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If I could, Unless we | Manifattura Tabacchi, Firenze

In occasione di Pitti Uomo 2019, a Firenze ha inaugurato If I could | Unless we, esposizione temporanea curata da Linda Loppa e ospitata presso la Manifattura Tabacchi.  “Manifatture, per chi non lo sapesse, è un complesso molto vasto” esordisce...

If I could | Unless we – ARMANDO CHANT – Manifattura Tabacchi, Firenze – Installation view Photo: Niccolò Vonci – Margherita Villani

In occasione di Pitti Uomo 2019, a Firenze ha inaugurato If I could | Unless we, esposizione temporanea curata da Linda Loppa e ospitata presso la Manifattura Tabacchi
Manifatture, per chi non lo sapesse, è un complesso molto vasto” esordisce Michelangelo Giombini, Head of Product Development di Manifattura che ci accompagna in un primo tour conoscitivo degli spazi: “Sono sedici edifici costruiti tra gli anni 30 e 40 di grandissima qualità costruttiva e progettuale. L’impresa che lo ha realizzato è infatti quella di Luigi Nervi, autore di architetture e spazi importantissimi: si trattava del Nervi imprenditore, attento ai costi dell’impresa e desideroso nel contempo di mantenere una qualità strutturale innegabile”.
L’ampiezza dell’area in effetti è notevole: “Sono molti edifici concentrati su sette ettari con poco spazio tra di loro e, conseguentemente, con poco spazio per la costruzione dei cantieri: sarà un gioco complicato di sovrapposizione”.
Come sempre più spesso accade nella grandi città italiane e non solo, la riqualificazione di particolari aree coincide con la realizzazione di spazi ibridi, pubblici e multifunzionali, aperti alla fruizione del cittadino: “Qui realizziamo un mix funzionale– conferma Giombini: ci sarà una scuola, alcune abitazione realizzate nelle stecche, degli uffici, dei negozi in forma di atelier e concept store dedicati all’artigianato contemporaneo. Stiamo pensando inoltre ad un museo di arte contemporanea da sviluppare insieme alle istituzioni (tasto dolente per quanto ricorrente nel dibattito pubblico) ed è previsto anche un albergo.
Arte contemporanea, creatività e ricerca artistica occuperanno un ruolo nodale all’interno del progetto, almeno per i prossimi due anni. Così, nella Firenze moderna e di vasariana memoria potrebbero generarsi spiragli che ammiccano al contemporaneo da non sottovalutare: “Sull’arte ci piacerebbe che il piccolo prototipo che chiamiamo Toast – una mini galleria per artisti emergenti – diventasse uno spazio più grande: sono idee esistenti che devono ancora trovare una loro concretezza”.

If I could | Unless we – BART HESS – Manifattura Tabacchi, Firenze – Installation view Photo: Niccolò Vonci – Margherita Villani

Del resto le possibilità creative previste appaiono estremamente eterogenee, oltre che dal carattere spiccatamente relazionale: “In particolare in questa stecca che inaugureremo il 21 giugno abbiamo realizzato una sorta di spazio di lavoro, che sarà un co-working con degli atelier di artigiani contemporanei e dei workshop in cui si lavorare vari materiali come la pietra, il cemento, il ferro e anche i cappelli. Ci sarà per esempio un gruppo di giovanissimi artisti che hanno recuperato la tradizione dei cappelli in feltro o in paglia, vendendoli alle star di Hollywood. Pur viaggiando molto hanno deciso di rimanere in manifattura per portare avanti questo loro discorso: oltre a loro, ospiteremo un ceramista e pure un gruppo di recupero/restauro di arredi vintage.”
Particolare attenzione è stata riservata alla riqualificazione della stecca, soprannominato la “Fabbrica dell’Aria”: “Fabbrica dell’aria” è un’installazione temporanea che durerà due anni come questo spazio, un dispositivo reale, sviluppato dal celebre scienziato Stefano Mancuso – professore dell’Università di Firenze – che ha inventato un dispositivo attraverso cui le piante purificano l’aria degli spazi interni. All’interno avremo così una sorta di serra che libererà l’aria dagli inquinanti modo tale che chi vi lavora – potrebbero esserci anche centinaia di persone – possa soggiornare in un ambiente sano e salubre.”

Il programma di residence previsto per i Makers si dimostra attento nei confronti del pubblico e fluido sotto un profilo spaziale: “Attualmente abbiamo un gruppo di nove makers compresi coloro che faranno l’esperienza di residence, restourant e caffetteria, così da rendere questo spazio pubblico a tutti gli effetti. L’idea alla base è che da Via delle Cascine 33 arrivino le persone che, come in una qualsiasi piazza, possano accedere a differenti servizi diversi, quali un’emeroteca, un birrificio artigianale che farà degustazioni oppure degli uffici. Gli artigiani entreranno il 21 giugno 2019 e rimaranno per almeno un anno, con la possibilità forse di implementare gli spazi destinati agli atelier: concluso il progetto – dalla durata di due anni – questi luoghi diverranno un cantiere ed è prevista la costruzione di due parcheggi”.

If I could | Unless we – BERNHARD WILLHELM – Manifattura Tabacchi, Firenze – Installation view Photo: Niccolò Vonci – Margherita Villani

Giombini non nasconde né l’impegno che l’intero progetto richiede, né le ambizioni con il quale lo stesso nasce: “L’impatto urbanistico di un intervento da centomila metri quadrati come Manifattura è significativo: arriveranno moltissime persone per vivere, lavorare o semplicemente visitare il sito, destinato a divenire una sorta di meta per i fiorentini. A Firenze non accade molto sotto il profilo del contemporaneo e, attraverso il nostro progetto, tentiamo di dare spazio a tale realtà”. Il 2022 è la data prevista per la chiusura dei lavori, anche se “già da ottobre 2019 uno degli edifici sulla piazza sarà completato così da ospitare oltre mille studenti internazionali di moda all’interno di Manifattura”.

