare come quest’affermazione si adatta ai percorsi artistici di Opalka e di Lüthi e come si concretizzerà attraverso le opere esposte in mostra? Diverso forse per il percorso di Ontani: il corpo dell’artista nei suoi lavori è spesso camuffato, nascosto, trasformato, enfatizzato, più che autenticamente esibito…

Adriana Polveroni: I tre artisti in mostra sono molto diversi tra loro. A prima vista, il più coerente e pienamente rispondente alla mia idea, è Opalka, il cui lavoro si è sempre incentrato sul tempo, sia nell’espressione più immediata dell’autoritratto, del suo volto che si trasforma col passare del tempo, che nella processualità del lavoro con i numeri e la trasformazione della tela originaria. Luethi ha un percorso diverso, che evoca il tema dell’identità e della presenza dell’artista, nella espressione più schiettamente fisica, che riesce a caricarsi di una singolare spiritualità, di tensioni extrafisiche, e che ha una forte ricaduta nella quotidianità, in gesti, situazioni, relazioni dotate di un’ “eccentrica normalità”. Ma tutte hanno a che fare con la sua storia, la sua persona e, in primis, il suo corpo. Di Luethi appezzo molto la totale mancanza di infingimento. Ha proposto al pubblico, ha fatto del suo volto un topos artistico, quando era un efebico e attraente giovane. Continua a proporsi oggi, senza nessuna mediazione, ora che il suo corpo rivela i segni e i deterioramenti del tempo. Ma non vorrei che questo sia assunto come un fatto meramente biologico. Urs Luethi è un artista, anzi un grande artista. E’ chiaro, quindi, che questa autoesposizione fisica ha una finalità e un valore artistico ben precisi. Attraverso l’arte il corpo si riscatta dal banale, dalla natura, dal tempo stesso.
Più complesso, per certi versi, è il lavoro di Ontani, almeno secondo la lettura che ne propongo in mostra. E’ vero che lui lavora con la maschera, quindi con il camuffamento, ma la cosa straordinaria, e che in questo senso lo differenzia da Cindy Sherman ad esempio, è la rivendicazione della sua riconoscibilità, l’offrirsi in primo piano, pur incarnando certe figure: dell’arte, come della mitologia, come della commedia. Il suo camuffamento ha una forte risonanza simbolica e, al tempo stesso, una fortissima aderenza alla sua persona. Alla sua identità di artista.

Valeria Marchi: Palazzo della Ragione è un palazzo storico di Verona, si direbbe suo “cuore pulsante”, centro cittadino che è stato civile, amministrativo e giudiziario in diverse epoche: è uno spazio architettonico ricco e stratificato, molto ricostruito e rimaneggiato nel tempo. Ospita normalmente la collezione civica d’arte – lascito di Achille Forti – e diversi prestiti di opere che abbracciano il Novecento, a partire dalla metà dell’Ottocento. Ecco: per questa mostra, da ottobre a gennaio, le opere della collezione spariranno e un inedito palazzo vuoto ospiterà i progetti di Lüthi, Ontani e Opalka. Cosa ci dobbiamo aspettare dall’allestimento, dal rapporto delle opere con lo spazio?

Adriana Polveroni: Palazzo della Ragione è un antico e nobile edificio che ha alle spalle una storia stratificata, come evidenzi tu. E’ un gioiello che forse dovrebbe semplicemente “autoesporsi”, non essere usato come contenitore, ma essendo esso stesso un contenuto. Dico questo perché, proprio la sua particolarità e la sua storia, non ne fanno un luogo flessibile e lavorarci per una mostra di arte contemporanea che, come tutti i veri progetti inerenti questo linguaggio, prevederebbe un’assunzione critica dello spazio, un’integrazione di esso nel progetto stesso, è un’impresa alquanto complessa. Con Patrizia Nuzzo, Responsabile della Direzione artistica della GAM, ho cercato di caratterizzare lo spazio dedicato ad ogni singolo artista in modo che rispecchiasse la sua personalità, ma non è stato sempre possibile riuscirci, nonostante il contributo ideativo degli artisti. Spero che il risultato finale ricompensi degli sforzi fatti, cui ha contribuito con grande generosità anche l’architetto Roberto Leone e tutto lo staff della Galleria Achille Forti. Ma, come per tutte le mostre, sarà il verdetto del pubblico a deciderlo, al di là del nostro impegno.

La mostra è visitabile fino al 28 gennaio 2018 —

Roman Opalka, Detail 2080887, 30.5 x 24 cm, 1965 -  CourtesyMarcelloForin
Roman Opalka, Detail 2080887, 30.5 x 24 cm, 1965 – Courtesy Marcello Forin
Luigi Ontani, Déjeuner sur L'ArT, 1969, cm 83 x 83 con cornice, courtesy Galleria Mazzoli Modena
Luigi Ontani, Déjeuner sur L’ArT, 1969, cm 83 x 83 con cornice, courtesy Galleria Mazzoli Modena
Urs Lüthi, Just another story about leaving, 1974 2006, Edition 1 opera consistente in 9 parti,cm 58,4 x 42, Courtesy L'Artista
Urs Lüthi, Just another story about leaving, 1974 2006, Edition 1 opera consistente in 9 parti,cm 58,4 x 42, Courtesy L’Artista—