Nel 1973 Gianfranco Baruchello fondava nella campagna vicino a Roma Agricola Cornelia S.p.A. Un luogo pensato per rivisitare miti e tradizioni del mondo agricolo e ricontestualizzarli in una pratica artistica che abbia al centro della propria indagine il valore d’uso e di scambio dell’opera d’arte. Un contenitore, uno spazio, ma anche una visione in cui l’arte è utopia, azione politica e poetica. Agricola Cornelia è stato, fino al 1981, un progetto artistico, economico, zootecnico e agricolo, base ideale e imprescindibile della Fondazione Baruchello ancora oggi in attività.
È da questa esperienza di coltivazione di idee e di azioni da svolgere che prende ispirazione e forma Il giardino libernautico, la mostra in corso nella sede di via del Vascello a cura di Elena Bellantoni in collaborazione con Niccolò Giacomazzi e Benedetta Monti.
Ideata e cura da un’artista, la collettiva si sviluppa intorno ad alcuni temi oggi più che mai urgenti, ma già ben sviluppati proprio all’interno dell’esperienza di Agricola Cornelia: il rapporto con la natura, il paesaggio e la cura come azione responsabile nei confronti dell’ecosistema. Ed ecco allora che gli artisti coinvolti (Sara Basta, John Cascone, il duo Grossi Maglioni e Jacopo Natoli) si sono confrontati, tra aprile e maggio in una fase preparatoria, con gli elementi più naturali della Fondazione: il giardino, il bosco e gli spazi esterni della sede di via di Santa Cornelia. Diversi per linguaggio, i lavori in mostra sono accumunati dalla centralità del corpo inteso come strumento di interazione con lo spazio e da una dimensione processuale in cui il gioco e il nonsense sono la chiave di lettura. A partire dal titolo che nasce da un gioco tra curatori e artisti, una libera associazione di sillabe e frammenti di parole che hanno dato vita ad un termine: i libernauti sono viaggiatori nell’eterotopia. Il giardino, spazio definito e comune, diventa così un luogo in cui natura e cultura si incontrano esprimendo la loro dissonanza o consonanza, spazio di condivisione.
Per Jacopo Natoli il giardino diventa ambiente di sperimentazione per frammentare e in seguito ricomporre la realtà naturale circostante nelle sue dimensioni di macro e micro. Le lunghe passeggiate negli spazi verdi di Agricola Cornelia, derive botaniche per riconnettere il corpo alla natura, vengono registrate da incisioni, segni e graffi sui fogli delle mappe della serie Corticale, ma anche da frottage di frammenti, vegetali e artificiali, scomposti e ricomposti come per costruire una seconda epidermide dell’Agricola Cornelia. Una pelle registrata e riproposta sempre in modo diverso, mai uguale a se stessa, che nell’opera di Natoli torna riproposta sotto forma di traccia sulla carta delle mappe e dei frottage, attraverso i pixel delle scannerizzazioni riproposte in loop a 24, 12 2 frame al secondo, e in altri colori attraverso l’uso della cianotipia – forse il lavoro più site specific data la sua capacità di registrare i cambiamenti della luce.
L’elemento naturale in sé, e non la sua rappresentazione, torna anche in Prove di scrittura, la tela di cotone realizzata da Sara Basta martellando fili d’erba sul supporto. Ne deriva una sorta di bandiera per un nuovo linguaggio, universale e costruito a partire proprio dall’elemento naturale. Un ritorno ad una dimensione di contatto con l’ambiente circostante propria del nomadismo, precedente agli insediamenti stabili, all’urbanizzazione e alla proprietà privata. Come di consueto nella pratica artistica di Basta, il femminile (inteso come approccio al mondo slegato dal genere e dalla sessualità) è il punto di partenza per la rilettura del presente, ma non solo. Per questa occasione Basta ha tradotto in italiano The Carrier Bag Theory of Fiction, il testo in cui Ursula K. Le Guin analizza la storia dell’evoluzione umana ribaltandone la prospettiva, abbandonando la narrazione dell’uomo eroe e cacciatore, per ritrovare la cura dell’azione della raccolta. La borsa, vista come contenitore, diventa così la protagonista di questa revisione storica e in mostra assume la forma di una struttura in divenire, un oggetto dalle dimensioni imponenti realizzato in occasione dell’inaugurazione coinvolgendo i partecipanti nella tessitura.
La trasformazione continua, il non finito proprio degli elementi naturali, è al centro della ricerca del duo Grossi Maglioni (Francesca Grossi e Vera Maglioni) che per gli spazi della Fondazione proseguono la loro ricerca sulla Beast Mother realizzando un tappeto vivente e germogliante, abitabile dal fruitore come spazio di riposo e raccoglimento. Il riferimento alla madre e alla nascita attraversa ogni elemento dell’installazione composta dal tappeto, da una traccia audio a due canali e da un video. Il risultato è un’opera tattile e performativa allo stesso tempo, un ambiente immersivo capace allo stesso tempo di contaminare e contaminarsi, in un ciclo continuo di distruzione e generazione.
E come una pianta infestante continuano a rigenerarsi le Xeniaformae di John Cascone, forme vegetali nate dalla ricomposizione continua e sempre differente di ritagli di bastone e legni presenti su alcune riviste. Proprio come per gli esseri viventi, le Xeniaformae appartengo ad una famiglia accumunata dallo stesso DNA i cui elementi si ricompongono ogni volta in forma diversa, apparentemente casuale, dando vita ad esseri differenti. Nate da un gioco, inteso come capacità di scomporre e ricomporre con sguardo nuovo, le Xeniaformae di Cascone sono in realtà frutto di un inteso e preciso lavoro processuale, basato su rigide regole raccolte nella pubblicazione La Famiglia delle Xeniaformae diligentemente custodita in una teca. Il confine tra serietà e ironia in questa serie di lavori si fa sempre più sottile man a mano che ci si addentra nella sua origine. Proprio come la natura, che spesso appare disordinata e casuale nonostante sia perfettamente regolata, il lavoro di Cascone si sviluppa a partire da uno studio rigoroso che prende forma nello spazio in modo disarmonico: come erbacce le Xeniaformae non si rendono visibili ad altezza uomo, ma abitano gli angoli, gli anfratti con possibili espansioni e cadute, costringendo l’osservatore a volgere lo sguardo negli spazi espositivi non classici.
Tra le sale della Fondazione la natura, presentata e non rappresentata, diventa così contemporaneamente elemento dal quale ripartire per osservare la realtà e ambiente nel quale agire con il proprio corpo in una dimensione di relazione e condivisione.
Il giardino libernautico
a cura di Elena Bellantoni
In collaborazione con Niccolò Giacomazzi e Benedetta Monti. Con la partecipazione di Sara Basta, John Cascone, Grossi Maglioni, Jacopo Natoli
15 giugno – 30 settembre 2022
Fondazione Baruchello, Roma