Quando si sale oltre i mille metri d’altitudine, come tutti gli alpinisti sanno, si ha una sensazione di fatica a causa della rarefazione dell’ossigeno; allo stesso modo in I Never Asked To Be Your Mountain, a cura di Valentina Lacinio, fino al 7 dicembre presso LocaleDue a Bologna, l’atmosfera è rarefatta, quasi distillata, non per l’altezza, ma per la calibrata disposizione e la leggerezza delle opere. Sembra anche che i tre artisti – Francesco Snote, Marco Strappato e Fabrizio Perghem – suddividano la mostra in tre atti, o tappe, durante il loro itinerario iniziatico verso una dimensione alta e altra, tuttavia la destinazione ci rimane oscura durante tutta la visita alla mostra. I presupposti sono forniti dal romanzo per eccellenza sulla metafisica dell’alpinismo, Il Monte Analogo, di René Daumal, dove la meta simbolica della spedizione che il protagonista Pierre Sogol insegue è irrazionale ma non indefinita, irreale ma pragmaticamente contestualizzata in topografie e rotte concrete, similmente a queste opere, che aleggiano idealmente nello spazio, ingombrandolo ma lasciando margini indefiniti.
Gli artisti ci raccontano, congelando singoli momenti di un viaggio, il loro rapporto con la natura secondo tre linee principali: l’ascensione, l’orizzonte e il contrasto.
Nel piccolo spazio di LocaleDue troneggiano al centro le opere di Francesco Snote (Biella, 1991), Condizione per Orizzonte e Condizione per Orizzonte piccola (entrambe 2017), strutture in cemento e ferro che prendono a riferimento lo spazio che le ospita, come le pietre miliari sulle vie romane, o come antichi avamposti per calcolare percorsi e definire un orizzonte in un contesto dove esso ha capacità mutevoli e scivolose, Snote costruisce oggetti modulari e adattabili, nelle parole stesse dell’artista: “Risultanti di una teoria imperfetta fra spazi esterni e interni”. Sulla parete la foto di Marco Strappato (Porto San Giorgio, 1982), Fake Lake n.1, (2011), ritrae una superfice lacustre con acque di un verde acido brillante, dense e impenetrabili; esse celano il sottile inganno che corre nella crepa fra l’artificio tecnologico e la natura, e il contrasto che quest’attrito crea. Poco lontano, per terra, un altro reperto: un sasso, scultura in paraffina di Fabrizio Perghem (Rovereto, 1981), che ci prelude alla conclusione del percorso sulla cima della vetta. Poco oltre, infatti, troviamo Above the Forest (2013), ristampa di un’antica riproduzione fotografica della montagna del Cervino, che incarna per antonomasia la forma della Montagna: piramidale, liscia, solitaria, l’idea umana di montagna, e mostra come adeguiamo la natura ai nostri canoni umani e come la vetta sia metaforicamente il luogo di compimento e di arrivo dell’ascensione. I Never Asked To Be Your Mountain, che fra le altre cose è anche il titolo di una canzone folk di Tim Buckley, ci porta su un piano diverso, spinge a sottrarre il paesaggio all’imposizioni e definizioni umane, ai ruoli che noi ritagliamo per ciò che ci circonda.
Contestualmente all’inaugurazione della mostra si è tenuta presso il MAMbo la presentazione del secondo volume delle K-Pocket Guide di Kabul Magazine, serie di pubblicazioni su argomenti di cultura e arte contemporanea concepiti come veri e propri manuali, agili e sintetici, di studio e approfondimento su complesse tematiche attuali. Questo numero, Compost, Riflessioni sull’ecocentrismo, con interviste a T. J. Demos, Sam Dupont, Piero Gilardi ed Elizabeth Povinelli, fra gli altri, si focalizza sul demolire la scala di valori gerarchici che reggono le distinzioni binarie indotte dall’antropocentrismo per riconoscere la mutuale influenza che i fattori biotici e abiotici hanno l’uno sull’altro. Il volume raccoglie spunti per stimolare la creazione di legami e alleanze multispecie per superare l’attuale biocrisi, e propone l’ecocentrismo come contro-modello etico per una nuova umanità sensibile a ogni forma di vita e in armonia con il tutto. Un mix di biologia, filosofia, sociologia e arte ricollocano, in ottica anti-antropocentrica e antispecista, l’essere umano come attore, e non come protagonista, del complesso sistema ecologico che lo ospita.