Prima di addentrarci all’interno dello percorso espositivo, al calare della sera, la curatrice Linda Loppa ci riserva alcune intense e brevi battute, essenziali per cogliere lo spirito dell’impresa: “Dopo aver visto la mostra potete continuare ad utilizzare il titolo – If I could | Unless we – in un modo differente. Non si tratta di una mostra e Manifattura Tabacchi non è un museo, è uno spazio aperto, una pagina bianca. Ho ricevuto duemila metri quadri con il compito di fare qualcosa di bello e questo è già di per sé un regalo”.
L’apertura dell’iniziativa in concomitanza di Pitti 2019 è un segno forte e discreto, come a dire “ci siamo, siamo con Pitti, con la comunità, con gli artisti e i designers, senza essere né troppo presenti né in competizione”. E Loppa rimarca in più occasioni, con la consapevolezza di un’esperienza decennale nella moda, che il risultato curatoriale possiede un’identità precisa, seppur sperimentale e imprevedibile. Ad un affondo razionale e dogmatico si è preferito infatti restituire il fluire energetico, transmediale e emozionale delle attuali tendenze creative: “Questa passeggiata è nata come un percorso emotivo. Niente abiti e niente manichini: solo permettere al visitatore di muoversi liberamente da uno spazio all’altro per ascoltare, vedere e sognare. Non c’è la volontà di essere troppo profondi in un momento così sperimentale: è una mostra nata dal cuore e dallo stomaco”. Da un intreccio privo di nessi eccessivamente costrittivi emerge una struttura razionale in cui contenuto e contenitore, significato e significante riecheggiano gli uni negli altri: “Un filo rosso esiste” afferma infatti Linda Loppa:“C’è Lara Torres che parla della presenza eccessiva del consumo, senza dirlo a voce troppo alta e anche in Bernhard Willhelm guarda con attenzione al consumo; ci sono momenti invece dove, all’interno dello spazio, si osserva un creativo o si ascolta qualcosa, come una voce che parla e racconta un metodo di design, una poesia”.

If I could | Unless we – LARA TORRES – Manifattura Tabacchi, Firenze – Installation view Photo: Niccolò Vonci – Margherita Villani

Sia il fattore transmediale sia la disamina non pedissequa del rapporto arte-moda concorrono a rendere l’esposizione un progetto pienamente riuscito. Le performances uniche di Lara Torres – documentate attraverso video installation in black and white – sono pregne di una qualità visiva “cinematografica” che porta a riflettere sull’evanescenza dei prodotti del fashion system colti nel loro sciogliersi nell’acqua, a contatto con il corpo. Comprare meno o comprare meglio? Il discorso merceologico e consumistico è affrontato lateralmente da Torres grazie al filtro non invasivo del filmato d’autore e dell’atto unico. Di segno diverso ma altrettanto attraente appare la performance di Moses Hambourg, giovanissimo artista californiano (classe 1995) giunto nel capoluogo fiorentino per imparare la maniera dei maestri moderni. L’artista, che cogliamo dal vero intento ad impastare e “mescere” i colori sulla tavolozza, procede di continuo avanti e indietro, contemplando il suo splendido modello – un ragazzo dalla pelle d’ebano avvolto in un abito destrutturato di Max Anish Gowriah – trasposto sulla tela con un ductus ampio e sfumato. Citazione, tradizione, Gender Studies e matericità della pittura danno vita ad una crasi atemporale, assolutamente magnetica per il fruitore. Dal tono fortemente psichedelico il progetto sonoro e luminoso del compositore e designer Senjan Jansen, improntato tutto sulla percezione decuplicata dell’intervallo tra flash e oscurità, tra silenzio e percussione.

Come nota anche Linda Loppa sollecitata sull’argomento: “Lo sguardo è il nesso esistente tra moda e arte. Looking at an art picture – sostiene – è come guardare un abito. La percezione dell’arte cresce nel tempo dentro la persona e forma l’identità dell’individuo. L’arte non è un lusso né un super lusso: è un dialogo con un artista che può piacere o non piacere, che ti fermi ad osservare oppure dimentichi, o che pure cambia per sempre la tua vita. La stesso accade nella moda. Non è che attraverso la moda dobbiamo portare tutto e vedere tutto. Ci sono momenti in cui si pensa, “wow” altri in cui non si sa che dire”. Ed è su questo sottile crinale che Loppa individua gli elementi di tangenza e di divergenza tra l’essere artista e l’essere designer, o più generalmente tra la pratica artistica e la pratica creativa collettiva: “C’è un momento creativo che sia l’artista e lo stilista hanno. Quello dell’artista in origine veniva esperito nella solitudine, ora non è più così per la presenza di metodologie diverse, come la fotografia o la Video Art. Diversamente, il designer ha bisogno di tutte le industrie creative per operare, dal fotografo a colui che gira il video; senza queste figure in effetti non esiste. Dunque l’artista può essere tale da solo mentre il designer mai: egli necessita comunque di un team e di un gruppo di lavoro condiviso. In questo sta probabilmente la grande differenza tra artista e designer.”

If I could | Unless we – MOSES HAMBORG – Manifattura Tabacchi, Firenze – Installation view Photo: Niccolò Vonci – Margherita Villani
If I could | Unless we – Manifattura Tabacchi, Firenze – Installation view Photo: Niccolò Vonci – Margherita Villani